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IL SIGILLO del FARAONE -Cap.IV -parte prima

di Maria Pace
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Pubblicato il 19/05/2012 08:50:21

 

 

 

CAPITOLO   IV -  Traversata sul Nilo 

 

Non fu facile per Isabella portare fuori del Museo il prezioso reperto che Osor era riuscito  a sottrarre e consegnarle.

“Credi che si tratti proprio del papiro della principessa Nefer? – domandò Alì appena fuori; Alessandro, Hammade la dottoressa Fatma erano ancora all’interno -  Sarebbe una vera fortuna.”

“Sapremo la verità appena Alessandro avrà decifrato questi geroglifici.” rispose la ragazza.

“Lo sai anche tu, principessa, -la chiamava così, Alì, con quel tenero appellativo, - che i geroglifici a voltesi rivelano essere solamente il risultato di segni legati insieme dalla fantasia.”

“So a cosa ti stai riferendo, ma nessuno, qui, si lascerà prendere e trascinare dalle fantasticherie.” replicò Isabella.

Avevano raggiunto la jeep parcheggiata nel piazzale antistante il Museo, in attesa di essere raggiunti dagli altri.Isabella prese posto sul sedile posteriore e cominciò a girarsi e rigirarsi l’astuccio fra le dita.

“Credi che il rotolo di papiro custodito qui dentro potrebbe danneggiarsi appena esposto all’aria ed alla luce?” domandò.

“Temo proprio di sì!”

Il ragazzo sedette al suo fianco; Osor prese posto all’altro lato della ragazza.

Isabella poggiò l’astuccio sulle ginocchia e subito dopo cominciò a guardare fisso nel vuoto,  davanti a sé.

“Ehi, principessa… che cosa ti succede? – domandò il ragazzo girandosi verso di lei – Ehi, Isabella?… Per la Barba del Profeta! Che cosa ti sta succedendo?”

               

Con la sensazione che l’aria d’intorno, diventata fluida e spessa, andasse lentamente espandendosi e la inghiottisse, Isabella credette di navigare in un mare di flutti. Si sentiva leggera, leggera… come se il corpo avesse perso peso e si librasse nell’aria… come un uccello… come un ibis… come quell’ibis che volava sopra il suo capo tra i canneti del Nilo.

Comprese di aver “attraversato la Soglia del Tempo” e di essere entrata nel mondo della principessa Nefer.

Comprese di ”essere” la principessa Nefer, ultimogenita del faraone Meremptha e nipote del grande Ramseth II.

              

            “O Signora dei canti gioiosi

             Signora della musica…”

Il dolce canto di Baket, la giovanissima arpista cieca, la scosse dal languore: quasi un sogno ad occhi aperti che tanto spesso la rapiva per trascinarla in un mondo di meraviglie edi incanti.

            “Sei la Regina del canto con l’arpa

             La Regina delle corone intrecciate

             La Signora della Danza… “

Baket, sacerdotessa e cantatrice di Hathor, era giunta a Tebe da poco. Aveva undici anni, un sorriso dolcissimo e due occhi straordinariamente belli, verdi come le acque del Nilo nei giorni della piena, ma spenti da una malattia infantile e senza luce, come una notte senza luna.

Nonostante la disgrazia, Baketera sempre sorridente e gioiosa ed aveva conquistato la simpatia di tutti.

Anche la sua musica aveva conquistato tutti e così la sua parlata, che era un miscuglio, allegro esimpatico, di quella di Assiut, da dove era arrivata, e quello di Tebe.

Se l’immagine esteriore di una persona può essere il riflesso di quella interiore, l’aspetto fisico di Baket, dolce e grazioso, era certamente il ritratto del suo carattere.

Per questo, la principessa Neferla preferiva a tutte le altre danzatrici e suonatrici che allietavano banchetti e manifestazioni di  corte e quando danzava davanti al Faraone, voleva che ad accompagnare la sua danza fosse sempre Baket.

Sedici anni compiuti da poco, occhi limpidi come un cielo senza nubi e tersi come l’acqua del Nilo, l’ultimogenita del Faraone era davvero assai graziosa.  La bocca e il mento erano morbidi ed arrotondati, la pelle abbronzata e i capelli raccolti in treccine.

Assomigliava alle splendide statuette che si trovavano nelle botteghe degli scultori di corte.

Braccia e collo erano ornati con shebiue catene d’oro e sulla tunica di lino raccolta in vita da una cintura dorata, riposavano le insegne da sacerdotessa di Hathor: sekhem e menit, sistroe collana, simboli di Vita e di Rinascita.

 

Un gruppo di ibis venne a planare sopra il suo capo, a bordo della barca reale, che procedeva lenta, seguita dalle altre barche del corteo: stavano risalendo il Nilo, diretti verso il Tempio di Hathor la Risplendente, in un’atmosfera festante e spensierata.

Era l’ultimo giorno della “Festa della Mietitura”, l’ultimo dei cinque giorni in cui ogni abitante del Nilo dimenticava preoccupazioni e difficoltà, in cui birra e vino scorrevano come le acque del fiume arrossate dalla piena:il decimo giorno della stagione Shemu, la stagione della “Siccità”.

Le altre stagioni erano la Akheto della Inondazione, grazie alla quale la terra si “ridestava” e la stagione Peret o della Uscita, in cui il contadino doveva mettersi al lavoro.

Assembrato lungo gli argini del fiume c’era il popolo ed era lì per onorare la Divinità, ma anche per celebrare la vittoria del Faraone sulle tribù dei Libu.

Alla testa del corteo il faraone Merempta coglieva l’entusiasmo dei sudditi assieme ai suoi generali. Il più acclamato di tutti era Kamose, capo dell’armata la “Potente di Virtù”, distanza nella terra di Canaan, che la genteegizia chiamava anche Palestina o “Terra dei Filistei”.

Il generale Kamose aveva riportato anche una strepitosa vittoria su alcune tribù degli Ibrihim, chiamati anche “Figli di Abramo”.

Queste tribù avevano lasciato l’Egitto dove, ai tempi del faraone Ramseth II, avevano lavorato alla costruzione di numerose città, fra cui le splendide Pi-Atum e Pi-Ramseth.

Erano molte le tribù nomadi  o stanziali che si recavano in Egitto, soprattutto nei periodi di siccità e carestie, per lavorare per il Faraone incambio di cibo e protezione: i Libu, i Mashwash, gli Ibrihim e molti altri popoli.

 

 


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