Pubblicato il 29/10/2014 08:43:16
Mi pare che i grandi poeti, camminatori instancabili, voci impensabili di svelamento, siano anche moralisti, non nel senso di accusatori ma nel senso più proprio di chi osserva con attenzione il quotidiano o l’improvviso, ne studia le ragioni, ne valuta le conseguenze. Leopardi, Merini, Auden, Vaghenas, Pusterla… fanno parte di una schiera di scrittori man mano sdegnati, tormentati, lungimiranti, nostalgici, rapiti, disingannati, impegnati, resistenti. Il poeta scova lo scarto rivelatore per battere la via degli innocenti e riavviare gli smarriti o realisticamente ammettere che lo smarrimento esiste come il dolore e l’impotenza e prendere atto della situazione dignitosamente e in verità. Egli inoltre prova a sottrarre la nostra vita più profonda alla piazza del mercato e a stendere qualche frantume di coscienza per muovere nel lettore un’ inquietudine fruttuosa e tenere viva la grande capacità dell’uomo di esprimere l’accensione vitale del pensiero critico. Ne nascono testi profondi, curiosi, giocosi, tristi, senza retorica che vanno letti bene e consegnati poi alla pausa e al silenzio. Succede che, inaspettatamente, alcuni versi rinascano e creino germogli, tracce mirabili, prove di ricognizione per epifanie, apparizioni di coscienza tra la luminosità naturale dell’uomo e l’altrettanto naturale oscurità, contrari necessari, after Blake, che già bene illustrava nelle originali incisioni o opposti poetici.
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