La ricerca della giustizia e della verità, la propria capacità di mantenere un atteggiamento equo di fronte ai capricci dei violenti – in un libro che prende forma nel corso degli anni tra il 1967 e il 2007 –, sono i fili con cui Auster tesse questo “Invisibile”. Sulla bravura dell’autore penso vi sia ben poco da dire, è ormai considerato uno dei più importanti scrittori americani, autore anche di poesie e film. Ma credo che con questo libro, Auster, abbia veramente superato sé stesso. Il romanzo è assolutamente avvincente, del tutto privo di orpelli o parti superflue: scivola, pagina dopo pagina, con una forza incredibile, che si manifesta sorniona lungo tutto il libro, catturando il lettore. È uno di quei romanzi da cui è difficile staccarsi, finché l’occhio giunge, con malcelato rammarico, a pagina 223, con la geniale visione di uomini che, armati di scalpello, spaccano pietre, un lavoro da forzati, al limite dell’assurdo, come lo sono certe decisioni che costano una fatica immane: sembrano voler cambiare mille cose, ma poi tutto resta così com’è, la fatica è rimasta vana, l’unica cosa che resta è un rumore aspro, continuo, nel fondo della mente. Un qualunque accenno alla trama temo possa impoverire il gusto di chi leggerà il libro, e mi rendo conto che il voler sintetizzare il romanzo lo renda inevitabilmente banale. Mi sembra arduo riprodurre quell’atmosfera tersa che sovrasta il romanzo, ricostruire in poche righe, i tormenti di un’anima, le sue peregrinazioni, l’amore che lega di legami, invisibili ma tenaci, le vite delle persone, l’amore che diventa morboso, l’attrazione che nasconde altro, il rimpianto, la perdita. Sono questi alcuni degli elementi che Auster impiega nel suo romanzo, ma il lettore ha costantemente l’impressione che dietro le parole, o gli accadimenti, vi sia qualcos’altro, che sfugge, che si paleserà più avanti, oppure che già c’era ma è sfuggito. Nulla di tutto ciò, il romanzo è assolutamente liquido, cambia di forma secondo il punto in cui si trova la vicenda; per proseguire il paragone, viene raccolta in diversi contenitori e ne assume la forma ma senza cambiare di sostanza, la narrazione viene portata avanti cambiando il punto di osservazione, arricchendosi di ciò che non è in primo piano in quel momento, espandendosi lungo il corso del tempo, attraversa cambiamenti sociali, sia epocali, votati a prendere il nome di Storia, sia quelli personali e intimi destinati a svanire, ma che danno il loro contributo ai cambiamenti delle epoche e della società.
La moralità sembra apparire come uno dei cardini dell’opera, ma anch’essa non sfugge all’ellitticità del romanzo. Qual è la morale da applicare? Quella che fa confessare un fatto atroce o quella che scava un animo dal di dentro e lo fa capace di pensieri che possono sembrare mostruosi? La verità è quella sotto gli occhi di tutti o si nasconde altrove? Oppure, ancora, la si può ricreare, attraverso artifici o facendola apparire tale solo perché sapientemente inventata? E ancora, come una persona mostruosa nell’animo può legarne a sé una pura, forse nel modo in cui vittima e carnefice esistono l’una in funzione dell’altro, quasi un rapporto simbiotico tra creatore e creato, tra colui che schiude un mondo e l’altro che ne resta affascinato sebbene ne voglia fuggire.
Queste alcune delle impressioni di lettura di un’opera immediata e profonda in cui le esistenze ed il racconto di esse si intreccia, i tempi e i piani di narrazione cambiano, in quello che mi sento di definire il miglior romanzo di Auster, e uno tra i migliori letti. Lo consiglio vivamente a tutti.