Pubblicato il 30/04/2014 12:21:03
Applausi, sento riecheggiarli tra le pareti della mia testa. Sono scroscianti, interminabili, insaziabili. Divorano la pelle ruvida di mani troppo grandi per accorgersene, come quell'uccellino che sta sopra agli elefanti. Mi ha sempre fatto una certa impressione, come fosse completamente noncurante del pericolo, ma adesso ho capito. Ho capito la necessità del volatile, così come ho capito il terrore che si cela in un batter di mani. Ho sentito il rumore di un albero che cade in una foresta deserta – o forse omertosa. Geheime* abbozza il suo solito sorriso a pettine, mentre la rabbia si impossessa di ogni cellula del mio corpo. Ogni istante che passa è un capillare che non sopporta più la pressione. Stavolta gli sarà facile vincere – all'ospite, intendo – stavolta non c'è nemmeno bisogno di spronarmi, bastano le mani: le mie, strette attorno allo schienale di una rancida sedia girevole; le loro, che continuano ad applaudire. Rischio di impazzire “Non era un albero” sussurro, ma aumentando a ogni parola il tono della voce “non avete niente da applaudire. Non doveva essere abbattuto, non era un albero. Non creava nessun intralcio”. Urlo con tutto il fiato che ho in gola, Geheime si aggrappa a una sporgenza per evitare di essere trascinato fuori. Silenzio. Anche gli applausi ne vengono assorbiti. Penso che piangere in silenzio sia la forma più alta di orgoglio, anche se spesso serve a poco. Forse un albero avrebbe potuto resistere meglio. È un essere passivo, abituato a subire. Un uomo no – non di base almeno. Un uomo ha dentro troppe cose per riuscire a saldarsi al terreno. Qualche volta cade, altre viene abbattuto. “Non c'è niente da applaudire, perché l'avete fatto?”. È stato come veder vincere una partita truccata. Tutti sanno che è sbagliato, che il risultato è diverso, ma si fa silenzio, in questa maledetta foresta omertosa. Ho cercato di sovrastarli con tutta la mia voce Federico, ma questo bosco è troppo spoglio per trattenere un suono. Domani racconterò la tua storia a un frutto, a un fiore, a tutte le dannatissime foglie di questa selva, e pianterò un seme di quercia. *Inquilino che vive in un interstizio della mia testa.
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