Si ritrovarono da soli e Lucilla, coperta unicamente dallo sguardo innamorato di Marco.
Il giovane le si avvicinò piano. Lentamente. Assaporando l’attimo meravigliosamente prossimo di un frutto da cogliere. La guardava con tutta la sessualità accesa, l’olfatto eccitato: l’aveva desiderata fisicamente fin dal loro primo incontro sul Palatino. Un desiderio che lo aveva quasi ossessionato e spinto altrove: un desiderio mai soddisfatto con alcuna altra donna, però. Un desiderio sempre più potente. Più di ogni altra sensazione ed eguagliato solamente dall’amore che per lui era sfaccettatura dello stesso sentimento.
Anche lei lo guardava. A piedi nudi, le mani tremanti che reggevano un telo di lino e con dentro gli occhi qualcosa che Marco non capiva. Le fu vicino. Lei continuava a fissarlo con “quello” sguardo. Lui continuò ad accarezzarle le spalle nude poi le cinse la schiena; il desiderio gli premeva dentro prepotente.
Lucilla si sollevò sulla punta dei piedi; con un braccio gli circondò il collo e con l’altro continuò a reggere il lembo del telo che copriva ormai così poco del suo corpo, ma nascondeva tutto il suo pudore che brillava intenso, rannicchiato negli occhi azzurri. Marco tremava d’emozione, mentre si chinava a cercare quella curva eccitante tra la nuca e il collo; l’anima e i sensi imprigionati dall’odore di lei.
“Marco, io..” cominciò lei con le palpebre abbassate.
Marco comprese.
“Hai paura? - domandò - No!... Non devi averne, tesoro mio. L’amore è una cosa dolcissima!” la rassicurò, rituffandosi nel suo sguardo e prendendo possesso dei suoi sensi e del suo pudore. Abbassò il capo e la bocca affondò ghiotta sulla nuca e sul capo; il telo scivolò a terra.
Il tripode, poco discosto, ardeva crepitando.
Con le mani Marco la percorse: la schiena, i fianchi, la vita. Si insinuò tra curve e pieghe. Lentamente. Leggermente. Dolcemente.
Lei sentiva liquido fuoco vivo attraversarla tutta e l’eccitazione consumarla: il contatto con la diversità di lui. Così dura. Così terrificantemente eccitante. Poi la bocca di lui che scivolava lungo il collo, la gola per fermarsi sul seno: “Oh!...” gemette.
Vinto da quella resa voluttuosa e dall’ardore del proprio temperamento, Marco piegò un ginocchio e la trascinò a terra con sé; con l’altro ginocchio la sostenne; il soffio ansante delle sue labbra sfiorava i capelli di lei.
Lucilla cercò di trattenere gli ultimi brandelli di pudore, ma lui sorrise con inusitata dolcezza in tanta eccitazione. Prese la mano di lei e ne guidò le dita tremanti sotto la tunica slacciata. La pelle eccitata fremette. La bocca, sempre affondata nella dolcissima curva tra collo e spalla, impazzì di piacere. Premette più forte.
Un brivido percorse Lucilla. Così profondo da darle la sensazione di perdere conoscenza e vacillare. La sua mano smise di carezzarlo; le dita si contrassero, le unghia quasi si conficcarono nella schiena di lui. Si accorse di essere distesa per terra. Supina.
Marco, a torso nudo, era sopra di lei. La tunica era per terra accanto al suo telo di lino, ma lei ne vedeva solo un lembo, segmentato di rosso. Vedeva l’aria rilucere del riflesso del tripode e il bel volto di lui trasfigurato dall’eccitazione e dalla passione. Chiuse gli occhi e sentì le labbra di lui che cercavano la sua bocca; le sue mani continuavano a percorrerla. Rispose al bacio.
Nuovamente Marco prese la sua mano per guidarla su di sè. Nuovamente lei fremette, mentre imparava a conoscere quel corpo che amava e in cui era concentrato tutto il mondo che andava scomparendo intorno a lei: sempre più piccolo e stretto, fino a ridursi a quel solo essere adorato. Le pareva, mentre con le dita scorreva e scopriva la pelle eccitata di lui, i rigonfiamenti, i muscoli, gli incavi, di conoscerlo già: quante volte aveva accarezzato quel corpo facendo l’amore con lui con la fantasia.
Un’altalena di emozioni, un groviglio di sensazioni che elevava e inabissava e i respiri ora corti, ora lunghi. Pian piano i respiri si fecero calmi, placidi. Fino a scivolare all’unisono lungo un tempo immobile. Come trasognata, Lucilla sentiva il capo di lui fremere contro la sua spalla, il suo petto ansante, le sue mani sulle gambe. E Marco sentiva le braccia di lei intorno al busto, le gambe avvinghiate alle sue, le dita accarezzargli dolcemente la schiena. Ancora cercò le labbra di lei, poi, quando le labbra la lasciarono per saziarsi altrove, le vide reclinare il capo dolcemente di lato. Completamente arresa. Completamente abbandonata. Completamente rilassata. Rilassati i muscoli delle gambe, rilassato il grembo, rilassata la pelle intorno all’inguine.
Un dolore acuto le strappò un gemito, poi una sensazione di sconfinato piacere che mutò in eccitato languore i gemiti di dolore e che la trasportò in alto, verso vette sconosciute e immacolate, in un tempo immobile, insieme a lui, in dimensione irreale e magica.
Giacquero, l’una sull’altro, per riemergere storditi e appagati.
(continua)
brano tratto dal libro di Maria PACE:
"LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses"
di prossima pubblicazione