Pubblicato il 26/05/2008
Trafelata, salgo il predellino e prendo il treno appena prima che le porte si chiudano. Come sono faticosi i ritorni. Mi sento come il soldato che, finita la licenza, ritorna al fronte, portandosi nella sacca la nostalgia dell’arrivederci ed il presentimento dell’addio. Incastrata nell’angusto quadrilatero del passeggero, incollo lo sguardo al finestrino. Quelli dei treni moderni paiono uno schermo delle televisioni al plasma. I fotogrammi mi corrono incontro, magnifici, solenni, neutri. Ecco degli operai al lavoro ma non avverto l’afrore del loro sudore, vacche grasse che pascolano e si crogiolano all’ultimo sole ma non sento puzza di letame, il fiume mi inghiotte ma non posso udire il suo gorgoglio. Galleria: dissolvenza incrociata. Sullo schermo nero si proiettano le immagini girate in interno. Purtroppo, torna il sonoro e si riattiva l’olfatto. Sostenute dal puzzo del panino Mac Donald's del mio vicino, musiche improbabili di cellulari si intrecciano in una dissonante sinfonia. Gli fanno da contrappunto il ticchettare di almeno venti mani sulle tastiere dei portatili. Irrompono le urla di un bimbo che grida estenuato dalla forzosa immobilità. Una voce odiosa pontifica sui romani che “non sanno guidare e se ne fregano se ti mettono sotto… a Torino non sarebbe permesso!”. A lui è successo tante volte: mi chiedo indispettita se ad ogni incidente abbia chiesto il certificato di nascita all’incauto guidatore e resto in attesa dello scontato, inevitabile, successivo luogo comune. “Peggio che a Napoli: e ho detto tutto!”. No, becero razzista, cittadino di chissà quale luogo che non è mondo: non hai detto niente perché meno di niente valgono le credenze che sottendono le tue parole. In quinta di sinistra una donna mi sorride pietosa: ci capiamo con uno sguardo. Il becero ciancia, il bambino urla, il cellulare vibra e polifonicamente rompe i coglioni, i plink delle mail in arrivo sono una goccia cinese. Taglio netto: lo schermo si riaccende. Dio, ti ringrazio. E sprofondo nell’oblio del cinema muto.
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