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Riflessioni di uno scrittore con le scarpe rotte11

di Stefano Saccinto
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Pubblicato il 17/11/2011 12:16:11

Questo amore comportava: fedeltà eterna, ciò vuol dire che non avrei mai potuto annusare le tette di un’altra donna, mai sfiorare la passera di un’altra donna, mai essere felice delle attenzioni a sfondo sessuale di un’altra donna e ammettere, con tutti, anche parlando di una spruzza sesso da tutte le taglie che invece che piacermi, mi faceva schifo. Comportava attenzione nei comportamenti: niente eccessi che potessero turbarla, niente comportamenti schizofrenici dinanzi ai suoi genitori, zero allusioni al sesso non edulcorate fino allo schifo davanti ad amici, amiche e parenti, niente polemiche sui ridotti orari per vederci né intrusioni sulla decisione dai parte dei suoi genitori che non poteva andare in moto. Comportava attenzione nello scrivere perché poi lei avrebbe letto: mai più un testo per un’altra donna, attenzione a non offenderla, dedicare buona parte degli scritti alla nostra storia, almeno sul piano della poesia. Per fortuna l’ultima parte mi veniva bene perché era un diretto derivato dell’amore.
Il problema era che ci avevo messo un anno per convincermi che stare da solo era la cosa migliore e tutto era andato per il meglio. In Una di quelle notti avevo scritto anche di lei. Le avevo dato il ruolo di una ragazza di quattordici anni che veniva stuprata da un vecchio ubriaco e poi uccisa a coltellate. Questo era molto interessante, ma adesso forse avrei dovuto cambiare la storia. Era un gran bordello, ma la mia vita era fatta così ed io non avevo il cuore di buttare via una cosa così bella come lei. La prima volta ero stato io a lasciarla, ma due giorni dopo lei non aveva più voluto saperne di tornare insieme. Avevo ormai decretato che fosse meglio così. E invece era successo ancora. Questa volta c’erano di mezzo il sesso e la verginità. Cose serie.
Scambiare una ragazza innamorata per una puttana era una svista non da poco, ma tipica di me. Di solito mi era capitato il contrario. Ma, dal momento che ero innamorato anch’io, per quanto mi fossi allenato al cinismo, decisi che da lei avrei preso tutto: sesso, amore, tenerezza, litigate, figli, case, macchine e complessi di inferiorità. Mi premeva il sesso.
Per questo, negli anni a venire, passavo le mattinate al lavoro a pensare al suo corpo profumato che mi aveva alla fine offerto completamente. E io tutto l’avevo preso. La sua carne era davvero ottima, sapevo già che ci si poteva passare una vita intera.
Per lei avevo scritto le mie migliori poesie. Lo facevo da anni ormai, da quando ci eravamo incontrati la prima volta, quando eravamo stati insieme, quando ci eravamo lasciati e quando eravamo tornati insieme. A leggerle tutte di seguito, in sequenza cronologica, si sarebbe potuta leggere una vera e propria storia, degna della Vita Nova di Dante. Lei era la mia musa, più angelica di Beatrice e più mistica perché afflitta da un desiderio sessuale a impulsi. A provocarlo ero io e questa era vera poesia. Leggeva le mie cose come se ne avesse fame, piangeva, si arrabbiava se la tenevo all’oscuro di una nuova pagina, come se fosse roba sua. Mi faceva impazzire.
Per lei valeva la pena di essere un poeta, c’erano i giusti tomenti finché non mi faceva abbeverare alla sua fonte. Le mie depressioni abitudinarie erano tutte sfasate dalla sua presenza, bastava che mi concentrassi sulla sua bellezza e capivo che se avevo avuto lei, avrei potuto avere tutto, dalla vita. La vita mi voleva bene finché c’era il suo corpo chinato in avanti e pronto all’amore dinanzi al mio, a provarmelo. Ed io inneggiavo nei versi all’ebbrezza che mi provocava. C’era da innamorarsi al solo leggere.
Ma i lettori di Liberodiscrivere non l’avevano mai vista e non potevano capire. Decretai che quel sito non forse il posto per me. O forse lo era perché nel frattempo che scrivevo ancora non avevo trovato un degno sito con cui sostituirlo. Tutto questo finché il curatore del network non mi mandò una mail su cui scriveva che lo stato del sito cambiava e che stava per diventare a pagamento. Costava poco. Ma io non avevo neanche quello, da investire. Mi diedi tempo un mese per pubblicarci ancora e poi avrei levato le tende.
I commenti negativi tornarono. - Questa non è poesia, poesia, oesia, esia, sia, ia, ia -. Decisi che qualcosa non andava o che qualcosa dovevo fare. Non c'era verso, o meglio c'era, ma non era considerato poesia. Il torto non lo facevano a me più che alla ragazza che amavo troppo assai, degna del miglior poeta di tutti i tempi. Che ero io, per forza di cose, visto che coincidevano il fatto che l’amavo, il fatto che mi amava e il fatto che scrivevo per lei.
Una sera del gennaio letterario più triste che avessi mai vissuto, scrissi una cazzata veloce veloce. Si chiamava Radio Ga Ga dedicata a Freddy Mercury. Più tardi scrissi un altro testo. Più tardi ancora un terzo. La mia non era poesia. Me lo dicevano fin dalle scuole medie. Che scrivevo a fare?
Il giorno dopo scrissi un testo. La mattina. La sera altri tre. Cazzate veloci veloci. Ma non erano poesie. Presi un foglio, ci feci le lettere dell'alfabeto cerchiate, lo girai e tristemente, con una mano sotto il mento, lo bucherellai cinque volte pensando che dovevo smetterla con quelle stronzate e trovarmi un interesse vero. O quantomeno un lavoro a tempo pieno.
Girai il foglio. Le lettere che avevo bucato componevano la parola Mejfy. Nell'ordine. Che razza di interesse poteva essere mai quello, certo che di un lavoro con quel nome non avevo mai sentito parlare?
Se la lista della spesa la si può chiamare anche elenco e un racconto potrebbe anche essere definito novella, se una poesia si distingue in ballate, canzoni e sonetti, magari le mie cazzate potevo rinominarle Mejfy. Definirle direttamente cazzate avrebbe un po' scoraggiato i lettori. E in quel modo non sarebbero state poesie, così nessuno si sarebbe più preso l'impegno di mettermene al corrente. Sarebbero state cazzate camuffate. Mejfy. Forse le lettere dell'alfabeto inglese potevo anche evitare di metterle.
Pubblicai i miei testi su un sito appena scoperto. Si chiamava Neteditor, pullulava di letture e commenti, era il primo nel motore di ricerca. Da qui uscivano i veri scrittori. Non c'erano dubbi.
I testi erano piccoli, scoordinati, parlavano di temi poco profondi ed erano basati solo su sensazioni, emozioni zero. Lo stile praticamente non esisteva, la punteggiatura messa a cazzo, parlavano di avvenimenti quotidiani, spesso troppo personali per essere capiti. Non c'era molto da capire. Forse niente.
I commenti furono pochi ma unanimi: i testi erano particolari e si facevano leggere bene anche perché erano scritti di getto quindi particolarmente fluidi, senza correzioni. Con errori grammaticali a volte. Una cosa strana.
Decisi di anticipare i futuri commenti negativi spiegando che queste non erano poesie, prima che se ne accorgesse qualcuno, ma non potevo farlo pubblicando una definizione tra i testi: sarebbe stata in homepage per uno o due giorni soli. Mi serviva una cosa permanente. Per la prima volta decisi di scoprire che cosa significava quella scritta in piccolo che appariva su molti siti che metteva insieme le lettere f o r u m. Mi sembrava c'entrasse qualcosa con quello che cercavo. Ci entrai. Sembrava una cosa permanente, c'erano messaggi datati, parecchio vecchi.
Entrai nella sezione che riguardava le categorie letterarie, mi sfregai le mani, intitolai l'argomento Mejfy e mi misi a scrivere un sacco di cazzate che cercavano di definire il genere. Ma il genere era indefinito anche se alla fine quello che scrissi rispecchiava bene lo stato confusionale in cui annaspavo. Andai a cenare e non me ne preoccupai più, sicuro che una cosa con un nome come f o r u m non dovesse essere particolarmente visitata.
La sera tardi mi rimisi a scrivere. Scrivevo senza interruzioni, Mejfy a raffica. Ascoltavo la musica e scrivevo. E si facevano le quattro di mattina. Andai a vedere se i miei testi avevano riscosso il successo che meritavano. Niente. Neanche un commento. Pensai di vedere se magari qualcuno aveva letto il mio argomento nel f o r u m. L'avevano letto. E commentato. Pensai che forse avrei iniziato a scrivere solo nei f o r u m. Il primo commento diceva così – Mi piace il modo in cui l'hai definito. Lo metto tra i generi.
Adesso bisognava decodificare il messaggio.
Lessi gli altri commenti. Tutti riguardavano i generi e la gente si era un po' incazzata per il commento che non avevo ancora capito. Decisi che per capire gli altri avrei dovuto capire il primo.
Allora: chi l'aveva scritto era uno che gestiva il sito, il commento arrivava quindi dalla redazione. Inserire Mejfy tra i generi. Mmm. Forse i generi letterari. Non poteva essere. Andai a pubblicare una cosa appena scritta e feci scorrere il cursore tra i generi. Mejfy non c'era. Tanto ormai l'avevo quasi pubblicata, scelsi la categoria.
Mejfy.
Era lì.
Tra le categorie del primo sito nel motore di ricerca, quello da dove uscivano gli scrittori veri. Mi guardai attorno, raccolsi il foglio con le lettere dell'alfabeto. Lo girai. Mejfy. Sì, l'avevo inventato proprio io, non mi stavo sbagliando.
Io pensavo che sarei diventato uno scrittore. Non volevo diventare altro. Vabbe', a dodici anni volevo diventare calciatore ma non era un vero e proprio amore. Pensavo - Concentrati sullo scrivere, tira fuori il meglio - ma in realtà la mia situazione letteraria era molto squilibrata. Tiravo fuori il meglio. E subito dopo il peggio. Scrivevo un sacco di stronzate, insomma. E pensavo che prima o poi me le avrebbero pubblicate, che un giorno mi sarei occupato solo di scrivere: avrei avuto una stanzetta con scrivania, macchina da scrivere, finestra sul cortile, sigarette da montare e fumare e avrei scritto tutto il giorno quasi tutti i giorni. Cosa? Non lo so. Ah, e anche McCallan da bere naturalmente. 18.
Potevo vivere di questo per sempre. Era quello che mi piaceva per davvero. Invece mi trovavo a cercare di difendermi da degli assassini di sogni senza McCallan su un maledetto sito letterario che non ripagava le mie buone intenzioni di illuminare il mondo con il genere letterario più particolare che si fosse mai potuto concepire. Le Mejfy. Una vera rivelazione. Dopo quella di Cristo. Nei giorni successivi all'inserimento tra i generi, alcuni sposarono la mia causa sul forum, ma si dissociarono da me. Pur tenendosi il termine. Alcuni non sposarono né causa, né me. Alcuni accusarono sia la causa sia me. Quelli erano i più tremendi. Uno era il loro paladino. Aveva la fissa per le kappa. Le metteva dovunque. Io quella fase l'avevo superata a quindici anni, quando avevo scoperto la beat generation. Si chiedeva come mai non si capisse che il mio genere era una cazzata. Me lo chiedevo anch'io. Eppure mi ero messo d'impegno a stendere la mia definizione.
Di letterario c'era ben poco. Nel tutto, voglio dire. Soprattutto in me. Mi chiedevo dove stavo andando. Se stessi andando per davvero da qualche parte. Mi chiedevo se non fosse ora di smetterla. Di scrivere, intendo. Un talento vero si sarebbe visto da lontano. Io mi ero dato già quattro anni. Quasi quanto un buon corso di laurea. Avevo ottenuto di perdere il contatto con Ladisa, il concorso con Baldini&Castoldi, i vari concorsi a cui partecipavo con poesie del cazzo (e vincevano sempre poesie ancora più del cazzo al che pensavo che forse le mie non erano ancora abbastanza del cazzo) e commenti completamente discordi sui vari siti che avevo frequentato. Un talento vero nel frattempo si sarebbe visto. Beh, sì... ma hai sempre la stupida speranza che il mondo non sia ancora pronto. È una possibilità.
Mi fermai un attimo a pensare e mi dissi che forse internet non era il posto giusto dove pubblicare le proprie cose perché chi frequentava i siti letterari non erano i lettori (io credevo che esistessero) ma gli scrittori stessi e quindi i giudizi erano tutti condizionati dalla volontà di emergere più che quella, semplice, di leggere. E quegli scrittori erano lì da prima di me. Si erano accaniti per tanto tempo solo per ricavarsi il loro piccolo angolo di anonimato che li rendeva comunque felici come se ormai fossero la nuova avanguardia letteraria. Quel mondo era di altri ed era altamente autoreferenziale. Non accettava le novità. Neanche quelle brutte.
Mi intristii tutto d'un colpo. Chiesi al curatore del sito di eliminare mejfy dai generi, cancellai il mio profilo e mi relegai nel silenzio. Il genere rimase attivo ancora per diversi mesi. Qualcuno lo usò per parecchio, lo esportò negli altri siti. La gente si incuriosiva, gli chiedeva che genere fosse e ogni volta la definizione cambiava. Nessuno si ricordava più da dove era nata ed io ero scomparso dal sito più ben fatto che avessi mai visto: Neteditor. Il primo sito sui motori di ricerca. Quello da cui uscivano i veri scrittori. E io infatti ero uscito.

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