Jan Patocka
Tra filosofia come vocazione e politica come sacrificio necessario
Se la politica incombe sul nostro quotidiano dibatterci in difficoltà pratiche di ogni genere, la filosofia appare sempre più come un piano del sapere del tutto separato dalla realtà, a meno che non la si intenda come mezzo per la conquista di spazi di potere nei diversi agoni professionali, politici, ecc. In pratica, un valore strumentale o di facciata. Naturalmente ci riferiamo a un sentire acritico, ma molto diffuso - se la percezione non c’inganna - fra le giovani generazioni, anche in quelle fasce sociali non del tutto prive di strumenti di analisi culturale. Non si tratta di un problema italiano, ma di una realtà del nostro tempo e del nostro mondo occidentale, industrializzato, consumistico, deideologizzato, disorientato, e sempre più contraddittorio.
Su questo sfondo, appare più che mai emblematica la figura del filosofo cèco Jan Patocka (1907-1977), che in occasione dei vent’anni dalla morte è stata portata all’attenzione del pubblico e degli studiosi, nei giorni 6 e 7 giugno, nel corso di un convegno internazionale, di cui è stato organizzatore e animatore il Prof. Domenico Jervolino del Dipartimento di Filosofia della “Federico II”. All’iniziativa hanno inoltre assicurato consenso e sostegno organizzativo l’Università di Studi Orientali, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”.
Ciò che rende peculiare la presenza di questo pensatore nel panorama culturale della seconda metà del Novecento, è il fatto che solo le crudeli necessità della storia ne hanno fatto un “filosofo resistente” - secondo una definizione di Paul Ricoeur - nel senso politico del termine. Ciò in quanto gli effetti più perversi della politica hanno investito un’esistenza paga di studi, imponendo alla stessa riflessione filosofica, orientata verso le sue scaturigini greche, l’onere di farsi carico della violenza “del proprio tempo e della propria situazione storica”. L’esistenza di Jan Patocka, già attraversata dalla tragedia del nazismo, che lo vide protagonista, con altri, nell’opera di salvataggio degli inediti di Husserl (cèco per nascita egli stesso), fu infatti segnata dalla intensa esperienza della “Primavera di Praga” del ‘68, e infine spezzata dalla repressione stalinista, nello stesso anno che lo vide tra i firmatari di “Charta ‘77”.
L’originalità della sua visione filosofica - animata dallo sforzo di ancorare proprio all’inevitabilità della sofferenza la solidarietà degli uomini per la reciproca debolezza di fronte alla violenza della storia, e che si propone come soccorso del pensiero fenomenologico alla “comunità degli scossi” - è stata oggetto di un articolato confronto fra studiosi di vari paesi, sui cui contenuti ci riserviamo di tornare, in forma più estesa, in uno dei prossimi numeri.
19 Novembre 1997
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