Pubblicato il 04/12/2011 13:52:50
Leonardo giace, pesce morto sulla lapide del letto, quando irrompe dall’alto una luce. Il carrello tintinna spinto avanti da una grassa infermiera, la segue un’ombra informe ghermendo una matassa di fili tra le chele. Due occhiate lo penetrano a forza tra le ciglia cispose, martelletti di acciaio gli scandagliano le vertebre, mani ghiacce lo tirano su come un cristo di plastica, gli incoronano la testa con clip di metallo e bigodini di garza. Il giovane tenta una smorfia di scontento, poi si arrende e sprofonda nel water bianco dell’attesa. - Promesso! Guarirai! - La falsa prognosi è del professor Amilcare Assolto, che, unitosi al gruppo, sta per fulminarlo nel cervello, premendo contro i muri delle tempie i volt consentiti dall’ultima direttiva O.M.S.. Insomma una pistolettata per nulla a bruciapelo nel volume della mente.
A pratica eseguita, dopo sobbalzi, bava e membra inarcate, l’infermiera e l’improvvisata portantina ( altresì cuoca e all’occorrenza giardiniere) paiono due suorine soddisfatte al cospetto di un povero appena rifocillato. Quindi chiudono le luci, indietreggiano, passo lento dopo passo cauto, in ritirata dall’altare su cui giace la vittima sacrificale, e s’involano scodando dietro il camice a svolazzo del demiurgo. Leonardo ora è solo. Il suo cranio rasato, divelto dal corpo, come lanciato da un aereo a quota diecimila, giace su un prato di periferia, contro una rete sfondata da un calcio di rigore. Mille schegge lo ingombrano assieme alle urla dei Metallica. Poi il walkman smette e comincia un sogno: tra fichi d’India e sotto un cielo cocente, si perde in un amplesso furibondo, che esorbita dallo schermo.
Al risveglio Leonardo ha impellente necessità di altro sangue, altro fegato, altre gengive, e altre palle. Anche degli occhi. - Su su! Alzati! - Ma il suo labbro scheletrico non risponde, non può, ha sputato calcinacci per l’intera notte. Si guarda attorno, nuvole bianche sparano dalla finestra, lo accecano. Sul tavolino, a lato del letto, lo attende un vassoio di pastiglie, capsule, supposte, e un petto di pollo grigiastro affogato in una purea di patate ancora più anemica. - Poche storie, alzati e cammina! - All’unisono tentano il miracolo, le due donne col dito puntato sul matto. Spodestato del pudore, il poveretto mostra le gambe secche e il suo pendulo membro color fucsia, un pisello in galleggio in un consommè lasciato freddare. Un buffetto materno di Olga, e oplà! L’addomesticato è sul cesso. Ormai è un bolo di prozac e cloropromazina che vaga autodigerendosi tra il letto e il corridoio del quarto piano di Villa Paradiso.
Lunedì, ore sette. La pendola, al centro del corridoio del primo piano, detta il tempo. Dal suo trampolino di lancio, le ore schizzano, nate dalle unghie e dai denti di un passato eterno e ringhioso. Il buonumore non ci azzecca, sarebbe una infiorescenza a gennaio che rischia il gelo. Pur tuttavia il giovane si alza, si fa la doccia, si sbarba, cambia il pigiama, e nudo fissa lo sguardo alla finestra. Vorrebbe essere uno steward che sparecchia il cielo dalle nuvole. Ha deciso, è venuta l’ora di far pulizia d’ogni scarafaggesco annidamento, quindi entra risoluto nello studio, con il cuore che gli trilla cento al secondo e gli alza il pullover giallo mascarpone in una erezione del ventricolo sinistro da lievito Bertolini.
Sa di sandalo e violette, in un mix da stordire all’impronta, la maliarda strizzacervelli, che lo fronteggia in portamento di caccia. Il giovane è un moschettiere al cospetto della regina. La dottoressa Serena De Soavi Swarosky, assisa sul suo trono, lo scruta con occhi megalitici, in affaccio dai fiordi di un vistoso foulard. Ma appena costei si libera della seta, ecco il giovane navigarle nella scollatura, lambire voluttuoso le rosee gelatine che fuoriescono dai merletti impeccabili, acciottolarsi ai piedi della dea come un fagiano spennato, scrutandola concupiscente mentre lei scuote le natiche sulla poltrona e ballonzola i calcagni, in un collant tigrato nero, fuori dai tacchi. Preda dello spigliato accavallar di gambe della dama, polpaccio destro su rotula sinistra, polpaccio sinistro su rotula destra, Leonardo cade in una sorta di stato ipnotico simile a quello che anni prima gli procurò il colombiano professor Juan Alfonso Uribe de Ribeira, finendolo col suo pendolo, presso la Casa di cura Santissima Assoluzione e Assunzione.
A questo punto è bene far sapere al lettore che Leonardo è uso a ricoveri forzati, presso la Casa di cura Preludio del Sacro Cuore e Assistito Rimpianto, nel reparto Paradiso, gestito dal primario professor Amilcare Assolto e dalla sua assistente, appunto, dottoressa Swarosky, poiché la sindrome di cui è affetto, determina l’altalenarsi di periodi di mania furibonda ad altri di depressione a rischio di autolesionismo. Ma vale ancora precisare che, avvezzo da anni all’indaco del disorientamento, non disdegna i vantaggi secondari della malattia, per nascondersi ai richiami pressanti del reale.
Col passare dei giorni, sempre più spesso Leonardo si rifugia nello studio della psichiatra, e in sua assenza, nel silenzio assoluto, nella fitta penombra della stanza, parte a sfrecciare sul fuoribordo del sogno ad occhi aperti, in fantasie osé che la coinvolgono. Seguono i più arditi virtuosismi, le oscenità più acrobatiche, in un distillato porno da fare invidia al più dissoluto editore hard. Insomma, il paziente è invaghito di chi lo cura, della voce che lo penetra, del corpo in livrea d’esperta che lo serra ,tra le tette, a promessa di una nanna perenne.
Ma la pepata peculiarità di tutta questa storia sta nel fatto che Leonardo debba poi riferire queste fantasie, esibite, richieste, riesibite, con dovizia estrema di particolari e sforando di molto l’orario pattuito, al suo psicoanalista professor Candido Traccheggia, ex collega, da sempre invaghito della Swarosky. L’analista voyeur, che in effetti si ritrova un Super-Io assai rigido, e un Io alquanto mistificante, approfitta delle catarsi del paziente per godersi gratuitamente scene eroticobulimiche, polimorfoperverse, che a osare di persona, non si perdonerebbe.
Leonardo, succhiato dalle vampiresche indagini del terapeuta, completamente in balia della patologia di lui, ormai si è ridotto a un pugile rintronato, un automa privo di energie e quindi innocuo. Di conseguenza l’Assolto, colpito dalla scarsa belligeranza del poveretto, ne propone la dimissione per un mese di prova; lo consegna ai familiari e allo psicoterapeuta privato consigliando casomai di intensificare ulteriormente le sedute.
Ma il Traccheggia ha perso, oltre al decoro personale, ogni dictat professionale; in balìa degli istinti più infimi, regredisce assieme al suo paziente, precipita in caduta libera nell’eros. Quindi avviene ciò che qualsiasi assistente sociale alle prime armi avrebbe facilmente immaginato. Alla decima seduta, al culmine di un’orgia-fobico-catartico-ossessiva, Leonardo, invaso e pressato dalle necessità invereconde dello psicoterapeuta, vola, Icaro, oltre il coperchio del mondo. Catapultato in una onnipotenza senza ritorno, perde ogni capacità critica. Come si usa in gergo, fa il botto!
E’ sabato mattina, una giornata primaverile. Leonardo, uscito da casa, ha attraversato due quartieri, e giunto alla facciata ottocentesca della clinica, penetra nel parco, colmo di variopinti garruli visitatori. In preda alla furia degli ormoni montati a mille, nulla più lo trattiene. Ha spinto le mani fino agli avambracci nel fondo delle tasche, come a dichiarare che il mondo è roba sua e può farne quel che vuole. Entra a passo lungo sotto il porticato di colonne rosa; un principe che va a incoronarsi. Al suo cospetto fiero e intransigente, tutti si spostano. Chi ha problemi di dentatura, si fa da parte, neppure sorride consapevole di poter rovinare la scena. I passi cadenzati e potenti seguono la guida rossa fino alla porta dello studio del primario, ma questi, intravista la malaparata, in rapido sobbalzo, corre a specchiarsi nel bagno, fingendo interesse per l’incipiente areata alopecia. Responsabile, al suo posto dietro la scrivania, resta la Swarosky, imperterrita e stakanovista; la rotula destra immancabilmente sotto il polpaccio sinistro. Leonardo le si schiera davanti. Un pavone che sparge generoso la sua ruota di feromoni nell’aria. Veemente, …come Jack Nicholson nel Il postino suona sempre due volte, lascivo come Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo, spudorato come Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi, perverso come Michael Douglas in Basic instint… con un rapido scatto di reni, eccolo saltare sulla scrivania, tuffarsi sulla preda, palpeggiare avidamente tutte, ma proprio tutte, le polpette.
La donna urla a perdifiato, si dibatte, poi cede allo sgomento e stramazza a terra a mo’ di sogliola, sotto il peso del pazzo persecutore. Nell’arco di un minuto l’infermiera, la portantina e il professor Amilcare immobilizzano Leonardo, l’annodano in un camice di tela grezza, lo stringono alle traverse del letto, con bende, clip, e lacci improvvisati, fino a farne un festone natalizio.
Il giorno dopo, Leonardo siede mummificato tra madre e padre avanti alla scrivania del primario. Il virus del sospetto s’è incuneato tra le sopracciglia inarcate di tutti i partecipanti al consesso. Il professore, domina la scena con brandelli di citazioni sui classici, poi sbatte le palpebre, e quasi fosse un esperto in tubologia, chiude rapido lo sgocciolio del dire, sentenziando - No! - Non ricovererà mai più presso la propria Clinica il poveretto! - Mai più! Le inclinazioni perverse recentemente esplose e inequivocabili, in particolar modo nei confronti della dottoressa Swaroski, sono di necessità fonte di disagio insostenibile per la stessa, e rischio e pericolo per l’intera comunità - Quindi offre in visione opuscoli che reclamizzano altre cliniche, fornite di parco-giochi, tavoli da ping-pong, minicampi per calcio e palla a volo, dotate perfino di boomerang, elargibili a sola discrezione della Direzione e per internati supercollaudati.
A due giorni dalla sentenza, Leonardo, imbottito di calmanti, siede ebete avanti al Traccheggia che non può non constatare lo sfacelo in cui è precipitato il paziente. Il clinico sta per valutare criticamente e moralmente il proprio operato, quando Leonardo gli allunga un biglietto, vergato direttamente dalla dea Swaroski. In preda ad un malcelato presentimento, il medico passa a leggere: “ Caro Collega, gli episodi gravi di cui so che tu sai, e che tutti sanno, hanno obbligato la sottoscritta e la stessa Casa di Cura a interrompere le prestazioni sanitarie al nostro carissimo infelice Leonardo. Di conseguenza, finché la famiglia di lui non prenderà contatti con altro nosocomio, ti pregherei di intensificare il tuo impeccabile lavoro di sostegno, in modo che il poveretto non resti sguarnito di professionalità e calore umano, nella speranza possa riprendere in altra Clinica e al più presto la terapia farmacologica idonea. Sono dolente di dover interrompere una collaborazione così fruttuosa, ma la situazione, credo ne converrai, richiede un taglio netto, per evitare a tutti incresciosi sviluppi. Con questa mia, inoltre, intendo ribadirti tutta la mia inossidabile stima professionale. Cordiali saluti, Serena.”
Il Traccheggia ha di fronte un uomo senza sogni, un sogno senza uomo, a riferirgli stitici resoconti di episodi quotidiani con la madre, lo zio, e qualche diverbio insignificante col figlio del portiere. Prima di riporre nel cassetto più intimo della scrivania il biglietto di Serena, senza che Leonardo per altro se ne accorga, lo porta alle nari, lo aspira con voluttà, come fosse l’ultima sigaretta. Quindi, si rincantuccia, in obnubilante tristezza, sotto l’impero del proprio Super-Io. Arreso alla vita e allo schienale, inforca gli occhiali: - Dunque…mi dicevi…quante volte ti sei…ieri…lavato le mani? -
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