Hanno i cuori cuciti insieme dalla stessa paura
I corvi neri che si alzano a stormo
Per un secco e lontano rumore. E poi
Ricadono sparsi come sassi tra le foglie.
La luce bianca chiude il paesaggio
In un foglio di carta opalina
Accostando i grappoli di suoni
La danza del vento in imprevedibili traiettorie
E le calendule già sbocciate nel gelo
Sopra la carcassa del cane con gli occhi
Otturati dal fango, che guardano pacificamente
Dentro la sua stessa decomposizione
E dicono come la bellezza sia l’unica testimone
Che si rialza sempre dalla vita torturata dalla morte.
Dalla pietra muschiosa, dall’agave carnosa
Dall’erba foltissima la bellezza si avventura nello spazio
Rispecchiandovi i segni minimi di un mistero vastissimo
Parallelo al visibile. D’improvviso la visita impetuosa dell’acqua
Zittisce il turbinare dei merli, ricama umidi alfabeti nel vento
Circumnaviga gli oggetti lasciati all’aperto:
Zappe rastrelli sacchi di cemento una panca rugginosa.
Si piega in ginocchio come una bambina
Sui cespi fioriti del mirto, in giardino.
E il cammino profuma i suoi piedi:
il destro della nota dolciastra della terra inzuppata
il sinistro dell’aroma del finocchio selvatico.
Con la sua bocca bianca e buona
Il giorno invernale m’insegna
Che la lentezza deve misurare i pensieri
Che non occorre stare in affanno
Quando il tempo mi chiede
Di sedermi accanto senza parole
Fissando il fuoco che arde ed incanta
Con le sue lingue barcollanti impigliate nei rami
Che fischiano l’anima giovane del tenero midollo.
Non c’è cosa che duri per molto nell’inferno
La corteccia che brucia e s’annera
Staccando piccole squame
Fa un dolce profumo di resina;
la curva di un ramo imbiancato sotto la neve
fu la sua più bella architettura
il suo ultimo boschivo ricordo
Ricorda, oh ricorda!
Non c’è cosa che duri per molto nell’inferno.
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