“Soglie” è la raccolta poetica d’esordio di Massimo Del Prete, nato a Taranto nel 1993, laureato in Ingegneria Chimica nel 2015 e attualmente frequentante la Facoltà di Lettere Moderne di Milano, come si legge nella biografia riportata nel libro. Siamo dunque di fronte a un giovane scrittore che manifesta, in modo molto marcato, già con questa prima opera in versi, la sua indole di poeta (non è scontato che da un libro scritto con andate a capo si sveli tale indole), esibendo un versificare di carattere, ben strutturato nella forma e personalizzato nei contenuti, vivace e con una nota di tradizione romantica che nella poesia, se tenuta a bada, non guasta mai e, anzi, la rende “appetitosa”. Già nel primo componimento, “Onda/corpuscolo”, della prima sezione del libro, il cui titolo è “Qualche esempio”, troviamo un testo che reputo tra i migliori della raccolta, si tratta di una poesia semplice ma ben architettata, pulita, scritta con un linguaggio che definirei giovanile: “Quando eravamo pischelli / leggevamo insieme Hawking / in biblioteca. / Ci piaceva la sua storia: / paradossi e buchi neri / in un romanzo. // […]” Fin da questo testo Del Prete esprime e armonizza le due anime che lo contraddistinguono, messe in evidenza dalle scelte formative universitarie fatte, quella scientifica e quella letteraria: nel corso della sua carriera, che sicuramente realizzerà come poeta, potrà attingere a un serbatoio di metafore esistenziali messo a disposizione dalla sua formazione scientifica, si tratta di un tesoro che non tutti hanno a disposizione, tuttavia, se usato male, ad esempio in modo troppo didascalico, potrà risultare catastrofico.
Egli coinvolge la scienza per marcare il terreno della sua relazione con l’altro, ad esempio: “[…] / Dopo tutti questi anni / vieni a dirmi / che sai risolvere l’equazione di / Schroedinger, / che la metrica di Riemann / la capisci proprio bene, perdio! // […]”. Ma come una benedizione la letteratura appare all’orizzonte, sorge dall’orizzonte del linguaggio e del pensiero scientifico: “[…] / Eppure (non so come) / continuo a fare / il tuo lavoro / a risolvere / i tuoi conti // come se tu / volessi dire a me / dov’è che ha messo male / una virgola / Fitzgerald.” Siamo forse di fronte a un redivivo Novalis che in altri tempi ha saputo veicolare in modo esemplare la sua formazione scientifica-filosofica nelle sue opere in versi? Sicuramente Del Prete è portatore di una sua peculiare novità ma l’autore tedesco è un ottimo esempio e spunto per chi attinge fervore artistico dalla propria multipotenzialità filosofica, scientifica e poetica.
Nel libro vive e guizza una freschezza lieta e solare, scaturente dalla giovane età dell’autore; a ben pensarci non è ovvio che un giovane realizzi una scrittura di tale fatta, qualche volta mi capita di leggere giovani autori impantanati in una pesantezza aulica o decadente derivante da una cattiva digestione dei classici, non è questo il caso. “Da secoli s’avvera il sogno della carpa / che guizza contro il fiume / e segue il proprio corso, fino al monte – / […]”.
Leggere queste poesie è come avvicinarsi alla zona temporale dell’universo adolescente, una nuova opportunità per chi ormai, come me, è su una traiettoria in allontanamento dal proprio. Del Prete porta con sé, ancora integra, tutta quella sfera delle relazioni umane che, nella giovinezza, imperla le giornate e permette di vivere la vita con una sana leggerezza quasi ingenua: si tratta della sfera dell’amicizia, che in Del Prete (mi riferisco alle poesie), con estrema naturalezza può spingersi oltre, nello spazio riservato e solare dell’amore, senza sottrarsi a qualche delusione. “Anche tu non hai mai rotto il cerchio / dove tutto assume un nome / dove tutto si conosce, si somiglia. / Resterai con me, come chi s’è cercato in un / tutt’altro, custodirai questo sgabello / io e te di fronte, ancora per vent’anni / ‘mi lasceranno sola’ già sapevi, col / ricordo che riflette alcune ciocche bianche, / troppi, troppi scatti oltre noi stessi. // Tardi. Ti do un appuntamento vago / stanco ‘una birra, sì, uno di questi giorni’ / – ma tu che non sei salva, tu sai ridere / ‘puoi ancora opporre il bello alla miseria / confina fuori il tempo, il giorno è adesso’.” (pag. 71).
L’amicizia e l’amore, nei versi di Del Prete, si sovrappongo, non si disgiungono mai perfettamente, hanno quasi una dualità tipica dei sistemi quantistici, “onda” o “corpuscolo” a seconda di condizioni al contorno che lo scrittore ha la facoltà di determinare, è un po’ come se amicizia e amore fossero componenti di una funzione d’onda che descrive il sistema complesso delle relazioni umane. In ogni caso ciò che caratterizza l’intera raccolta è la sua forma per nulla solipsistica ma totalmente dialogica: “Stasera potrei versarti il calice estremo / offrirti l’ultima sigaretta; stanotte / forse l’ultima parola – […]” (pag. 73). Il poeta vive l’amicizia-amore pronto, in ogni momento, ad una sorta di sacrificio salvifico. “La mia voce deve avere il calore / dell’estate, se t’incanta col nome / dei quasar, […]” (pag. 53).
Un vago sentore di petrarchesco o di leopardiano, di tanto in tanto, si subodora vagamente nella lettura: “Arliana, a te direi tutto / e lo farei così, mea sponte, / senz’attendere nient’altro che il lume / intenerito dei tuoi occhi / verdeoro, il sopracciglio / esattamente teso e le domande / che senza un fiato fai cadere / nella schiuma del caffè alle nocciole / dove getta, il mio cuore, le tagliole. // […]” (pag. 48).
Tuttavia mi permetto di annotare a gusto personale che ci sono, sparse qua e là, alcune piccole ingenuità, ma tutte perdonabili, talvolta i versi si allungano in qualche parolina di troppo e alcuni troncamenti mal giocano tra i versi: “Rincasando a passo svelto, ti scorgo / contro il muro a mangiucchiar pistacchi, / […]” (pag. 46). Quella “e” finale a “mangiucchiar” ci sarebbe stata, a mio avviso, proprio bene, avrebbe eliminato quel sentore di aulico un po’ stantio in una scrittura snella come questa. Trovo anche qualche rima che, a mio avviso, rovina la naturale armonia delle assonanze nascoste tra i versi: “[…] / nella schiuma del caffè alle nocciole / dove getta, il mio cuore, le tagliole. // […]” e “[…] / ma come spettro senza forma / che tutto trapassa e non lascia orma. // […]”. Oppure qua e là si incontrano delle inversioni aggettivo/nome che rovinano, quando eccessive, tanta poesia contemporanea di sprovveduti, talvolta improvvisati, poeti; non è questo il caso, in cui tali inversioni sono raramente presenti e sempre discrete: “[…] / ma l’anima è un gonfio lenzuolo / […]”: visto lo stile generale della raccolta, forse sarebbe stato meglio dire “lenzuolo gonfio”; ma è anche vero che bisogna tenere conto del contesto della poesia da cui i versi sono tratti, il cui titolo è “Ballando con Arianna” (pag. 48): l’intento del poeta è forse quello di dare al componimento il senso di una ballata.
A conclusione di questa breve e non troppo approfondita riflessione posso affermare, con una forte dose di gusto personale (l’intento di questa nota di lettura non è quello di fare affermazioni oggettive), che Del Prete, tarantino che ha da sempre vissuto a Martina Franca, come lui stesso scrive nella biografia, con questa sua opera prima, ha dato ottima prova di sé, dando lustro, mi si lasci dire, alla poesia meridionale, sono certo che lo leggeremo ancora e con piacere. I miei vivi complimenti.
Leggi alcune poesie tratte da Soglie