Marcella aveva indosso una camicia da notte di flanella azzurrina, cosparsa di minuscole mammole, con il colletto tondo, ornato da un sottile passamano viola. Ricordava l’illustrazione di un suo libro dell’infanzia, che ritraeva la saggia Wendy mentre spiccava il volo dalla finestra della sua casa londinese, tenendo ben stretta la mano di Peter Pan.Se ne stava raggomitolata su un divano, avvolta in una calda trapunta colorata, una delle tante che Anna faceva saltar fuori dall’armadio come fossero conigli nascosti nel cilindro di un prestigiatore.
Fissava, al di là dal vetro, San Luca che illuminava di un rosso aranciato la vetta del Monte della Guardia.
Dalla cucina, giungevano rumori di piatti e bicchieri che, urtandosi, tintinnavano ed il martellamento della caldaia che, ad ogni apertura di rubinetto, attaccava e staccava. Infine, fu il silenzio a cui facevano da contrappunto il sordo ronzare della lavastoviglie in funzione ed il lieve russare di Camilla, che sonnecchiava accanto a lei sul sofà, emanando calore amico dal pelo color miele.
Anna le si lasciò cadere accanto, spalancandole contro quei grandi occhi autunnali, che si celavano dietro a palpebre rotonde e perfette come cupole.
La sua mano, con dita affusolate e ricoperte di stravaganti anelli d’argento, andò a cercare quella gelata dell’amica.
“Sai, Anna, credo di aver vissuto tutto quello che c’era da vivere ed, ora, sono stanca, molto stanca. Non si dovrebbero mai fare pensieri come questi all’inizio di un nuovo anno ma sento, oramai, di non riuscire ad immaginare nulla di nuovo o di diverso. Un piatto della bilancia, gravido di passato, sembra non poter scendere più in basso di così, mente l’altro, dondola vuoto, in alto, quasi potesse librarsi in volo se non ci fosse il braccio meccanico a tenerlo ancorato. Il presente ha confini sbiaditi ed il futuro è nostalgia per ciò che non potrà mai essere”.
La snella figuretta dell’altra donna fu scossa da un brivido accondiscendente e complice mentre il viso si protendeva in avanti , quasi a cercare una maggiore vicinanza per poter ascoltare meglio.
“Insomma, se credessi davvero che esiste un Paradiso, un luogo di pienezza, strabordante beatitudine di perfetto appagamento e se potessi liberami dal dubbio che, per chi si toglie la vita, non esiste eternità ma solo l’Inferno dell’annullamento, forse, potrei trovare il coraggio di suicidarmi. Il fatto è che, quando ho rischiato di morire, non mi è passata tutta la vita davanti agli occhi e non ho visto alcun tunnel con in fondo la luce. C’erano solo freddo e dolore fisico.” Alzò il viso, andando a cercare lo sguardo liquido e dolce dell’altra. “Se avessi fede, vorrei morire e se avessi coraggio, mi ammazzerei!”.
Anna si alzò e la condusse nella camera da letto. La invitò a distendersi nel lettone che condividevano quando andava a trovarla e, con passo lieve ed elegante da danzatrice, uscì dalla stanza. Tornò dopo pochi minuti, portando una tazza fumante che le offrì.
Mentre Marcella beveva a piccoli sorsi, la guardò seria come non mai.
“Io la fede ce l’ho. Credo nel Paradiso e sono fermamente convinta che sia un luogo dove non esistono inadeguatezza, rimpianti, insofferenza, negazioni. E se c’è l’Inferno, ti amo abbastanza da correre il rischio di andarci al posto tuo. Stai bevendo il tuo trapasso, ma non aver paura: non soffrirai e non sentirai freddo. Ti veglierò sino a quando tutto sarà finito. Buona Morte, amica mia”.
Un profumo di neve arrivò a stropicciarle la faccia. Si svegliò e vide Anna, completamente vestita e pronta per uscire.
“Com’era la Morte?”
“Non diversa dalla notte o da un treno che parte… non diversa.”
“Allora alzati: ce n'è uno, fra un’ora, che ti aspetta. Ti accompagno in stazione, poi, vado al lavoro”.
“Anna?”
“Sì?”
“Ti ho mai detto che sei la metà del mio cuore?”