In occasione del 100º anniversario della nascita di Franz Kafka Prisco De Vivo, artista e poeta campano, in collaborazione con Raffaele Piazza pubblica, per Gutenberg Edizioni,
Kafkalto. Del «Quaderno» e delle «Metamorfosi» libro che è difficile da inquadrare utilizzando i normali canoni editoriali.
È una raccolta che i due poeti dedicano a Kafka e alle sue visioni, ma anche un contenitore di opere d’arte di De Vivo, ma soprattutto un quaderno contenente disegni dell’artista che perfettamente inquadrano i temi e la personalità dello scrittore praghese e accompagnano il lettore nelle sue paure.
Prendendo in considerazione i testi poetici il libro contiene in totale sei poesie. Inizialmente mi riferisco alle tre poesie di De Vivo.
“Cerco di incontrarti” racconta la necessità di un incontro con l’uomo dalla “bombetta scura”, raffigurato così da De Vivo nelle opere e nel quaderno, facendosi impellente il desiderio di seguirne le orme su “strade sconquassate” per arrivare a conoscere i segreti che dalle “loro radici ramificano nell’ignoto”.
In “Guardandoti negli occhi” il rapporto si fa più sottile e approfondito, anche se rimane inconoscibile “un alfabeto infinito di lettere melmose” tanto che “non riesco a decifrare sul quaderno nero” ed allora con tutta l’anima “provo a sognare e a rischiare”.
“Kafka in metamorfosi” si concentra sulla trasformazione del poeta in “una materia informe” con rami che “sbocciano da lunghi bastoni sulla faccia del gracile boemo”, determinando quella metamorfosi che “rende il suo volto e il suo corpo” irriconoscibili.
Tre poesie che svelano il rapporto di De Vivo con Franz Kafka ed accompagnano il lettore alle pagine delle opere e del quaderno dove le parole si fanno immagini e la follia diviene gioco, o forse il gioco della vita lascia posto alla follia.
Passo ora ai tre testi con cui Piazza partecipa a “Kafkalto”.
In “Lettera a Franz Kafka” Piazza ispirato dall’opera “Omaggio a Kafka” di De Vivo fonde i pensieri e le parole dello scrittore boemo nell’opera pittorica dell’artista campano. Da quest’unione nasce un magma che riempie le trasparenze con colori freddi, sovrapponendo parole all’immagine e nello stesso tempo immagini alle parole, in un dialogo di “luci ed ombre nei libri e nel dipinto una forma sola in un rigo del pensiero”.
“Il castello - L’agrimensore K” è la poesia delle domande “dove sono? una taverna? tornerò vivo al mio paese?”, dei pensieri negativi “chi mi comanderà…non riesco a prendere sonno nel chiaroscuro lunare e morale e fa freddo e non ho coperte”, ma anche delle certezze, a volte dolci “romantica nera natura nell’accogliermi una sera”, a volte tristi “non bestemmia abbeverandosi a liquida pietà per l’amico suicida”. È una poesia che pare incompiuta, come il libro di Kafka che, destinato dallo scrittore praghese al macero, viene comunque pubblicato due anni dopo la sua morte.
“Il processo” è un omaggio al romanzo pubblicato postumo nel 1925. Piazza rende trasparente il dramma del protagonista incarcerato senza che ne sappia il motivo “avevo una fidanzata e ridevo spesso (forse proprio per questo la condanna)” quindi condannato “mi uccideranno…… e domani non sarò dopo il boia”, senza nemmeno la possibilità di farla finita lui stesso “mi ammazzerei io ma qui non c’è corda”. La conclusione è l’equivalente della tragica dimensione del Kafka narratore e poeta “fuori dalla mia cella bevono vino i carcerieri ed è il mio sangue”.
Paolino Cantalupo nella postfazione scrive:
“Con Prisco De Vivo, la pittura ritorna sulla scena, inserendosi nell’interstizio tra il figurativo e l’informale. Nei suoi lavori, si produce storicamente un diverso approccio all’arte. Una maniera nuova di disegnare evocando.
Contemplare i suoi lavori significa accettare di guardare il perturbante che è in noi.
Certo, i suoi dipinti evocano con “chiarezza” figure riconoscibili, come quella del grande scrittore Kafka.”
In effetti De Vivo si muove sul foglio bianco, sia per disegnare che per scrivere, come un chirurgo nel rimuovere la parte malata. La solitudine che crea paura che porta all’eccesso della follia. Piazza, da parte sua, nell’ultimo testo, illumina il senso di distacco dal mondo che rende l’anima imprigionata in una solitudine da cui si può uscire solo con la morte. Una morte così cattiva da immaginare i carcerieri bere il sangue delle vittime.
Questa è uno spunto interessante per avvicinarsi al personaggio ed alle tematiche di Franz Kafka. Un bel libro in cui si riconosce l’arte multiforme di Prisco De Vivo e la poetica quasi da psicoanalisi di Raffaele Piazza.