Scrivo di quest’ultima raccolta di liriche di Salvatore Contessini, trasportato da un impeto di entusiasmo che sempre più raramente sento scaturire dalla lettura dei libri di poesia, per una sorta di trasandatezza nella forma e nel linguaggio che sembra avere contagiato molti testi che mi trovo tra le mani.
Che cosa c’è nelle pagine de “La cruna”, da indurmi il desiderio di alzarmi dalla poltrona e recarmi al computer a scrivere le poche righe che seguono?
A mio avviso, le poesie proposte da Contessini si compongono, unitariamente, in bellezza formale e contenutistica, a partire da elementi grezzi che fanno da sfondo ai versi e che rassomigliano molto a quelli che ho trovato nei quadri di un pittore come Monet, quando dipingeva paesaggi avvolti dalla nebbia o i fumi di falò nei campi la sera o roseti e glicini sul ponte giapponese del suo giardino. In tali opere, uno sguardo ravvicinato e puntuale mostra la materia grezza, essiccata, che compone fisicamente le pennellate, ma uno sguardo a distanza compone tale materia nella bellezza sconcertante dell’opera. Monet riportò sulla tela, con una ben determinata modalità pittorica – in analogia, Contessini riporta sulla pagina, con una ben determinata modalità linguistica – quella parte di realtà che lo aveva “impressionato” (la sua visione del mondo, le suggestioni, le intuizioni e le comprensioni), evidenziando un realismo autografato tutto personale, lo fece con pacata urgenza e decisione nel gesto del pennello – Contessini con la sua “penna”. Monet si rese conto che erano necessarie nuove modalità espressive, atte a pronunciare al meglio la varietà delle sfumature delle nuove sensibilità, che si stavano delineando nella società contemporanea, ma senza dimenticare le esperienze primarie dell’uomo di natura, stretto dalla modernità dirompente della società industriale che stava iniziando ad avanzare impetuosa; allo stesso modo Contessini sembra rendersi conto, e come lui altri poeti, della necessità di una nuova lingua atta ad esprimere la contemporaneità e ciò che l’uomo sperimenta nello sviluppo del suo stesso pensiero, dal punto di vista sociale, scientifico e tecnologico: se da una parte è necessario tenere stretta a sé la propria umanità, intesa come elemento che ha radici evolutive ben precise, dall’altra è necessario penetrare nell’oggi scientifico e nei nuovi paradigmi proposti dalle nuove interpretazioni della realtà che la scienza propone nel suo procedere. Nei versi di Contessini trovo l’anelito, allo stesso tempo pacato e compulsivo, a forzare il blocco della tradizione per espandersi in diversi fraseggi che possano rendere giustizia a un mondo in rapido cambiamento, a ogni livello. In verità, per contrappeso, qua e là nei suoi versi, il poeta occhieggia alle proprie spalle verso la tradizione, si tratta cioè di uno sguardo a tergo nella certezza che tutto torna, anche la fine, e, dunque, tutto riparte, ciò che è stato ce lo ritroveremo davanti come antico e nuovo guado necessario, si tratta di qualcosa di già visto, come ad esempio l’amore, ma inevitabilmente immerso in nuovi paradigmi e rinnovato dall’anima del poeta.
Contessini fa parte di quei poeti che non si arrendono davanti all’evidenza del fallimento della poesia nella società contemporanea e cavalca versi la cui incertezza semantica è la loro stessa forza, come in una sorta di principio di indeterminazione tra semantica e forza espressiva: siamo di fronte a un sistema poetico, a mio avviso non destinato a diventare un “campo morfico” a se stante ma uno dei passaggi possibili verso nuovi “campi mentali”, adatti a descrivere, nella visione d’insieme, “le nebbie e i fumi” che avvolgono i paesaggi individuali e sociali contemporanei.
Per concludere, esprimo la mia soddisfazione a Contessini per i temi e il coraggio del linguaggio che, come una corrente elettrica, attraversa tutta la sua bella raccolta e la illumina (ma questo non vuol dire che i versi siano puntualmente perfetti, a gusto personale, qua e là, li rifilerei, soprattutto dove a sbalzi succedono in rima, a vantaggio semmai di assonanze più ampie).
In una struttura linguistica, che a tratti riecheggia aulica, si riconoscono i piacevoli tratti di un idioma scientifico come un “occhiello di chiarore”: “[…] cruna d’ago da ricamo // o flebile lucerna di memoria.”
Per la lettura di alcuni versi de “La cruna”, rimando alla pagina della sezione “Poesia della settimana”, sempre su LaRecherche.it.
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Leggi anche l'articolo di approfondimento di Roberto Maggiani su "La cruna" di Salvatore Contessini, La Vita Felice:
https://www.larecherche.it/testo.asp?Id=2257&Tabella=Articolo