"Oggi è uno di quei giorni".
Aveva alzato la testa, Mia. L'ho vista per caso mentre mi giravo per chiudere la finestra, il suo volto mi è risultato nel campo visivo.
Non l'ho trattenuta oltre, anche se non avrei voluto che questo. Ma comunque lei non ci aveva badato e, conoscendola, sapevo che la mia curiosità di leggerle la mente avrebbe presto festeggiato vittoriosa.
Mi aveva invece domandato e con fare da zitella acchiappachiacchiere:
"Non ti sembra che questo maglione sia dello stesso colore di oggi?"
Ma neanch'io ci avevo troppo badato e quindi:
"A me sembrano solo grigi".
Il pomeriggio si è poi svolto in comune solitudine. Come sempre, del resto.
Alla sera, Mia non era mai che tornava a casa.
Quel giorno comunque, non avevo voglia di far parola per prendere sonno e così avevo aperto il mio libro. Mi avrebbe tenuta sveglia, volevo restare sveglia. Sapevo che Mia aveva qualcosa che avrei voluto conoscere.
Invece Mia quel giorno volle proprio sorprendermi: sotto la frase "Today is one of those days" aveva appiccicato un post-it verde e grande quanto il resto della pagina e disegnato sopra una nuvoletta-pensiero come quella dei fumetti.
Era bella. Mi ha ricordato quanto bella fosse lei.
Dentro aveva scritto: "Irene, il grigio della luce di fuori era lo stesso del mio maglione. Detesto non saperti arrivare. Vedresti tutti i danni dei "solamente" e dei "piuttosto". Il mio essere (o stare?) a metà tra l'aria e l'acqua, senza conoscere di cosa è fatta la terra non ce la può fare ad accontentarti una giornata intera. Quando ti porto con me, comunque, riesco a immaginarci nel mio limbo d'apnea dove non possiamo affogare. Insieme. Ti scrivo perché non te l'ho detto a cosa stavo pensando. Ecco, avevo visto appena il mio maglione quando tu mi hai guardata alla finestra, e in quell'istante ho fotografato la stanza con gli occhi di Magritte. Figurati quindi che autoscatto epico!
Per fartela breve: se avessi le doti da pittrice tenterei, ad esempio, di ritrarre del pallone (che ho immaginato fosse da Basket) del ragazzino che questo pomeriggio che si è divertito alle spalle della nostra finestra, non la posa. Tanto meno il movimento, ma quel suo irritante rumore. Il rimbalzo così puntuale, iroso (ce l'hai presente, non è vero?) che sembrava comandare la pioggia che oggi è mancata.
è stata però riflessa ovunque, anche dentro le nostre pareti e anche quando illuminate a notte. (Che poi, oggi, avevano la voglia matta di sapersi dolci).
O forse, mia cara Irene, è stato un pomeriggio d'Aprile. Un altro pomeriggio di un altro Aprile.
Sì, mi hai sentita e sì, ho alzato la testa e sì, ho pensato a una frase d'inizio!
Non so quando ci rivediamo. Probabilmente sono già dove non so d'arrivare ora che tu hai voluto aspettarmi. Per cui te ne approfitto e te la disegno qui in basso: Bene!
Immagina che oggi è uno di quei giorni, dei miliardi e poveri giorni che non c'entrano niente. Che c'entrano loro? Essi sono, se sono. Ma di certo non te lo vengono a raccontare; a domandare poi, meno che mai. Immagina quindi che beati, meravigliosi sono i giorni che non sono niente. Immagina che per non fare che restino abbandonati, il padre loro è costretto a regalarne! E a chiunque, a caso addirittura. Ma è l'unico sistema fin'ora riconosciuto come universale questo di avere un calendario. Immagina poi qualcuno che pensa a tutto questo carnevale e scrive sul diario: "Il Tempo mette le ore alla mercé dei giorni. E I giorni vanno a finire dentro un orologio. Addirittura in prigione quando iniziano alla sveglia."
E poi si ammazza.
DolceNotte
Mia"
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