Sentivo un vuoto dentro. Un vuoto che non comprendevo, ma sapevo che non potevo andare avanti così.
Riflettevo nel silenzio della mia stanza. Che cosa mi serviva? Possedevo una bella casa; una famiglia che mi amava; non avevo problemi economici, eppure mi mancava qualcosa.
Da giorni la tristezza aveva preso il sopravvento. Cercavo di mascherarla dietro a finti sorrisi, ma la mia anima stava morendo. Come una candela, mi stavo lentamente spegnendo.
Quel pomeriggio decisi di fare una passeggiata per cercare di distrarmi e non so come, mi ritrovai a percorrere alcune stradine del centro. Erano luoghi poco sicuri, poiché frequentati perlopiù da delinquenti, spacciatori e donne di facili costumi. Che cosa ci stavo facendo lì?
Camminavo lentamente, guardando questa gente che mi osservava come fossi un’aliena. L’aria era pregna di un odore acre, irrespirabile. Spazzatura era gettata ad ogni angolo, così come buttati sui cartoni, c’erano delle persone. Una scena apocalittica, che m’impressionò.
Possibile che tutto questo si trovava nella stessa città dove vivevo io? Tornai a casa sconvolta. Quanta miseria; quanta bruttezza.
La notte non riuscii quasi a dormire, ripensando a quello che avevo visto ed al fatto che nonostante vivessi nel lusso, mi sentissi così povera e vuota.
Ero io che avevo bisogno, ma ancora non comprendevo di cosa.
Non so per quale strana ragione, ma l’indomani tornai in quelle stradine. Come se lì, potessi trovare la soluzione al mio problema.
Ancora una volta però i miei occhi disgustati per ciò che vedevano, cercarono una via d’uscita e così quasi correndo scappai, ritrovandomi in una piccola piazza.
“Ha bisogno di qualcosa?” disse una vocina alle mie spalle.
Mi voltai e dietro di me c’era un ragazzino minuto. Era sporco e con gli abiti più grandi di lui, ma con due occhi penetranti che facevano tenerezza.
“No, ti ringrazio” risposi in fretta cercando di allontanarmi.
Tornai a casa ma quegli occhi, mi seguirono. Quello sguardo mi era rimasto nel cuore. Poteva essere uno dei miei figli.
Nei giorni che seguirono, tornai a cercarlo. Volevo conoscerlo e parlare con lui. Mi aveva lasciato una sensazione dentro, inspiegabile.
Fu così, che tutto cominciò.
Aveva solo tredici anni, abitava nei vicoli come molti altri e si arrangiava per vivere.
“La fame è brutta” mi diceva “Sono solo e nessuno si preoccupa di me. Rimedio qualcosa per strada, aspettando la generosità delle persone, ma non va sempre bene”.
Faceva impressione vedere quel visino parlare come un adulto. Cominciai così a portargli degli abiti puliti e roba da mangiare. Non voleva però allontanarsi dal quartiere. Come se fosse costretto a restare lì.
Passavamo diverse ore assieme ed io pian piano cominciai a colmare quella mancanza, che sentivo dentro.
Trascorsero settimane, durante le quali tutti i giorni andavo a trovare il piccolo Filippo. Il mio umore era cambiato. Mi sentivo viva. Finalmente avevo uno scopo: aiutarlo e questo mi riempiva di gioia.
Si avvicinava la Santa Pasqua ed avevo preparato un pacco speciale da portargli. Quel pomeriggio mi recai al solito appuntamento con un po’ d’anticipo. Ero ansiosa di vederlo. All’orario stabilito però, non si presentò. Pensai ad un semplice ritardo e così lo attesi senza preoccuparmi.
Trascorse un’ora e di lui, nessuna traccia. Iniziai a cercarlo chiedendo in giro nei vicoli, a quelle persone che mi guardavano in maniera strana. Nessuno lo conosceva. Come fosse stato un fantasma. Ad un certo punto, un anziano sdraiato per terra, udendo le mie parole, si alzò di scatto.
“Ha detto Filippo? Un ragazzino dai capelli neri ricci?”
“Sì, perché lo conosce?” chiesi agitata.
“Buon Dio!” esclamò facendosi il segno della croce.
“Che cosa succede?”.
“Anche lei… è incredibile!”
“Non capisco” proruppi scossa “Che cosa vuol dire, mi spieghi. Dov’è Filippo?”.
L’uomo si passò le mani sul viso ed iniziò a raccontarmi una storia che aveva dell’incredibile.
“Conosco bene Filippo, siamo cresciuti assieme….”
Già a quella frase pensai che delirasse, ma lo lasciai continuare.
“Vede laggiù vicino alla piazza? Tanti anni fa c’era un orfanotrofio. Era lì che abitavamo” aveva gli occhi lucidi, inumiditi dalle lacrime “Mi sembra ieri e son passati cinquant’anni. C’era la guerra e sulla città in quei giorni terribili cadevano le bombe. Era sera ed una cadde proprio su questa strada. Ricordo i palazzi che tremavano e venivano giù come castelli di sabbia. Noi, una dozzina di ragazzini terrorizzati non sapevamo dove nasconderci. Filippo ci venne incontro con una lampada a petrolio e ci disse di seguirlo. Di seguire quella luce nel buio. Uscimmo tutti dalla struttura, proprio in tempo. Non lui però, perché non riuscì a salvarsi. L’enorme portone gli precipitò addosso. Rimase intatta solo la lampada, che continuò ad illuminare la via”.
Ad ascoltarlo mi erano venuti i brividi, ma ero convinta comunque che si trattasse solo di una storia inventata. Quell’uomo era in evidente stato di ebrezza.
“Lei non mi crede?” disse d’un tratto guardando il mio viso perplesso “Venga, mi segua”.
Mi condusse in un cortile adiacente alla piazza, quella nella quale m’incontravo sempre con il ragazzo e fu lì che la vidi: la sua effigie.
C’era un piccolo busto con la sua immagine e sotto una scritta: “Ecco la luce nelle tenebre, che ha condotto alla salvezza i suoi pari. Anno 1943”.
Tremante guardai l’uomo e lui continuò la sua storia, dicendomi che molte persone da allora, affermavano di averlo visto. E non solo, ma dopo l’incontro avevano ricevuto aiuti.
Non riuscii a dire nulla. Ero sconvolta. Mi mancava l’aria. Mi sembrava tutto così assurdo. Lasciai quel luogo senza mai voltarmi indietro.
Nel viaggio verso casa ripensai a quella storia pazzesca; a Filippo, ai nostri discorsi e compresi.
Conducevo un’esistenza da benestante ma sterile. Non conoscevo la serenità, perché avevo perso me stessa. Vagavo nelle tenebre e da qui, quel vuoto che sentivo dentro. Filippo mi aveva illuminata. Lui era stata la luce, quella che mi aveva ricondotto lentamente verso la vita.