Il titolo del nuovo libro fuori collana di Einaudi (disponibile dal 2 aprile 2019), “L’ora del blu”, è bello, ha carattere, è evocativo: echeggia in sottofondo la prima pellicola della celebre trilogia dedicata dal regista polacco Kieślowski ai tre colori della bandiera francese e, di conseguenza, al motto della Rivoluzione: “Liberté, Égalité, Fraternité”; ma sto andando oltre, si tratta, invece, del blu marino di “Una finestra sul mare”, titolo di una bella poesia presente nella raccolta di versi di Eugenio Scalfari, la sua prima raccolta di versi.
Il mio primo ricordo
è una finestra sul mare,
il cesso sul balcone
e la ringhiera di ferro
le navi che partivano e arrivavano
il suono delle sirene del postale
e i gabbiani che volano maestosi
e all’improvviso
cadevano a picco sui pesci del mare.
Da quella finestra
cominciò la mia vita,
la mia memoria, la mia malinconia
e anche il mio risentimento
e la voglia di compensare
non so quale torto subito.
La poesia evoca i versi oceanici di Sophia de Mello Breyner Andresen quando scrive:
La cosa più antica di cui mi ricordo è una stanza di fronte al mare dentro la quale stava posata in cima di un tavolo una mela enorme e rossa. Dal luccichio del mare e dal rosso della mela si sprigionava una felicità irrifiutabile, nuda e intera. Non era nulla di fantastico, non era nulla d’immaginario: era la presenza del reale che io scoprivo.
Nella pagina del libro, sul sito dell’editore, si legge: “I ricordi della giovinezza, la passione ardente, la natura pulsante tra mito e realismo, l’incalzare del tempo, la ricerca di una quiete: attraverso il calore del verso Eugenio Scalfari svela il suo più profondo sentire. Tra il blu del mare e il blu del cielo si muove lo scrittore poeta, in una grandiosa e commovente dichiarazione d’amore per la vita.”
Metto adesso l’accento sulle parole: “lo scrittore poeta”. Riguardo allo “scrittore” sono d’accordo ma non riguardo al “poeta”. Se per chiamarsi poeta bastasse una pubblicazione allora io sarei Dante, visto il mio numero di pubblicazioni in versi, il fatto è che tutt’oggi, dopo più di trent’anni di faticosa scrittura in versi dello scrivente – ho iniziato nell’adolescenza – ecco che ancora stento a pensarmi poeta. Tuttavia, esistono casi di persone per i quali, fin dalla loro prima pubblicazione si ravvisa un certo carisma nella scrittura in versi, Einaudi stesso ha, nella sua nota collana di poesia, autori che hanno pubblicato per la prima volta e hanno avuto riscontri molto positivi, manifestando così la loro vocazione per la scrittura in versi (ma non faccio nomi). Ciononostante, a mio avviso – e ad avviso anche di una cospicua parte dell’ampia comunità di poeti con cui sono in contatto –, non è il caso di Eugenio Scalfari e di questo suo libro.
La narrazione poetica parte dalle riflessioni di un io bambino per poi evolversi verso una maturità tematica. Il problema è che i versi non corrono parallelamente verso la stessa maturità. Se queste poesie, che invito a leggere per rendersene autonomamente conto, mi arrivassero come proposta di pubblicazione per la collana “Libri liberi”, che curo per LaRecherche.it, non penserei mai a pubblicarli e invece Einaudi lo ha fatto, buon per l’editore che venderà moltissime copie a causa del nome da cui è firmato (la prima è quella che ho acquistato io). Questa pubblicazione, a mio sindacabile giudizio, è la dimostrazione che il nome conta, in poesia come altrove. Ma quello che più mi incupisce è la recensione lusinghiera di Alberto Asor Rosa pubblicata su Repubblica.it, di cui riporto qui il link, anche se a me, in essa, pare evidente un abile tentativo, non facile, di estrapolare il positivo del libro per quanto riguarda la forma, non mi riferisco ai temi che sono quelli propri dell’umana esistenza. Per chi legge abitualmente poesia e la scrive e ci lavora di cesello da molti anni, e siamo in molti a farlo seriamente, questi versi appaiono decisamente banali, mi si perdoni la schiettezza, sembrano tratti dal diario di un poeta adolescente, in tal caso sarebbe fatto lodevole, ma ci sarebbe da lavorarci sopra: “È inarrestabile / la corsa del tempo / fino all’ultimo appuntamento / con la Signora Velata / che porta con sé il senso / del tuo vissuto. / […]” (La Signora Velata). “Il tempo corre e non si ferma mai, / fuori e dentro di noi che lo sentiamo, / fa crescere i bambini, i giovani, gli anziani, / coi vecchi cambia giro e li deprime / e poi li uccide con sorella Morte. / […]” (Il tempo). “[…] A lui piace / quella stagione e avaro me la ruba, / mi regala il passato ma m’ottunde / la memoria ed è questa / la fatica del vivere. […]” (Corre il tempo). “Quando penso l’Universo / m’assale la paura, / non so che cosa sia, / tutto contiene / compreso Dio che l’ha creato / e ne fa parte: / Creatore dentro Creatura, / schiacciante immensità / confinante col nulla. / […]” (Paura dell’Universo). L’unica parte in cui trovo una certa intensità è quella della poesia dal titolo “Vita amore e poesia”, in cui cita alcuni versi di poeti ma senza riportare il nome degli stessi, si tratta di una sorta di mini antologia che si conclude così: “[…] / L'antologia poetica è terminata. / E spero sia di vostro gradimento. / Io non scriverò / un romanzo sulla mia vita. […]”. Ci sono testi più lunghi come “La ribellione dei poveri” che avrebbero maggior fortuna se fossero trasformati decisamente in prosa: “Un giorno un povero si ribellò. / La sera aveva smarrito pane raffermo ed una verde mela / […]”. Insomma, a ognuno il suo mestiere, se si vuole cambiare mestiere va bene ma è necessario un lungo periodo di affiancamento e impegno per acquisire le giuste competenze, è il mio parere. La cosa interessante è che sul sito di Einaudi il libro si trova nella sezione “Narrativa italiana contemporanea”. Segnalo inoltre un passaggio che non mi è chiaro: “[…] / Penso a te, penso al tangasso arabadero / che tante volte abbiam ballato insieme: / […]” (La chitarra innamorata): so che esiste la parola “arrabalero” (conosco il tango dal titolo “Bandoneón arrabalero”) e poi ho sempre sentito pronunciare la parola “tangazzo”. Non so.
Il libro è proposto persino in edicola con Repubblica, non mi stupisco ma, mi si conceda, mi innervosisco. Il fatto è che noi “poeti minori” siamo stanchi di essere presi in giro dai poteri editoriali e dai loro interessi che spesso non fanno cultura letteraria ma solo una scialba cultura d’interesse immediato. Da anni i poeti della comunità poetica italiana contemporanea cesellano versi e si confrontano tra di loro e con un pubblico che stenta a esserci, si arrovellano su cosa sia giusto pubblicare e cosa non lo sia, cercano riscontri, si incontrano nei reading, si danno forza l’un l’altro in un mondo in cui la poesia sembra solo relegata agli involucri dei cioccolatini, alla ricerca di un supporto, informatico o cartaceo o altro, che possa veicolare ciò che sentono come urgenza e necessità da esprimere in versi. Il gioco editoriale di questo libro non mi piace.
Concludo dicendo che un editore può pubblicare chi vuole, anche uno scrittore dal nome noto che si improvvisa poeta, però si sappia che in tali pubblicazioni, a mio sindacabile giudizio, ravviso una profonda mancanza di riguardo verso gli “invisibili” poeti che scrivono da anni, essi chiedono un po’ di rispetto e “L’ora del blu” – se sul risvolto di copertina leggo: “[…] incastona sulla pagina versi intensi […]”, riferito all’autore – mi pare che manchi di tale riguardo, sempre a mio sindacabile giudizio. Questa è la sensazione che provo come (ebbene sì, ora lo dico) poeta.