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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte16

di Stefano Saccinto
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Pubblicato il 23/11/2011 10:35:47

Quando uno scrittore scompare senza il sospetto che ci sia mai stato


Se camminassi sempre diritto senza mai voltai indietro e il mondo ti si cancellasse alle spalle di passo in passo, ma così silenziosamente che neppure l'orecchio più sensibile riuscirebbe a percepire nulla, che cosa faresti se, forse per vedere magari quanta strada hai percorso, ti girassi un'unica sola volta e te ne accorgessi tutto d'un colpo, che dietro di te non esiste più niente?
Tutta una serie di oscuri indizi mi preannunciò che qualcosa di strano stava per accadere. L'amico chitarrista, a cui avevo orgogliosamente dato la continuazione di Malko, non si espresse in maniera entusiasta sul resto della storia. La prese per buona e basta e mi affidò la sua spettacolare copertina. L'altro, lo scrittore piccolo piccolo, non espresse quasi alcun giudizio a riguardo e lo scienziato, a cui lo raccontai una sera, disse che ero un pazzo, ma che non gli andava di leggerlo. Faceva così con tutto quello che scrivevo. La ragazza che amavo troppo assai, tramutatasi spaventosamente in una moglie basculante dai perpetui malesseri, si fece leggere appena un capitolo del proseguimento, prima di alzarsi nervosamente dalla sedia e inveirmi contro.
- Sei pazzo! - quasi urlò – Io sono incinta, non posso leggere queste cose impressionanti – e se ne andò via in quel suo modo altezzoso ed elegante con una nuvoletta sulla testa che esprimeva chiaramente il massimo delle sue bestemmie – Deficiente -. Lo psicopatico psicotico le aveva devastato nuovamente il cervello, ma stavolta lei non aveva apprezzato.
Arriva sempre un mattino, nella vita, in cui ti alzi e il mondo ti si spacca in faccia. Quegli indizi che avevano preso a sghignazzare, osservandomi dagli angoli più improbabili della realtà, quelle strane verità che a volte mi ero immerso a contemplare, chiedendomi come mai non mi fossi accorto prima di loro, erano diventate sempre più frequenti. Erano i sospetti che da soli non fanno una prova, ma che se unisci bene, come i puntini numerati dei giochi per bambini, fanno uscire fuori bei disegni. La raffigurazione stilizzata che comparve sotto i miei occhi fu quella di un dito medio issato a discapito di tutte le altre dita di una mano. Risaltava molto la sua rotondità, degna di un Keith Haring al massimo della comunicatività grafica.
Qualcosa aveva iniziato a cancellarmi il mondo alle spalle. E lo stava facendo benissimo. Prese minuziosamente a rimuovere dalla testa di chiunque e contemporaneamente l'idea che io fossi mai stato uno scrittore. Tutti cominciarono a dimenticarlo. Una cosa assurda. Gente che aveva sempre letto le cose che avevo scritto e che mi aveva quasi costretto a parlarne, gente che si incazzava se capitava che scrivessi qualcosa di nuovo informandola con ritardi di appena un giorno, assidui frequentatori e commentatori dei miei testi internettiani. Tutti, nello stesso inquadrato lasso di tempo, dimenticarono, rivelando anche violente forme di repulsione, le cose belle che un tempo mi avevano convinto di aver letto. Improvvisamente nessuno mi parlò più del fatto che ogni tanto univo lettere per comporre frasi che, collegate, formavano testi. Sembrava essere diventata una blasfemia.
Pensai che forse ero andato troppo oltre, ma non con i temi, con la profondità della mia ricerca. Con i tempi: avevo rotto il cazzo a tutti. E tutti mi abbandonarono quando mi ero ormai deciso a seguire senza nervosismi la mia vocazione. Bello è che verso quella scelta, in parte, mi ci avevano spinto gli altri. I cazzo di temi letti di volta in volta in classe con le ragazze che crollavano in lacrime dopo i primi due o tre capoversi o con tutti che non riuscivano a trattenersi dalle risate quando la roba assumeva colorazioni ironiche, professori che mi sorridevano mentre leggevano come intravedessero il leggendario futuro che mi aspettava, la ragazza che amavo troppo assai che prima di diventare mia moglie mi scriveva accorati messaggi chiedendomi di non smettere mai di scrivere, amici che mi avevano convinto che i miei testi dovevo per forza farli pubblicare perché avrebbero cambiato il corso della storia letteraria, intere mattinate della più bella estate letteraria passate a parlare di quando i miei testi sarebbero stati diffusi. Il chitarrista ci voleva fare persino un film, con Malko!
Tutto svanito nel nulla.
Iniziai a percepire qualcosa di strano. Che stava accadendo per davvero, non era una mia impressione: se provavi a tirare in ballo la questione dello scrivere, la gente (chiunque fosse) cambiava discorso immediatamente. Certe volte iniziava a cambiare discorso se nella mia frase associavo insieme già la lettera s con la c. Il suono duro divenne peggio che passare sotto le scale dei condomini, farsi attraversare la strada da gatti grigio fumo, rompere superfici di plastica riflettente. Andava evitato ad ogni costo, anche rompendosi un braccio per dissimulare.
- Questo pomeriggio volevo sc...
- Cazzo, la Juve ha venduto Zidane!
- Beh, dopo due anni pensavo ci avessi fatto l'abitudine.
Oppure:
- Avete sentito della nuova riforma della sc...
- Qualcuno ha mai letto un libro di Grazia Deledda?
- No.
- Neanche io
Sc...
- C'è un bel sole oggi. Anche se è sera. C'è stato stamattina.
Sssssc...
- All'ipercoop se fai la tessera soci ti fanno il venti percento di sconto sulle presine a fiori. Sono belle.
Ssssssssscattava la molla.
L'importante diventava dire un'altra cosa. Pareva che il mondo si fosse organizzato al meglio per prendermi per il culo. E per occuparsi di cosa, poi? Delle cazzate più totali. A te veniva di condividere gli spettri assurdi che ti infestavano la mente e loro preferivano parlare di una cosa troppo fessa che avevano visto in Tv. Oppure della malattia che aveva preso uno che neanche conoscevi. Che neanche conoscevano loro. Non era un caso, era tutto ben studiato. Ed io me lo studiai di rimando.
All'inizio non attendevo nemmeno che finissero la momentanea interruzione per riprendere il filo del discorso. Poi cominciai ad attendere. Ma le interruzioni si facevano sempre meno momentanee. Alla fine decisi di non intralciare: appena il discorso cambiava, facevo finta che me ne dimenticavo pure io, appassionandomi immediatamente alla stronzata del giorno. Sembrava che ne sapessi più di loro a riguardo. Notai, in quei giorni, che la gente non si sognerebbe mai e poi mai di inserire in un suo discorso le due parole accoppiate stavi e dicendo con accezione interrogativa. Galanteria anacronistica, raffinatezza superflua.
Decisi che forse sarebbe stato meglio parlare dei miei progressi in materia di diffusione letteraria, ma successe con questi la stessa identica cosa che con gli altri. Tutti si rompevano il cazzo come niente. Cominciavano a guardarsi attorno. A volte chiedevano l'ora. Dovevano andare. Certe volte anche mezzora prima del solito rientro. Certe volte mi si addormentavano accanto, in macchina. Quando il penultimo dei miei amici andava via, all’ultimo cominciavano a venire le palpitazioni. Usciva roba di grande fantasia pur di non ascoltarmi. Come se glielo avessero vietato seriamente. Pena decapitazione del pene. Sutura vaginale per le donne. Una cosa grave. Mi dissi che come scrittore non valevo un cazzo. Ma, certo, come conversatore neanche quello.
Riguardai il mondo cancellato alle mie spalle. Mi venne da ridere. Questi non sapevano niente. Io ero il più grande scrittore vivente. E loro cambiavano discorso. Mi inventai un gioco. Cominciai a parlare d'altro, con chiunque. Diedi ad ognuno degli spazi limitati. Calcio e fumetti a uno. Musica e film a un altro. Lavoro a quasi tutti gli altri. Le donne le concessi più o meno a tutti, ognuno aveva le sue cazzo di storie. Smisi progressivamente di parlare del resto e finalmente tutti videro lo scrittore inabissarsi nelle profondità a cui era stato destinato. Fine della storia. Tutti erano contenti così e alla fine, anche se controvoglia, decisi che ne sarei stato contento anch'io. Ma amavo fottutamente ancora quel cazzo di ticchettio che fanno le dita veloci sulla banalissima tastiera di un computer. Presi a battere le tesi per un euro a pagina.

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