Ritratti in/versi di Silvana Leonardi è una raccolta di calligrammi dedicati a 29 figure femminili della storia letteraria e artistica internazionale e a un uomo, nel suo eteronimo femminile.
I calligrammi sono componimenti poetici che si sviluppano su un testo che prende, nella sua struttura dei versi, anche la forma di un disegno, di un’immagine stilizzata, non necessariamente in relazione, per ciò che rappresenta visivamente, con il tema del testo poetico.
Ebbero inizio nella cultura ellenistica, nel IV e III secolo avanti Cristo, e nella lingua greca presero il nome di “technopegnie”. Si diffusero poi anche nella poesia latina prendendo il nome di “Carmina figurata”.
Questo particolare tipo di poesia, pur essendo sempre stato praticato nelle diverse storie letterarie, anche le più antiche, è stato poi ripreso in tempi più recenti dall’avanguardia, nella cosiddetta poesia visuale e concreta.
Ne abbiamo importanti espressioni nel cubismo, nel creazionismo e, in particolare, ebbe una grande, importante diffusione con il poeta francese Apollinaire nel XX secolo.
Ebbe anche un notevole sviluppo nella poesia spagnola, con Gerardo Diego, e in quella latino-americana, con il cubano Guillermo Cabrera Infante e con l’argentino Oliverio Girondo.
In Italia si praticò nel movimento futurista, soprattutto con Filippo Tommaso Marinetti; e, nel tempo più ampio, nella poesia araba.
L’uso che ne fa Silvana Leonardi è molto contenuto, con colonne figurate di versi di estremo pregio e assoluta precisione, ma senza acrobazie tipografiche o raffigurazioni di immagini troppo estreme.
Nei testi c’è sempre, infatti, una grande coesione tra la struttura figurativa e quella ritmica del verso. Si sente, con grande evidenza, la frequentazione che Silvana Leonardi ha avuto in tutto il suo percorso di scrittura con la poesia giapponese, in particolare con preziosissimi haiku e raffinati tanka, in quanto è estremamente percepibile la compresenza dei tre elementi su cui essa si sviluppa: il significato, il suono e l’apparenza.
Una poesia, quindi, nata per essere ascoltata, compresa, ma anche, e soprattutto, vista.
La raccolta di Silvana Leonardi, come già accennato, è tutta ispirata a delle emblematiche figure della storia letteraria. Si va da poetesse notissime, come Marina Cvetaeva, Anna Achmatova, Antonia Pozzi, Sylvia Plath, Anne Sexton, a narratrici come Colette, Violette Leduc e Ingeborg Bachmann, sia poetessa che narratrice.
Fino a altre importanti artiste, forse un po’ meno note, piuttosto marginali e dimenticate, come Toyen, Juana de Ibarburu, Masha Kaleka, passando per vere e proprie bandiere della scrittura femminile, come Adrianne Rich e Renée Vivien, insieme all’unico uomo, il grande pittore Marcel Duchamp, qui presente nel suo eteronimo femminile, Rrose Sélavy.
Alcune di queste straordinarie personalità sono state addirittura incontrate direttamente da Silvana, nei suoi primi anni di militanza artistica, nomade, inquieta ed eclettica come poche, riflesso di un’inesausta e multifome attività di ricerca espressiva ed esistenziale.
La poesia dedicata a una persona, del privato microcosmo o della più vasta conoscenza storica, nella tradizione letteraria prende il nome di “carme”, ed ha radici antiche: guerresche, bucoliche, amorose.
Qui ne abbiamo una versione di omaggio e testimonianza per delle vite, in qualche modo eroiche, ma di un eroismo spesso segreto, sommesso, intimo, non conosciuto ai più, che Silvana Leonardi ha il merito di farci conoscere, per rendercene partecipi con una passione e una fede nella bellezza e nella nobiltà di queste esistenze, che lasciano spesso senza fiato per la commozione e il pathos che riescono a causare con piccoli tocchi sapienti di “ritratti in/versi”, tanto misurati, quanto folgoranti e devastanti.
In questo “diario metamorfico”, come lo definisce l’Autrice, si assiste a un prodigioso processo di identificazione, per cui la poetessa ci comunica qualcosa della sua stessa vita, attraverso il richiamo delle esistenze straordinarie dei suoi amati “incontri magici”, diretti, o avvenuti su preziose, spesso difficilmente reperibili, pagine letterarie.
Si comincia con Toyen, nata nel 1902, un’artista straordinaria e anticipatrice di tante battaglie “di genere”, il cui vero nome era Marie Cerminova, pittrice ceca, surrealista, morta a Parigi nel 1980, incontrata da Silvana durante la sua tesi di laurea, cui viene dedicato un bellissimo testo, strutturato con l’immagine di due rombi sovrapposti, quasi come una clessidra, in cui Toyen viene definita “Alice nel paese dei deliri”, maschera di un eros visionario, amante di delfini e di onirici uccelli neri decomposti, (byl jsi, tu sei / kde jsi ty, tu dove sei).
Si passa poi a Catherine Pozzi, poetessa francese amica di Proust e Colette, legata a Paul Valéry, e forse amante di celebri scrittori, quali Pierre Louis e D’Annunzio, autrice di “Pelle d’anima”, un “inferno di parole”, come lo definisce Silvana Leonardi, ma anche “luogo di un sogno di impervia bellezza”.
Quindi incontriamo la grande Marina Cvetaeva, poetessa russa a tutti ben nota, conosciuta da Silvana nel suo periodo universitario, tramite la testimonianza di Angelo Maria Ripellino, slavista, critico, poeta e traduttore tra i più straordinari della nostra storia letteraria.
Successivamente ci imbattiamo nell’amatissima Colette, la grande scrittrice francese, autrice della serie di “Claudine”, precocissima ribelle autentica, poi divenuta in Francia “un’istituzione”, prima donna francese a ricevere la “Legion d’Onore”, e perfino i funerali di Stato, nel 1954, definita da Silvana “fatale, seducente soglia dell’infinito”.
Ed ecco Annamarie Schwarzenbach, per molti, come per me, probabilmente sconosciuta; una scrittrice e fotografa svizzera, androgina, lesbica, morfinomane, bohemien, ma di origini alto borghesi, grande amica dei figli di Thomas Mann, Erika e Klaus, attivista antinazista, grande viaggiatrice, in Iran e in Afghanistan e in gran parte del continente asiatico, di cui dà testimonianza nel suo libro “La via crudele”: “eine frau zu sehen, dal viso rivolto alle ferite luminescenti dell’altra luna”.
E ci imbattiamo poi in Jana Cerna, cecoslovacca, nata nel 1928, figlia di Milena Jesenka, ex fidanzata e confidente, per un fitto scambio epistolare, di Franz Kafka, da lei incontrato, però solo due volte, e la cui relazione ebbe fine nel 1920; Jana, detta Honza, nome di un personaggio maschile delle fiabe cecoslovacche, è autrice di bellissime poesie e di un romanzo erotico, tradotto in italiano con un pessimo titolo, ingiustificabile e davvero improponibile, ma tratto dal volume “Clarissa e altri testi”, opera di una forza espressiva dirompente, in cui erotismo e grazia si coniugano davvero magicamente,
per mano di questa autrice di una personalità inafferrabile, definita da Silvana “primordiale guerriera, armata di follia e di poesia impavida”.
È poi la volta di Juana de Ibarburu, poetessa e scrittrice uruguaiana, definita da Silvana nel suo bellissimo testo “dea solare e terrena, ferita dalla strega e poi rinata, / per pura pertinente energia d’amore”.
Quindi incontriamo Masha Kaleko, poetessa tedesca, “fanciulla berlinese… armata d’ironia, / sradicata nella terra d’Altrove”.
E poi, ecco la nostra Nadia Campana, morta suicida nell’84, a 31 anni, “parola oscura di un oscuro mondo”, “accolta dalla luce come / in un grembo di una trama argentata”.
Adrienne Rich, icona del femminismo, “sulla soglia dell’antro di Sibilla, per segni ciascuno con un silenzio dentro, tradotti in responsi illeggibili, ma pertinenti”.
Rrose Sélavy, unico uomo, ovvero il pittore Marcel Duchamp, “sposa inviolata, al di là delle leggi degli arcani”, con cui Silvana mancò per pochissimo un incontro nel 1968, a Roma.
E poi Anna Maria Ortese, “sull’orlo dell’oblio terminale”; Elisabeth Bishop, “perturbato racconto dell’estraneità di un mondo perduto e lontano”.
Mina Loy, che trasforma “una ferita in una rosa rossa, la sua parola di luce”; Elsa von Freytag, “ammantata di stracci di genio e di follia”.
Renée Vivien, altra icona del femminismo, “farfalla dalle ali traslucide, / indifesa di fronte all’imponderabile”.
E scorrono poi, ancora, in una folla di sfolgoranti epifanie, Alejandra Pizarnik, “albero con aeree radici”; Fernanda Romagnoli, “al fondo di un sogno di albe rosate, di tormentati tramonti”; Ana Cristina César, “maschera di geniale bambina / nuda in lagune di sonno”; la grandissima, a tutti ben nota, Anna Achmatova, “solo un’urgenza d’amore / che sopravvive al gelo inaudito dell’erranza”; Cristina Campo. “tutti i versi diversi sono una lunga fune / su cui / femmine folli / talora danziamo / sull’orlo dell’abisso”.
Violet Leduc, scrittrice coraggiosamente fiera della propria esteriore bruttezza, “luminosa come una folgore”; Piera Opezzo, “ la tua vibrante malinconia / di una fragile eternità”; Hilda Doolittle, “Atena / Circe / Euridice / Persefone / profumata d’azzurro”; Ingeborg Bachmann, “estranea e straniera in ogni terra / straniata da ogni destino conforme”: Antonia Pozzi, “sull’orlo della notte / senza aurora”; Titina Maselli, “spavaldamente sospesa tra passione e ironia”; Brianna Carafa “un nome apparso a sbalzo sopra un foglio / di un taccuino vibrante di ricordi e accordi”; Anne Sexton, “ombre di parole segrete / a nutrire il silenzio / parafrasando / un addio”.
Per finire con Sylvia Plath. “in / una / casa / di luce / sull’indaco / dell’onda minacciosa”.
Tutte meravigliosamente fiere della loro gloriosa “arte della sconfitta”, che è in realtà diserzione eroica dalla “banalità del rito d’obbedienza”, di cui Silvana Leonardi si fa, con questa splendida opera, indomita vessillifera.