Invitiamo alla lettura di questo nuovo numero della rivista L'area di Broca, Anno XLIV - XLV, n. 106-107, luglio 2017 - giugno 2018, il cui titolo è Poesia XXI, raccoglie le risposte a cinque domande sulla poesia rivolte ad alcuni poeti contemporanei, per provare a capire cos’è, dov’è, dove va la poesia in questo inizio di XXI secolo.
Le domande:
1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?
2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?
3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?
4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?
5. Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?
Riportiamo l'editoriale della Redazione de L'area di Broca, al termine del quale troverete i collegamenti da cui è possibile leggere integralmente la rivista in diversi formati.
E la poesia?
Viviamo anni di ghiaccio, anni in cui sembra che l’Europa abbia smesso di produrre cultura, anni di economia cattiva, di respingimenti e derisione, di propaganda e di insulti elettronici. In questo freddo virtuale e sociale, in questo apparente sonno della ragione, abbiamo pensato di provare ad indagare una piccola porzione dello spirito, rivolgendoci a lettori e collaboratori, per cercare insieme di reagire con la riflessione culturale a questo brivido che ci percorre. Così abbiamo formulato domande e ci siamo chiesti se è ancora possibile trovare nella poesia un luogo di tepore vitale che aiuti a combattere il male culturale che è tornato ad assalirci. Come sta la poesia? ci siamo domandati. Serve ancora a qualcosa? Si sta estinguendo o è solo cambiata e non ce ne siamo accorti? E i poeti? Sono soltanto patetiche figure silenziose o cavalcano il rumore dei tempi?
Le risposte che abbiamo ricevuto e che proponiamo ai lettori vanno in molteplici direzioni, ma tutti gli interventi testimoniano l’idea che la poesia, pur adeguandosi al tumultuoso presente, sia tuttora, in forme modificate, un luogo di elaborazione culturale ineludibile: non se ne può fare a meno. Fondamentalmente non serve a nulla, tuttavia in un mondo dove tutto è commercio, tutto si compra e si vende, la poesia, proprio per la sua gratuità e inutilità, è vista come una sorta di isola in cui gli unici beni di scambio sono valori spirituali o culturali: la testimonianza che può esistere un altro sistema di valori. Probabilmente è un equivoco, anche perché nello stesso tempo non sono poche le voci pronte ad affermare una speciale funzione pedagogica della poesia, una funzione di conoscenza, di esplorazione, di resistenza alla banalità, senza contare il fatto che produca un certo tipo di piacere e godimento.
È vero, l’opinione generale sulla produzione poetica contemporanea e la sua evoluzione è piuttosto sconfortante. Prevale un’opinione negativa, legata all’evoluzione della poesia scritta e degli altri sottogeneri sviluppatisi a partire dagli anni Sessanta (visiva, performativa, ecc.). Si nota uno stanco ripetersi di formule e l’assenza di vera novità ed originalità: poesia basata su improvvisazione e dilettantismo, consolatoria, da biscotto della fortuna, che strizza l’occhio alle aspettative del lettore di massa. C’è poca ricerca e sperimentazione, sono quasi del tutto assenti problematiche teoriche ed estetiche. Ma si comincia a considerare sempre di più i testi delle canzoni. Se per un verso la poesia è sempre più marginale, espulsa dai tradizionali mezzi di comunicazione, per altro verso, essendo cambiati i mezzi di trasmissione, tende a trovare spazio in altri ambiti, mescolandosi alle arti figurative e teatrali.
Questo ha effetti anche sulla sostanza materiale della poesia: la lingua, le parole, la sintassi, i suoni. A cominciare dal fatto che sempre più è il web a determinare la lunghezza dei testi. O che questi richiedano la capacità di comporre un puzzle, come le informazioni che ci offre la rete. Prevale comunque l’opinione che la poesia oggi non abbia un linguaggio che la identifichi o, per meglio dire, che possa utilizzare qualsiasi linguaggio, purché le scelte linguistiche arricchiscano di senso il discorso poetico. È un po’ l’idea della densità del testo poetico, cioè di un testo che ha più livelli di significato. C’è chi parla di disidentificazione del linguaggio poetico, proprio perché entrano in gioco non uno, ma molti linguaggi e molti codici (con la precisazione che la lingua della poesia sembra ignorare il pensiero scientifico). Altri mettono in rilievo un certo epigonismo e poca attenzione alla lingua, uno stile derivato da autori mal tradotti, testi rivolti a se stessi in una sciatta metapoesia. Insomma sembra davvero più facile dire cosa non è poesia.
Un’idea presente in molti interventi è che la poesia per essere tale debba avere un certo tasso di originalità, di innovazione linguistica, di novità culturale. In questo senso i canali multimediali che si sono affermati negli ultimi cinquant’anni sono visti con interesse. Nello stesso tempo però si mette in evidenza come la multimedialità non sempre sia innovativa. In effetti le dinamiche tra oralità, visualità e scrittura suscitano posizioni molto variegate. L’irruzione più recente dei canali virtuali costituisce invece il vero evento innovativo anche nella comunicazione poetica. L’oralità sembra più connessa ai momenti della creazione e della comunicazione (o trasmissione) del testo; la scrittura a quello della fissazione, anche provvisoria, non definitiva, del testo. La virtualità compendia alcuni aspetti dell’uno e dell’altro sistema comunicativo, permettendo di arricchirli con apporti visivi e audiovisivi. Nello spazio virtuale, però, la scrittura perde la sua già limitata permanenza, facendosi sempre più provvisoria e precaria. Tuttavia non si concepisce poesia senza scrittura, possibilmente sul foglio di carta. Anche perché la rete, come luogo di scrittura poetica, viene vista molto spesso in termini negativi, per la ragione che avrebbe favorito un grave peggioramento nella qualità dei testi. È sicuramente uno spazio aperto a tutte le proposte, un luogo in cui proporre testi con una libertà che non è mai esistita, ma siamo ancora privi di un filtro critico che aiuti il lettore a selezionare i testi dotati di valore letterario. Il web è tuttora un luogo ambiguo, la sua immaterialità rappresenta quasi un ritorno alla dimensione orale senza obbligare a scelte nuove di stile.
C’è grande confusione sotto il cielo, insomma, e il guazzabuglio linguistico, stilistico, estetico, contenutistico, ideale della poesia contemporanea non fa che descrivere e dare forma, nel suo piccolo, al polilinguismo del calderone con temporaneo, multietnico e multiculturale ma globalizzato e tendente a uniformarsi a pochi modelli. I poeti in tutto questo sono come sempre oggetto e soggetto rispetto al mondo che li ospita. Per la più parte di quanti hanno risposto al questionario lo status del poeta non è molto cambiato rispetto al passato. In particolare lo status sociale. I poeti sono derisi oggi come venivano sbeffeggiati nel passato. La domanda che abbiamo posto era volutamente provocatoria e tirava in ballo spacciatori e pornografi. Ebbene, l’opinione comune tra gli intervenuti è che oggi costoro (come un tempo gladiatori e briganti) sono funzionali a un certo sistema produttivo, fanno circolare soldi e capitali, i poeti no. Quanto allo status culturale, quello sembra invece che si sia abbassato. Essere poeta appare come un anacronismo: proporre cose (forse belle, sicuramente incomprensibili) nel secolo sbagliato. D’altra parte è opinione che il poeta non può essere accettato socialmente. Anche se forse è vero solo in parte, perché ormai da decenni ai poeti tradizionalmente intesi si stanno sostituendo i cantautori, ed essi non hanno alcun problema di accettabilità sociale. Tutti gli altri, invece, dovranno rassegnarsi al fatto che si è poeti solo in poche circostanze, poi si torna clandestini.
La Redazione de L'area di Broca
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