Cosa resta di tutte le foto che ognuno si sente quasi obbligato a scattare compulsivamente in ogni momento della giornata? Oppure, quanto tempo dura la persistenza di un post, ancorché sensazionale, pubblicato su un social? Probabilmente pochissimo, giusto il tempo di osservarlo, magari fare un commento e si passa oltre. Non si volta pagina, no, la pagina semplicemente sparisce, si dissolve, materialmente e dalle menti di chi l’ha vista. Questo è dovuto, soprattutto, al fatto che si tratta di immagini superficiali, foto atte a rappresentare solo la parte visibile di quel che ritraggono. In un tempo e in un luogo lontani, per la precisione in Giappone, invece, visse il monaco Urabe no Kaneyoshi, meglio noto con il nome buddhista Kenkō. Negli anni tra il 1330 e il 1332 scrisse degli autentici “post” ante litteram, nati dall’osservazione incantata del mondo circostante. Non si premurò semplicemente di descrivere delle situazioni o delle persone, ma riuscì a coglierne la vena poetica racchiusa sotto la superficie. In frasi apparentemente semplici si cela una grande conoscenza della natura (La gente dice comunemente che la fioritura completa del ciliegio avviene il centocinquantesimo giorno dopo il solstizio invernale, ovvero una settimana dopo l’equinozio di primavera, ma di solito avviene il settantacinquesimo giorno dopo l’inizio della primavera), così come delle tradizioni, sia della gente comune che della corte imperiale, dell’etimologia eccetera. Insomma, mise la sua grande conoscenza al servizio dell’osservazione e della trasfigurazione poetica del mondo circostante: Il kaiko è la valva superiore di una conchiglia simile alla buccina, ma più piccola e con una sporgenza lunga e stretta all’imboccatura. Ne ho trovate alcune nella Baia di Kanesawa nella provincia Musashi. La gente del posto la chiama henatari.
Una lettura molto rilassante, divisa in 243 capitoli di varie lunghezze, da una frase ad un paio di pagine, che conduce il lettore in un mondo affascinante, ormai scomparso, di cui rimangono le tracce nelle leggende e nelle tradizioni. Chi ama leggere gli scrittori giapponesi attuali sarà sorpreso di trovare in questo libro frammenti che sono sopravvissuti sino alla scrittura moderna.
Per concludere: la leggenda vuole che Kenkō abbia scritto i brani contenuti nel volume dapprima su strisce di carta (le antenate delle paperolles proustiane?) e abbia appeso le strisce alle pareti di casa, dopo la sua morte i frammenti sono stati raccolti in un libro e tramandati sino a oggi.
Per gli amanti del genere “Momenti d’ozio” non può non evocare il libro “Note del guanciale” di Sei Shōnangon, il quale, similmente, raccoglie aneddoti e osservazioni; è stato scritto circa trecento anni prima. Entrambi i libri appartengono al genere chiamato zuihitsu, ovvero segui il pennello. Ed effettivamente i capitoli di questi libri fanno pensare ai tratti di un pennello nella loro indefinitezza, ma anche nel modo in cui, secondo la tradizione, gli ideogrammi vanno tracciati, attenendosi a un’armonia tra pennello, colore, carta ed ideogramma, e conservano sempre un che di indefinibile, di non finito, che forse trova il compimento solo nell’animo di chi legge, proprio perché dettato dal profondo delle cose e non dalla superficie.