Pubblicato il 29/02/2008
Da http://www.slowfood.it
Ubi maior... 20/02/2008 - Ibu Kat Pak Adi Kharisma è molto preoccupato. Secondo le statistiche, infatti, il suo paese attraverserà una profonda crisi riguardo alla possibilità di avere cibo sufficiente per tutti. Questo serio rotariano ha raccolto una pila di ritagli di giornale che evidenziano dei fatti preoccupanti. Entro l’anno 2030, la popolazione dell’Indonesia passerà da 230 a 425 milioni di individui. Il consumo annuale pro-capite di riso è all’incirca di 139 chilogrammi. Moltiplichiamo allora 139 kg. per 425.000.000 di persone e arriveremo alla quantità di riso che l’Indonesia dovrà produrre ogni anno per sfamare la sua popolazione – a soli 23 anni da adesso. La mia calcolatrice non ha neppure abbastanza zeri per effettuare questo calcolo.
Vi è un articolo di giornale molto interessante, scritto da un giornalista di nome Hermas, che ha messo in prospettiva il problema.
Soluzione numero uno: raddoppiare l’area di terra coltivata a riso da 11 a 22 milioni di ettari. Sappiamo tutti, però, che in seguito alla combinazione di incremento della popolazione, industria in continua espansione e sporadico sviluppo delle zone residenziali, ogni anno assisteremo alla presenza di una quantità inferiore di terra coltivabile, non superiore. (Vi prego di non farmi toccare il tasto dolente della follia di sottrarre i terreni agricoli alla produzione per costruirvi ville per gli stranieri).
Soluzione numero due: raddoppiare la produzione di riso da 30 a 60 milioni di tonnellate l’anno. Ma purtroppo, anche se il “Sistema di intensificazione del riso” (System of Rice Intensification, SRI) è ampiamente adottato, Pak Adi sa bene che meno del 25% dei contadini sono sufficientemente produttivi da riuscire a intraprendere il tipo di coltivazione più intensiva che questo metodo richiederebbe. Soluzione numero tre: crescita zero della popolazione. E questo è assolutamente fuori discussione.
Soluzione numero quattro: ridurre la dipendenza del 100% dal riso come alimento di base, rimpiazzandolo al 50% con cibi alternativi coltivati localmente.
Trovato! Pak Adi, pensando in modo indipendente e creativo, com’è sua abitudine, cominciò a fare ricerche sul modo per raggiungere questa soluzione con la patata dolce (ubi), il suo cibo tradizionale preferito. Trasse ulteriore ispirazione da una visita a Torino nel 2006 come ospite di Terra Madre – l’Incontro mondiale delle comunità del cibo – in quanto rappresentante dell’Indonesia e dell’umile ubi. Con il supporto entusiastico degli esperti alimentari internazionali e dei sostenitori del movimento Slow Food, egli lo scorso anno lanciò il suo ristorantino e una linea di prodotti alimentari a Denpasar.
Dopo un po’ di esperimenti, scoprì che cuocendo e schiacciando le ubi viola e gialle e aggiungendo questo impasto al riso durante la cottura si poteva ottenere un alimento di base molto gustoso. Dolcemente tinto di color giallo e malva, questo piatto ha un sapore piacevole al palato e una consistenza non troppo diversa da quella del riso bianco. “Utilizzando il 30% di ubi e il 70% di riso, aumenta il valore nutritivo”, spiega Adi. “La patata ubi è un anti-ossidante privo di glutine e ricco di fibra, di beta-carotene e di prebiotici, e con un indice glicemico basso. Se quindi rimpiazziamo un altro 20 per cento del riso con i legumi prodotti localmente come i piselli pigeon peas, i semi di soia, i fagiolini long beans e le arachidi, otterremo un alimento di base davvero nutriente”.
Di fatto, Pak Adi ha reinventato la ruota! Infatti, negli anni Sessanta, l’allora Presidente Sukarno introdusse il concetto di arricchire il riso mischiandolo con patata dolce, taro e granoturco. Molte persone del mio staff si ricordano bene che quando erano giovani il loro alimento di base era costituito da una mistura preparata con il 70% di ubi e il 30% di riso, tranne che durante il Galungan, il solo periodo dell’anno in cui assaporavano il riso puro.
I prodotti di Pak Adi stanno lentamente guadagnando fama come una novità, soprattutto in seguito alla loro promozione da parte di ben dieci stazioni televisive locali nell’arco del 2007. Il suo ristorante serve il suo marchio depositato nasi campur giallo e malva, oltre a del gustoso succo di ubi e al gelato all’ubi, e vende un impasto di ubi fresco e messo sottovuoto da mescolare con altri cibi – il tutto di un bel viola acceso, naturalmente. Egli produce inoltre dei deliziosi dolcetti morbidi preparati con i locali semi di cacao, l’olio di cocco, la farina di ubi, lo zucchero e le arachidi. Nessuno dei suoi prodotti contiene conservanti o coloranti artificiali: e d’altronde è difficile immaginarsi un agente artificiale in grado di competere con il vibrante colore viola naturale del suo ingrediente preferito!
Per questa importante iniziativa sarebbe utile ricevere sostegno governativo, ma come in ogni altro paese, i burocrati raramente riescono a pensare con 23 mesi di anticipo, figuriamoci poi con 23 anni! Così Pak Adi sta intraprendendo il suo progetto tutto solo.
Il suo scopo di trovare un alimento di base che sia locale e sostenibile lo ha condotto verso delle direzioni interessanti. Ha avviato un programma rivolto agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori locali e finalizzato a formare dei contadini produttivi e di successo. Sta inoltre lanciando un progetto che insegna alle donne dei villaggi a preparare prodotti alimentari da vendere localmente usando i tuberi di ubi più piccoli che sono rimasti dopo il raccolto. “Questo darà maggiore potere alle donne aiutandole a generare un reddito, e i bambini cresceranno sin da piccoli abituati al gusto dell’ubi, e saranno anche più sani!”
Pak Adi è consapevole dell’importanza assoluta di educare le donne riguardo alla nutrizione, all’igiene e all’economia di base. Tra i propri progetti vuole anche avviare l’organizzazione di feste di compleanno per i bambini in cui venga servito il suo gustoso cibo viola invece del solito cibo “Mc’spazzatura”. Pur essendo interessato a vendere i suoi prodotti, gli preme soprattutto che l’ubi entri in qualsiasi modo possibile a far parte della dieta locale. Pak Adi collabora inoltre con l’East Bali Poverty Project per introdurre la coltivazione dell’ubi nei villaggi più poveri e remoti.
Delle 20 varietà di ubi da lui trovate, ne ha selezionate quattro – gialla, bianca, viola e arancione – per i suoi prodotti. Egli avvia le pianticelle giovani da solo e le dà poi ai contadini delle montagne che le coltivano per lui insieme con pigeon peas, semi si soia, zucche e arachidi. Con una coltivazione intensiva, in un ettaro di terra possono venire coltivate dalle 20 alle 40 tonnellate di ubi.
Le patate dolci crescono in tutto il mondo, da Papua a Okinawa alle Hawaii, ed erano già coltivate in Nordamerica quando vi giunse Cristoforo Colombo nel 1492. La maggior parte della produzione mondiale di patate dolci – intorno all’80% – avviene in Cina. Sono note all’incirca 600 varietà, alcune delle quali crescono sino a due metri di lunghezza. Il gelato viola è famoso da molto tempo nelle Hawaii e in Giappone, e a Manila mi è capitato di assaggiare dei deliziosi dolci di un colore viola acceso.
Non accade spesso che qualcuno salti fuori con una soluzione realizzabile a un problema grosso. La missione di Pak Adi merita supporto, e bisognerebbe innanzitutto fare in modo di portarla all’attenzione di politici e funzionari, che possono contribuire a rendere popolare i suoi prodotti gustosi, nutrienti e coloratissimi, e il concetto che sta alla loro base.
La prossima volta che vi trovate a Denpasar, fate un salto al piccolo e viola Warung Sela Boga situato in 238 Jalan Teuku Umar, oppure telefonate a Pak Adi al numero 0811 397 590, o mandategli una e-mail all’indirizzo adi_kh@hotmail.com per avere ulteriori informazioni.
Ibu Kat è un giornalista indonesiano
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