Pubblicato il 27/04/2012 20:41:53
Hanno svuotato la tua casa - e dove prima c’era il muro esterno hanno messo delle vetrate larghe come occhi sul nulla spalancati.
Era appena visibile la strada dalla finestra con i tendoni chiari, noi due sedute sul divano che volevi verde anche per superstizione mentre ti fissavo di nascosto, più giovane impaurita e sorridente, ricordando quando da bambina mi insegnavi le espressioni e non erano mai uguali i miei e i tuoi risultati - respirando piano l’odore forte della stanza - tuo padre teneva in casa olio e forme intere di parmigiano per il suo commercio a te così distante. La stanza affaccia sulla strada - un tempo era un viale - la percorro ancora e guardo in trasparenza gli scaffali con i libri, il tavolino di noce massiccio e noi che ridiamo mentre mi sveli mondi offrendomi il caffè.
Ma poi mi accorgo che non c’è più niente e tu stai zitta ormai e la stanza è uno spazio senza senso e senza suoni. Io sono fuori e mi domando dove sei tu che temevi la morte così tanto da tenere nella borsa insieme al corno rosso pelo di tasso - e quando un gatto nero aveva attraversato mi avevi fatto rinunciare a un viaggio. Raccontavi con la tua voce grave quello che studiavi, a quasi cinquant’anni innamorata di Popper e del professore di filosofia … Scherzavi senza mai dimenticare qualche rituale per non aver paura. Ironizzavi su te stessa e sul mio non staccarmi da me stessa e dai problemi.
Io sono sempre qui Fulvia e mi incanta la tua casa vuota, mi addolora. Non l’ho mai così appassionatamente amata. Dove sei, dove siamo noi due così diverse eppure indispensabili alla sera che confonde le nostre voci nell’auto davanti al mare ? Dimmi la rotta, io l'ho perduta.
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