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IL PATTO - Cap. XII - I Piombi

di Maria Pace
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Pubblicato il 02/12/2013 14:12:05


Un caldo soffocante svegliò Raniero dal doloroso torpore, ma passò un lungo attimo, aperti gli occhi, prima di capire dove fosse: nella coscienza era viva una sola sensazione: un immisurabile dolore. Poi, come un lento gioco ad incastro, ricordi ed immagini ricomposero la coscienza: l’interrogatorio, la camera della tortura, gli uomini incappucciati.
Ricordò ogni cosa e quando gli occhi, assuefatti al buio, riuscirono a distinguere tra le ombre, scorse una finestrella sopra la testa.
Si trattava, invero, di un’apertura  lunga non più di trenta centimetri e larga ancora meno, da cui la luce entrava a malapena, lasciando ogni cosa nella penombra.
L'aria era rovente, eppure un lungo brivido di freddo gli percorse la schiena: "Lei" era là.
Ancora una volta,  a trafiggerlo col  suo gelido sguardo senza fondo nelle orbite vuote: Madonna Secca. la Morte.
"Cosa vuoi? - tentò di sollevarsi - Perché mi perseguiti? Vattene via. Vattene via o prendimi, una buona volta."
Ricadde indietro con un lamento.
"Quella" continuava a guardarlo. Immobile. Terrificante.
"Vuoi che ti supplichi di risparmiarmi?...O vuoi invece che paghi subito il mio debito?...Allora fammi uscire da qui… Anch’io, come te,  ho un credito da esigere e se vuoi che… ma... ma dove vai? Aspetta...Aspetta..."
Raniero tese in avanti una mano, ma la terrificante presenza, come un'immagine riflessa in una superficie diacqua smossa, andò pian piano scomponendosi e i frammenti della visione sbiadirono e si dissolsero nell'aria tornata arroventata.
Raniero tese nuovamente la mano, ma incontrò il muro.
Liscio,  rovente, quel contatto gli procurò quasi bruciore alle dita; la ritiro immediatamente, per poi tenderla ancora ed  ancora incontrare la barriera infocata..
Si mosse: il giaciglio di pietra era scomodo e torrefatto e il dolore alla schiena, insopportabilmente atroce. Tentò di sollevarsi, ma ricadde indietro, ricacciato sul fondo di quella tomba dalla volta così bassa da non permettere sorta di movimento.
Si rannicchiò su un fianco e gemette: "Acqua..."

Nello sforzo di liberarsi da quella posa che dava i crampi ai muscoli, riuscì ad afferrare le sbarre dell'apertura. Infocate anche quelle, come ogni cosa, ma, al confronto delle fiamme che gli divoravano le spalle piagate, erano un refrigerio.
Cercò di guardare fuori, nella speranza di scorgere qualcuno, udire una voce, un segno di vita, perché si sentiva solo, l'unico essere al mondo, ma non vide nessuno, nè sentì nulla: sopra di lui non c'era che uno spicchio di cielo azzurro ed accecante.
Atterrito, ritrasse lo sguardo e il buio gli parve ancora più buio. Sconfortato, divorato dalla sete, tormentato dalla sofferenza, tornò a sedersi e la mano urtò contro una ciotola di terracotta che non aveva visto prima e che cadendo rovesciò il contenuto.
Stese immediatamente l'altra mano e la ritirò bagnata.

"Acqua...acqua..." gemette recuperando la ciotola che si portò febbrilmente alle labbra, ma solo poche gocce scesero dal recipiente in gola, riuscendo  ad acuire ancor più il bisogno di bere.
La lasciò andare e si stese di nuovo: il suolo bagnato gli procurò un po' di refrigerio.
Rimase in quella posizione fino a quando, a notte alta, non vennero a prelevarlo per portarlo in una stanza dove qualcuno gli curò le ferite. Quando l'opera fu terminata, i fanti lo condussero per lunghi corridoi fino ad una  sala che egli riconobbe essere quella dell'interrogatorio del giorno precedente ed esattamente come il giorno prima, immersa nel buio. Il secondo interrogatorio ebbe inizio e fu preceduto da un’ammonizione.
"Abbiamo la convinzione che siete una spia e potremmo condannarvi subito a morte, con un processo che potremmo istituire subito. ma abbiamo scoperto in voi la tempra del soldato e vi daremo morte onorevole se risponderete alle nostre domande."
"E se fossi innocente?" fece di rimando il ragazzo.
"Non spetta a voi fare domande. Ad ogni modo voglio rispondervi: se siete innocente non dovete temere la decisione di questo Consiglio. Ed ora ditemi dov'èil vostro amico e, se davvero ha lasciato Venezia, perché  lo ha fatto in tutta fretta."
"Vi ho già etto il perchè, eccellentissimo signore, e non posso che ripetere quanto già sapete."
Il colloquio continuò, estenuante, per più di due ore, ma Raniero rimase fermo nelle risposte, nonostante l’usanza dell'epoca di accompagnare con la violenza gli interrogatori e per la seconda volta egli fu condotto nella camera della tortura e torturato e solo quando i carnefici si convinsero che nessuna tortura gli avrebbe aperto la bocca, fu ricondotto in cella.
Verso l'alba ricevette la visita di una ragazza molto giovane il cui viso, affacciato allo spioncino, era quello di una sconosciuta e su cui la fiamma della lampada che teneva in mano, creava giochi d'ombre.
"Sono la figlia del carceriere. - disse sottovoce - Vengo a rassicurarti sulla sorte del tuo compagno."
Raniero balzò in piedi e si accostò allo spioncino.
"Non capisco." disse.
"Il tuo amico, dice di stare sereno, che non ti accadrà nulla."
"Chi vuole aiutarmi?" domandò dubbioso.
"La mia padrona, madamigella Bianca Mavera.
"Madamigella Mavera? - ripetè il ragazzo assai stupito - E perché a madamigella Mavera starebbe a cuore la mia sorte?"
"Perché ella ti ama." fu la candida risposta, e lasciò Raniero senza parole.
"Dov'é adesso il mio amico?" domandò.
"E' nascosto nelle stanze di madamigella."
"E' pericoloso per lui. Occorre che tu gli dica di lasciare subito Venezia e di mettersi in salvo. Per me non ci sono speranze: sarò condannato a morte."
"Sono qui per dirti di non temere per la tua vita, ma ora devo andare. Abbi fede e addio. Addio anche da parte della mia signora."
"Addio..." bisbigliò il ragazzo mentre lo spioncino andava richiudendosi e il fruscio della veste allontanandosi.
 

                                                      +++++++++++++++++++

Il giorno dopo il Consiglio dei Dieci si riuniva per l'ultimo confronto e per pronunciare la sentenza contro Raniero.
L’ interrogatorio si protrasse per alcune ore e vide, faccia a faccia, i due accusatori di Raniero. Come prevedibile,  si concluse con le reciproche  accuse che contribuirono ad affossare ancor più la già precaria posizione di ognuno di loro e quando anche Raniero fu condotto davanti ai Giudici per l'ultimo interrogatorio, il tramonto non era lontano.
"Vi proclamato colpevole o innocente?"
La domanda di rito del Grande Inquisitore.
"Sono innocente."
La risposta del ragazzo.
"Cosa avete da dire a vostra discolpa?"
"Dico che non conosco chi mi accusa."
"Il suo nome è Gualtiero Monco, detto Bortolo."
Raniero cercò inutilmente nella memoria un volto che corrispondesse a quel nome.
"Non lo conosco." ripeté.
"E conoscete uno zingaro di nome Rames?"
"Quello lo conosco."
"E' lui che vi ha denunciato."
"Non pensavo che il suo rancore potesse giungere a tanto." esclamò Raniero scuotendo il capo.
"Per l'ultima volta, perché siete venuto a Venezia?"
"Per incontrare dei mercanti provenienti da Roma, come ho già spiegato."
"Mentite!... Ma mentire non vi salverà la vita."
"La mia vita è nelle vostre mani!" rispose il ragazzo e si chiuse in un mutismo difensivo fino a che non venne condotto via.


Terminati gli interrogatori, i Giudici si riunirono in una sala accanto per prendere una  decisione sul verdetto. La seduta ebbe inizio. Tutto quanto i Segretari avevano riportato dell'interrogatorio, fu discusso a lungo e alla fine l'Avogador si alzò.
"Eccellentissimi signori. - disse - dall'esame testé fatto delle cose scritte e lette, dobbiamo desumere la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Vi prego, dunque, di procedere alla votazione con animo sereno ed ispirazione divina.."
"Ho qualcosa da dire. - interloquì uno dei Dieci - L'imputato non ha confessato e senza la sua confessione non si può procedere alla votazione."
"Eccellentissimo Signore. -gli rispose il Grande Inquisitore - L'accusato non ha parlato neppure sotto la tortura, ma questo non è un buon motivo per dubitare della sua colpevolezza."
"Non dubito della sua colpevolezza, ma così procedendo, noi alteriamo il corso della Giustizia."
"Non possiamo attendere oltre, data la gravità del caso. Si passi ai voti, dunque."
"Ai voti." fece l'altro.
"Ai voti." dissero tutti
Il risultato dello scrutinio fu unanime: condanna a morte; sorte non diversa toccò allo zingaro, per Bortolo invece fu sentenziata la prigione.
La seduta si sciolse con la solita lettura:
"Vostra Altezza Serenissima, eccellentissimi Consiglieri, proclamo la colpevolezza dei tre imputati comparsi davanti a questo Onorevolissimo Consiglio, nelle persone di Gualberto Monco, detto Bartolo, gestore della locanda il Gambero Rosso, sita nell'isolotto del Querciolo, alla condanna di venticinque anni da scontare nel carcere del Ponte dei Sospiri, per rapina. Nella persona di Rames, gitano e lanciatore di coltelli, alla condanna all'impiccagione, da eseguirsi sulla scala principale del Palazzo Ducale, colpevole di assassinio; nella persona di Raniero, detto il Diseredato,, sconosciuto, alla condanna per annegamento nel Canal Orfano, per spionaggio ai danni della Serenissima Repubblica di Venezia. Si ordinano le condanne: la prima per domani all'alba e la seconda per la notte di domani. In tutta segretezza."
Letto il foglio, il Segretario lo porse all'Avogador, che a sua volta lo porse al Doge il quale recitò la formula di rito:
"Eccellentissimi signori, della segretissima seduta testè terminata, fuori da questa sala non dovete farne parola. Ne va della vita e dei beni."
 

All'oscuro di ciò che lo attendeva, Raniero dormiva profondamente; lo svegliò il rumore della chiave che scorreva nella serratura.


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