Poesia e follia
A pagina 149 del suo “Galassie parallele”, Marco Ercolani si chiede
“cosa accade quando poesia e follia, scrittura e patologia, vanno a saldarsi assieme in un testo”?
Questo interrogativo, che, forse, potrebbe essere posto a sottotitolo del volume, richiama, a mio avviso, il concetto di misura: taluni atteggiamenti e modi d’essere, superata una certa soglia, richiedono l’intervento psichiatrico.
Quanto al quesito posto (riferito, nello specifico, a Dino Campana), la mia opinione è la seguente: “quando poesia e follia, scrittura e patologia” si saldano tra loro nasce un nuovo, originale, linguaggio.
Fenomeno, si dirà, che avviene anche nel caso del poeta non folle, sicché la risposta potrebbe risultare inconcludente.
Tuttavia, proviamo a immaginare un lettore dei “Canti orfici” del tutto ignaro dell’opera, della biografia e perfino del nome del poeta di Marradi: costui si porrebbe il problema dell’eventuale follia dell’autore?
Potrebbe anche non porselo.
Il linguaggio del poeta insano di mente, allora, è da ritenersi a priori distinguibile da quello del poeta tout court?
Sia chiaro, non condivido l’idea secondo cui nella poesia alberghi, di necessità, un quid di pazzia, né penso che, in generale, non esista una (talvolta sottile) linea di separazione tra sanità e malattia mentale: intendo mettere in evidenza, piuttosto, la peculiarità del campo al quale ci riferiamo (quello poetico e, in genere, artistico).
Direi così: il poeta può anche essere affetto da disturbi mentali ma il suo linguaggio sarà in ogni modo poetico e basta: quello che “accade” (o è accaduto) per il lettore può non essere poi così rilevante.
Lo è, però, per chi professionalmente indaga sotto certi profili talune manifestazioni idiomatiche: tocca a lui misurare il caso concreto, stabilire se il limite è stato superato.
Sarà forse compromessa, per costui, una lettura non strettamente psichiatrica?
Non direi proprio (anzi): lo dimostrano, senza possibilità di dubbio, gli attenti, articolati, scritti proposti con precisa eleganza da Marco nel suo “Galassie parallele”.
Cito a questo proposito:
“Lorenzo Calogero, una volta “relegato nel ghetto della malattia mentale” (Stefano Lanuzza), resta pur sempre un “poeta per poeti”, uno scrittore che non ha esitato a trasformare la sua intera opera poetica nella modulazione musicale e reiterata di un nulla interminabile, senza altro argine che una parola dai confini fluttuanti”
e
“Lorenzo [Pittaluga] non ha avuto il tempo di raggiungere, tra il sé e il non sé, un equilibrio in cui riformulare in termini meno drammatici la sua personale scommessa contro l’ordine mediocre del mondo, e si è perduto. Ma oggi, a oltre vent’anni dalla scomparsa, rimane a noi che sopravviviamo il suo tragico “modo” di dire che la vita è straordinaria e va vissuta anche perdendola”.
Un libro da non perdere.