CAPITOLO VIII - Laculla di cannicci
“Alì?... Sei tu? Non sei Amosis? – la ragazza s istropicciò gli occhi e fissò il volto dell’amico chino sopra di lei – Che cosa è successo?”
Non ricordi?... L’Antro di Mertseger… il terremoto. Un masso si è staccato dal soffitto cadendoti addosso. Non ricordi?”
“Il terremoto? Oh, sì! La terra tremava e la Cima danzava…Ricordo perfettamente.”
“Ma che cosa stai dicendo? Di quale cima stai parlando? Hai avuto una visione? – domandò il ragazzo – Sei tornata nel mondo della principessa Nefer?”
“Osor… ho incontrato Osor.”
“Hai incontrato Osor? Hai visto la statua del nostro Osor?”
“Non era una statua – Isabella scosse il capo – ed era il sacerdote di Bes, il Guardiano della Soglia che, fin dal suo abbandono alla nascita, lo ha posto sotto la sua protezione e che è giunto qui in balia…”
“Ma come parli? Non capisco quello che dici? Chi è questo Bes?”
Isabella trasse un lungo sospiro prima di riprendere.
“Bes era una Divinità minore, adorata dagli artigiani della necropoli di Tebe. – spiegò – Era una figura bizzarra e dal piccolo corpo deforme. Fu il protettore del piccolo Horo, ma anche il Signore delle Sabbie del Sonno e Osor, era il suo Sacerdote.”
“Per la Barba del Profeta! – esclamò Alì – Ma cosa mi stai dicendo!”
“Bes – continuò la ragazza – lo aveva scelto perché Osorera una creatura speciale: un essere superiore per discendenza tellurica.”
“Discendenza tellurica? Che cosa vuol dire?”
“Tellus Mater, come dicevano gli Antichi: Madre Terra, fonte di forza ed energia trasmessa agli uomini al momento di una nascita in particolare condizione. Legenti antiche erano legate all’ambiente circostante in modo così stretto che la mentalità moderna non potrebbe neppure immaginare.”
“Sarebbe a dire?”
“Osor era un bambino esposto, cioè abbandonato alla terra: un atto, questo, che lo restituiva alla Terra facendo di lui un terrae filius , cioè “figlio della Terra”. Un bambino esposto era considerato un essere superiore se la Terra Madre a cui era stato affidato con l’abbandono, lo avesse protetto e nutrito evitandogli la morte.”
“Come il Mosè della Bibbia!” osservò Alì, la ragazza annuì e proseguì:
“.. e come molti altri eroi di altre culture: Romolo, fondatore di Roma, il biblico Hiram, Perseo, l’uccisore della Medusa e altriancora…Ho incontrato Osor proprio qui, nel tempietto di Bes, dove ha predetto la morte alla principessa Nefer. Devo tornare laggiù per salvarla.”
“Tu non puoi. – esclamò il ragazzo con accento preoccupato– Tu non puoi interferire nel destino di un’altra persona. Non puoi evitare che accada ciò che è già accaduto. Tentare di allontanare il Destino, proprio o di un altro, serve soltanto ad avvicinarlo ancora di più.”
“Devo tentare!” insistette caparbia Isabella.
Qualcosa di più forte della curiosità la spingeva verso l’ignoto.
“Ascolta. – Alì le parlava in tono dolce e suadente, cosìcome si fa con un bimbo capriccioso che si vuol ricondurre all’obbedienza – Nonsi può avere qualcosa che appartiene ad altri… se fosse qui, Osor te lodirebbe.”
“Osor… - mormorò lei a fil di voce; le mani le tremavano mentre faceva quel nome – Siamo stranieri, noi due, per questo nessun destino e nessuna consuetudine di nessun posto potrà legarci mai a qualcosa… Devo tornare laggiù… qualunque cosa accada!”
“E va bene! – si arrese il ragazzo – Prima, però, dobbiamo uscire da qui, ma abbiamo di fronte un bel problema davvero.” sospirò.
“Quale problema?” domandò la ragazza.
“Un problema da qualche tonnellata tonnellata di peso:l’uscita di questa grotta è ostruita da un grosso blocco di pietra e civorrebbe la fede di Maometto per spostarlo.”
“E chi ce l’ha messo?”
“Gli uomini di Abdel il Rosso, suppongo.”
“Abdel il Rosso?... Già! Me n’ero scordata. Come faremo ad uscire?”
“Dev’esserci un congegno all’esterno che lo fa scorrere.”
“Ma perché Abdel ricorrerebbe ad una cosa così teatrale per entrare ed uscire da qui? Mi sembra di essere nella grotta della montagna di Alì Babà e i suoi ladroni. Perché non proviamo con: Apriti sesamo?”
“Vedo con piacere che non hai perso il buon umore.”sorrise Alì.
“Cosa facciamo adesso?”
“Cercheremo un’altra uscita.” rispose il ragazzo sollevando la torcia, la cui luce restituiva solo tenebre cosparse di ombre. D’un tratto, però, investì qualcosa sopra le loro teste, tra le pietre sporgenti del soffitto.
“Guarda.- disse Alì – Sembra una cesta.”
Isabella aguzzò la vista.
“E’ una culla! – disse con voce improvvisamente alterata dall’emozione –E’ una piccola culla di cannicci spalmati di bitume. – spiegò quando l’ebbe tra le mani, dopo che Alì si fu arrampicato per prenderla – E’come quella in cui fu trovato Osor.”
“Vuoi dire che potrebbe essere appartenuta ad Osor? – feceeco il ragazzo, poi replicò, dopo una breve pausa – Ma perché qui e non nel Tempietto di Bes, di cui Osor era sacerdote? – ancora una pausa, poi riprese –Per la Barba del Profeta! Se fosse così, sarebbe una cosa davverostrabiliante.”
“Ho già visto questa culla. – insistette sicura e decisala ragazza – Nodi di pescatori del Delta… solo quella gente conosceva l’arte diquest’intreccio.”
“Come fai a sapere queste cose?”
Isabella scosse il capo e proseguì:
“Questa culla e il suo intreccio sono gli unici indizi sulle origini di Osor, che ha lasciato il segreto della sua nascita tra lecanne del Nilo. Dobbiamo portar via questo oggetto e farlo esaminare, ma… come facciamo ad uscire da qui?”
“Usciremo. Usciremo! Questo è il nascondiglio di Abdel eda qualche parte ci sarà il suo tesoro trafugato. Ci torneremo con mio padre e il professore, ma ora cerchiamo una seconda uscita che… sarà sicuramente da qualche parte.” aggiunse vedendo l’espressione preoccupata di Isabella.
Imboccarono un cunicolo e si trovarono in una grande grotta dalla volta alta ed irregolare; massi di ogni forma e dimensione sporgevano da pareti e pavimento.
Isabella si guardò intorno alla luce bluastra della torcia elettrica.
“Mio Dio! Non usciremo mai da questa trappola.” disse con sconforto.
“No! – la rassicurò Alì indicando una fessura nell’alto del soffitto – Quella è la nostra salvezza. Vedi, principessa, la natura stessaci viene incontro. Il rilievo montuoso, qui, è costituito da altipiani solcati da valli di impluvio e…”
“Ehi, professore, - scherzò la ragazza – smettila di fare lezione e scendi dalla cattedra. Se hai intenzione di arrampicarti lassù, sei pazzo.”
“Possiamo farcela. Sarà come scalare una montagna.”
“Ohhh! Io non salgo neppure su una sedia, figuriamoci semi arrampico lassù e poi, per scalare una montagna occorrono corde, chiodi e piccozze.”
“Prenderemo le corde che ci sono di là. Ce la faremo.Vedrai.”
Alì si allontanò per recuperare una corda abbandonata per terra vicino all’uscita.
“Io non ce la farò mai!” disse subito la ragazza.
“Invece sì! Un passo dopo l’altro… a tappe. Io ti aiuterò.Adesso aspetta… salgo per primo e ti lancio la corda.”
“E chi si muove!”
Il primo tratto, cinque o sei metri, era relativamente facile: grossi massi disposti irregolarmente ne facilitavano l’arrampicata. Alìsi caricò sulle spalle la corda e cominciò la scalata con speditezza; la ragazza lo guardava saltare agilmente daun masso all’altro, fin a quando non lo vide raggiungere un breve spiazzo a quasi quattro metri di altezza. Qui Alì si fermò.
“Tocca a te, principessa. – il ragazzo le lanciò la corda– Non aver paura e legati la corda attorno alla vita… così!”
“E va bene..: prima o poi si muore!” sorrise Isabella legandosi la corda in vita e seguendo punto per punto i suggerimenti; raggiunto lo spiazzo, il ragazzo l’aiutò a superare l’ostacolo.
“Hai visto? Ce l’hai fatta!”
“Ce l’ho fatta, sì! La parte più difficile, però, deve ancora venire.”
“Non guardare di sotto e vedrai che ti sembrerà una passeggiata.”
“Una passeggiata? Ma certo!...Solo che non so come fare!”
“Punta i piedi contro la parete ed aggrappati alle sporgenze… Ti aiuterò io con la corda. Non sarà difficile, vedrai.”
“Una passeggiata!” ironizzò lei.
Ripeterono l’operazione per due volte ancora: la fune attorcigliata in una mano, un rampino nell’altra e un colpo di reni. Alì lanciò la corda ancora una volta.
“Ci siano” – disse – Fra poco saremo di fuori.”
Furono finalmente fuori; davanti a loro la valle sistendeva assediata dalla calura, desolata e pietrosa.
“Oh! – esclamò la ragazza facendo un lungo respiro – Uhhh! Ma che caldo! Sembra di essere in una fornace. – si lamentò – Là sotto faceva freddo, ma quassù sento il calore arrivare da ogni lato.”
“R’ proprio così! – spiegò il ragazzo sistemandosi bene sulle spalle la piccola culla di cannicci – Assorbiamo calore non solo dal sole, ma anche dall’aria e dal terreno.”
“Ho sete.”
“Io pure e presto ne avremo ancora di più: l’aria è privadi umidità. Dobbiamo cercare subito dell’acqua o e ci disidrateremo presto e… attenta a dove metti i piedi o queste sporgenze te li ridurranno a pezzi.”
“Come torniamo al campo? Non sarà meglio aspettare la Cavalleria?”
“Ah.ah.ah… - rise il ragazzo – Ci staranno cercando, è vero, ma ci cerca anche l’amico Abdel, che a quest’ora avrà già scoperto la nostra fuga.”
“E allora? Cosa facciamo? Ci sono otto chilometri da qui al campo”
Il ragazzo non rispose subito; osservato il terreno tutt’intorno, valutata la distanza dal campo, la temperatura e la fatica, suggerì:
“Andremo verso Nord e ci fermeremo a riposare ogni quindici minuti.”
“Riesci a capire dov’è il Nord? Sai che io sono un pessimo marinaio, ah.ah.” rise lei, cercando di stemperare la crescente preoccupazione.
“I resti del Tempio di Hathor sono a nord del villaggio,seguiremo quella via. Copriti bene il capo e srotola le maniche della camicetta: dobbiamo evitare colpi di sole e trattenere i liquidi del corpo… e dobbiamo evitare di parlare. Tieni la bocca chiusa e respira col naso.”
“La marcia nel deserto ebbe inizio.
Il deserto!
Alì lo conosceva bene. Era un elemento ostile ed ingannevole: triplicava le distanze. Mezz’ora dopo, infatti, sembrò di aver percorso solo poca strada e intanto la piccola barca di cannicci sulle spallesi faceva più pesante ad ogni passo. Sedettero al riparo di un basso crostone roccioso a riposare, facendo attenzione alle insidie che poteva nascondere: serpi o scorpioni.
“Sei stanca?” domandò Alì; Isabella scosse il capo, ma a sua volta chiese:
“Ci sono bestie feroci qui intorno?”
“Ehi, principessa? – sorrise lui – Tu sei sotto la protezione di Anubi. Eccolo laggiù lo sciacallo, amico del Traghettare di Spiriti… eccolo laggiù, fra quei sassi.”
“Non verrà qui?”
“Oh no. Quello ha più paura di te, ma la sua presenza è buon segno.”
“Vale a dire?”
“Gli animali nel deserto si aggirano sempre in prossimità di qualche sorgente. Quello sciacallo ci porterà fino all’acqua.”
Trovarono l’acqua a meno di un chilometro, nella cavità naturale di un masso di duro e ferrigno basalto che l’aveva trattenuta dall’ultima pioggia; ne bevvero a lunghi sorsi, poi sedettero.
L’aria era opprimente, il suolo arroventato e la stanchezza, killer spietato, stava in agguato.
“Laggiù… - Isabella drizzò il braccio in avanti, facendo l’atto di alzarsi – Guarda laggiù, Alì… è la jeep di Alessandro.”
“Ferma. Ferma. Non ti agitare. – la trattenne il ragazzo – Stai calma. E’ solo un miraggio… E’ il bagliore della calura e della luce. E’l’aria torrida della terra rovente. Chiudi gli occhi… E’ un miraggio – ripeté –Sono le immagini deformate delle rocce che ci circondano.”
“Dov’è Osor?”
“Vorrei saperlo anch’io.”
“Osor… Osor… Osor…” continuò a chiamare la ragazza, poi siavviò lentamente, libera e staccata, col sorriso e lo sguardo rivolto verso quell’altra esistenza.
“Osor… Sekenze…Amosis. – Isabella cominciò ad agitarsi- Amosis, aspetta. Sekenze non può venire con noi. Aspetta… aspetta…”
“Isabella! – la chiamò Alì. – Potenza di Allah! Stadelirando. E’ tornata laggiù.”
Con gesti affettuosi la sottrasse all’ingiuria del sole, poi tese l’orecchio, ma non udiva altro che lo scricchiolio della roccia che andava in frantumi.
Passò quasi un’ora prima che le ombre fluttuanti davanti ai suoi occhi partorissero ombre più chiare e distinte, poi udì chiaramente il suono di un clakson.
Una jeep si fermò a pochi passi e ne discesero Alessandroed Hammad; il professore si precipitò verso la sorella.
“Cosa è successo?” domandò chinandosi su di lei.
“Sta male. Sta delirando. – rispose il ragazzo sollevando il capo e proteggendosi con una mano gli occhi dall’ingiura del sole – Come avete fatto a trovarci?”
“E’ stato Osor a condurci qui. – rispose Hammad chinandosi anch’egli sulla ragazza – Lasciate che mi occupi di lei.”
Figlio del deserto, Hammad aveva con quell’elementocosì insidiosamente affascinante, un rapporto odio-amore; ne aveva rispetto e timore, ma soprattutto, profonda conoscenza.
Bedu, in arabo, vuol dire deserto e, dasempre, nell’immenso oceano di sabbia, i Beduini realizzano un’esistenza libera ed indipendente e una capacità di adattamento e sopravvivenza unica e particolare.
Mentre Hammado si prendeva cura della ragazza, Alìspiegava le circostanze che li avevano condotti laggiù, infine mostrò la culla di cannicci..
“Isabella sostiene che questa sia la culla di Osor,sacerdote di Bes e che il nostro Osor sia la sua incarnazione…”
Hammad non lo lasciò finire:
“Venite. Presto! – li sollecitò; i due si avvicinarono –Ascoltate…”
“… a me davanti – ascoltarono la voce della ragazza chediceva – ren Nefer… a me davanti la morte…urreka za…de’lamdzi hri peri kess…”
Il volto di Isabella aveva assunto un’espressione sgomenta, le parole erano smozzicate e spezzettate, stentate e frammiste a suoniantichi, come di dialetti lontani.
Gli animi si riempirono di inquietudine.
“Che cosa sta dicendo? – chiese Alì – Sta ancora delirando?”
“No! – rispose il professore – Non sta delirando.”
“… dizeemren Nefer… zeem Amosis… La morte davanti a Nefer… nel calice delloto… blu… vrong vee dt… a dong Nefer…”
“che succede?... Péerché parla così?” chiese ancora ilragazzo.
“Xenoglossia! E’ un caso di xenoglossia. – spiegòAlessandro – E’ la capacità di esprimersi in una lingua sconosciuta.”
“E in che lingua sta parlando?”
“Antico egizio.”
“Per la Barba del Profeta!”
“… di zeem… di zeem – continuava Isabella – Adong…”
“Ma che cosa sta dicendo?”
“Forse… A me pare una richiesta d’aiuto… Non so. Qualcosa del genere.”
“Non ho mai visto una cosa del genere.” confessò Hammad.
“E’ più frequente di quanto non si creda. – spiegòAlessandro – Si tratta di fenomeni sollecitati in condizione di grande tensione psichica in soggetti molto ricettivi… come Isabella in questo periodo.”
“… aiutatemi… la morte davanti a me… di zeem… a dong… nel calice… Isabella… di loto blu…Nefer… Osor…” continuava la ragazza.
“Osor!” ripeterono in coro i tre e si girarono verso la formidabile creatura che, immobile alle loro spalle, pareva essere tornata una statua.
“Osor!… Osor potrà spiegare ogni cosa e svelare ogni mistero.”
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