Come un sortilegio di antiche voci, quanti lontani inverni,
Le colature della pioggia sopra l’intonaco
Ed il lenzuolo attorcigliato dal vento sul filo di metallo
Una conca bianca che raccoglie le ombre dei corvi
Che passano nel cielo di cenere come un nero alfabeto.
Oscillano le colline, le case, gli ulivi scintillanti
Tutte le altre cose mai ferme tra le lacrime,
Ed il cuore ha una ferita così rossa da eguagliare
La bacca pendula come un ciondolo corallo dal ramo.
L’autunno come un amante spoglia gli alberi
Per mettere in evidenza i gioielli sulla nudità della terra.
Guarda la donna senza vesti con solo un filo d’oro
Attorno al collo simile ad un sentiero spalato dalla neve
Dove batte il sole, le cosce tonde, i seni paralleli
E i minuscoli petali di pesco al sommo con una dolce gemma,
Come fossero già gli ultimi giorni di febbraio in questa valle.
Ma come si fa, adesso, a sconfiggere la muffa dei muri
Ed il veleno mortifero del sonno? Bottiglie e ventagli alla rinfusa –
Questo è il ricordo – stavano a giacere sul tavolo dove poggiavo il gomito,
Quando un fascio di luce biblico fuggì da un cumulo di nuvole di piombo
E divise esattamente come una lama i pochi metri quadri della stanza.
Tra terra e cielo sta il nome del borgo nella carta topografica appesa al muro,
La sua minuscola geografia di arance di rame dondolanti, e adesso,
Sebbene le prime calendule e i primi steli agrodolci tra i denti come nell’età infantile,
Che mura scalcinate prossime al crollo, tra radici e nodi di canne
E che cancelli arrugginiti. Ci torno da fidanzata e sposa del mio passato,
Con quei ricordi di me, bestiola così scalmanata e tenera in amore.
12 gennaio 2012