Pubblicato il 20/11/2008 10:33:00
Racchiudere il senso del lavoro su di sé in una manciata di lettere indirizzate a un’amica lontana. È questo il filo conduttore del romanzo epistolare del giornalista Alberto Samonà, dal titolo "Il padrone di casa". L’autore affida la narrazione a una scansione temporale di dodici mesi, contrassegnati, ciascuno, da una diversa lettera, che restano senza risposta. La destinataria in questione, infatti, resta inflessibilmente in silenzio. È come se tutto il libro si svolgesse nell’ "ascolto" di ciò che scrive l’estensore delle lettere, ma è come se l’unica lettrice di queste fosse l’amica lontana e silenziosa. E paradossalmente, proprio un senso di silenzio sembra essere il filo rosso che lega le 156 pagine del testo, pubblicato per la Robin di Roma. Nel libro, l’autore delle lettere è “dipinto” come un intellettuale, da tutti ritenuto un uomo di cultura specializzato in studi e ricerche esoteriche, il quale, però, ad un certo punto, si rende conto di non avere fatto altro, nell’arco di tutta una vita, che pavoneggiarsi nel proprio ambiente e nei salotti letterari che frequenta con successo grazie alla competenza culturale che egli possiede. A porre il protagonista di fronte alla propria condizione di “deserto spirituale” è una brusca esperienza, in grado di scatenare nel suo essere una reazione, di certo meccanica, ma talmente forte da scuoterlo. E il libro incomincia proprio nel momento in cui il protagonista si rende conto che le pur vaste conoscenze acquisite nel dominio esoterico non sono sufficienti a trasformare se stesso e che, partecipare a dotti convegni o pubblicare libri interessanti, non lo libererà dal sonno nel quale è immersa la propria vita. Le dodici lettere che il protagonista scrive all’amica, apparentemente semplici resoconti di vita ordinaria, in realtà è come se fossero le tappe di un simbolico viaggio iniziatico, o comunque, attività preparatorie al compimento del viaggio stesso.
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