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Beccodilepre

Poesia

Sergio Gallo
puntoacapo

Recensione di Fabrizio Bregoli
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Pubblicato il 23/11/2018 12:00:00

 

Sergio Gallo propone con il suo ultimo libro “Beccodilepre”  sia una selezione di poesie tratte dai suoi precedenti lavori sia un nucleo di poesie inedite, unite dal tema conduttore della montagna, che è quindi il motivo centrale della raccolta che permea di sé le diverse composizioni, suddivise in sezioni che alludono ad un processo di discesa dalla vetta alla base, quasi a voler alludere a un cammino di ricerca che sembra voler procedere a rovescio, partire dall’alto per ritornare al sostrato materico delle cose, alla loro radice. Un lavoro che è dunque sia summa del percorso poetico intrapreso dall’autore dai primi lavori della maturità ad oggi, sia sua verifica per potere da qui ripartire (così pensiamo) e forse accogliere la sfida per affrontare nuove strade che sono l’ossigeno necessario ad ogni poesia che aspiri a un suo organico divenire.

Sergio Gallo, in completa coerenza con una scelta di poetica netta e determinata, è più che mai in questa sua ultima raccolta poeta della natura, intesa come physis, organismo pulsante a cui serve dare voce, perché questa è l’unica possibilità che resta all’uomo per rimediare ai propri errori, restituirsi a un legame organico con l’universo che lo ospita. La natura ci trasmette segnali inequivocabili di questo scollamento: tocca all’uomo colmare questa misura che altrimenti lo porterà all’abisso.

 

Ecco risuona lo squittio delle marmotte,

suadenti verticali sentinelle.

Avvertono della presenza d’un pericolo.

 

Ascoltiamo il grido d’allarme

dei paffuti roditori:

siamo noi, quel pericolo.

 

E per veicolare questo messaggio forte, che è prima di tutto una presa di posizione etica senza titubanze, Sergio Gallo, forte della sua competenza scientifica che spazia dalla botanica alla mineralogia, dalla zoologia alla epistemologia, dalla geologia all’astronomia, sceglie di ricorrere ad una poesia esplicita, dal linguaggio diretto e a tratti quasi narrativo, ma tenendo sempre alto il livello della scelta lessicale che è ricca di termini tecnici, di un suo idioletto scientifico personalissimo che ne rappresenta la cifra personale e distintiva. Citiamo a titolo esemplificativo:

 

[…] ma tra sassifraghe, arabette

timi, felci, santoregge attenti

ricercare la rara bellezza

dell’ofride dei fuchi, dei fior

di ragno, odorare i profumi

del giglio martagone,

 

della nigritella purpurea;

in tempi di pace subire

l’assedio dei flebotomi, […]

 

I maestri di riferimento di Sergio Gallo, di cui egli stesso non fa segreto, sono quei poeti da Lucrezio fino a Zanzotto e Bacchini, o più recentemente Galluccio, De Alberti, Maggiani, che usano il linguaggio e i temi della scienza come nuova linfa per la materia poetica, e Gallo ne fa tesoro per elaborare una sua poesia personale, fortemente radicata nella ricerca del termine esatto e specifico, circostanziato e chirurgico, senza eccedere però in un vacuo tecnicismo, mantenendosi fedele a un bisogno di dire, conscio nel ruolo della parola come atto di trasformazione che è in grado di rinnovare pensiero e azione.

 

Per quante forme di resistenza

possiamo mettere in atto, testimoni siamo

d’una Caporetto dello spirito.

 

Armi o libri per ricominciare?

 

Poesia dunque come farmaco, cura necessaria (e farmacista lo è per davvero Sergio Gallo, da lunghi anni coltivando la sua professione in stretto connubio con la passione per la poesia). Altrimenti detto, la poesia di Sergio Gallo è una ambiziosa commistione di modernità e classicismo, di terminologia scientifica e improvvisi scatti lirici, di descrizione puntuale ed efficaci chiuse gnomiche, quasi sapienziali. A titolo di esempio nella poesia “Farfalle d’alta quota”, alla descrizione precisa delle varie specie dei lepidotteri, condotta con la spietata denotazione del gergo zoologico, come era consuetudine di alcuni poeti tardo-latini abbellire le proprie poesie con parti in grassetto o in minio o creare figure geometriche per esaltare versi o singole parole all’interno dei versi, Gallo sceglie di evidenziare alcune vocali in grassetto e di suddividere la poesia  in quartine allineate a due a due e sparse sulla pagina a mimare i colori delle ali delle farfalle e il volo delle stesse, con un piacevole e tuttavia sobrio effetto visivo (nell’idea di una poesia da vedere prima ancora che da ascoltare). Nella sua poesia non mancano però anche gli echi dei grandi mistici, della antica poesia sacra, perché esplorare le ragioni della Natura presuppone un’ascesi che va aldilà della dizione razionale; è questa la vena più sperimentale ed eversiva della poesia di Gallo.

 

Shaykh, quando sarò pronto per la terra di Nessundove?

quando sarò pronto per la terra di Nessundove?

sarò pronto per la terra di Nessundove?

pronto per la terra di Nessundove?

per la terra di Nessundove?

terra di Nessundove?

Nessundove?

dove?

 

E questa vena trova una riuscita perfetta anche nelle prose poetiche del libro, dove abbandonata la necessità della versificazione, il suo dire il mistero assume toni di riuscita concretezza, filosofia della parola, come ne “Il custode” con protagonista l’angelo della morte che smembra il corpo del poeta distribuendone le parti ai diversi esseri viventi, fino a ritrovarsi solamente l’anima orfana, non reclamata da nessuno, quasi reietta. E così chiude Gallo la pregevole prosa poetica:

 

L’angelo nero che s’era inginocchiato in segno di reverenza, gettò lo sguardo sul piccolo onisco che subito s’appallottolò, per estremo pudore; sarebbe stato lui insieme con la Madre Terra il custode dell’anima del poeta.

 

La poesia di Gallo procede per ampie partiture descrittive, elencazioni forbite di elementi naturali, associazioni sinestetiche, stratificazioni sensoriali allo scopo di sollecitare la capacità immaginativa del lettore con il fine di consentirgli l’inserimento in questo prodigioso “teatro naturale”, farlo sentire una sua parte, dare evidenza di quel grande spettacolo multiforme e imprevedibile che solo la natura può offrire. L’obiettivo è ricordare al lettore la necessità di questa riunione con le ragioni essenziali del cosmo, visto come tutto interdipendente, il recupero di un equilibrio simbiotico fra l’uomo e gli altri esseri viventi che la moderna civiltà tecnologica ha pericolosamente smarrito. E simbolo fondamentale di questa aspirazione, e suo monito, è proprio la montagna, descritta nella sua concreta fisicità, nelle avversità che essa oppone alla sua scalata, nella trasformazione preoccupante a cui è stata condotta dalle colpevoli alterazioni indotte dall’uomo, ma anche come simbolo della inesauribile volontà dell’uomo di trascendere sé stesso, di un possibile riscatto, perché la montagna può inchiodare l’uomo alla constatazione delle sua insita fragilità, perché è il luogo dello spirito in cui può essere ritrovato il valore del silenzio, proprio come avviene per la poesia (“Le montagne: idoli in sgretolamento”, “dove il respiro degli dèi / più si confonde / alle tracce degli uomini”, “Un passo oltre, la voragine è rimasta ad attenderci”)

La raccolta si chiude infatti con una semplice ma efficace similitudine fra la scalata della montagna e la necessità di scalare la parola come funzione principe della pratica poetica, innalzare il linguaggio (viene da ricordare il “Vola alta parola” di Luzi) a causa efficiente della trasformazione, della restituzione dell’uomo al suo autentico sé.

 

Una buona parola occorre

                                                  cercare, una valida idea

esser in grado d’afferrare

                                                 che siano appiglio sicuro,

gradino, puntello, maniglia

                                                naturale fenditura

su cui fare appoggio

                                              nella verticale progressione.

[…]

Dagli abissi più indicibili

                                             con un balzo elevarsi

alle vette più spettacolari.

 

In conclusione, Sergio Gallo continua dunque a perseguire una sua via coerente, lontana dalla strada maestra di molta poesia contemporanea, dimostrando di non voler rinunciare alla sua specificità stilistica per assecondare certi cliché in voga, rimanendo così fedele alla missione di una poesia che non vuole stupire, ma esporre con misura, argomentare pacatamente, spronare il lettore a una sincera introspezione per una salutare restituzione a uno stato di natura che è la sua autentica casa. E Sergio Gallo sceglie la poesia come casa comune, ponte da tendere, ma anche vetta da raggiungere, con scabra e pervicace verità, quella che non tollera compiacimenti e compromissioni.

 


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