Quando l'officiante avrà
estratto di prestigio dal cilindro
la ricompensa finale che ti aspetta
per averti assimilato alla carcassa
del nero morto di mosche e di fame,
a ogni anima che pia inghiotte e accetta;
quando la frusta teodicea avrà saturato
il tempio e di te sarà lo scempio ultimato,
io ti dimenticherò,
come non ti ho mai dimenticato.
Solo percorrerò l'ultima volta le strade
che assottigliavano la tua suola:
quelle che da via Battistessa portavano
alla scuola, via Tanucci, corso Giannone
o, se erano belli i tempi, via Turati,
via Alois, piazza Vanvitelli…
C'era un filo troppo corto, un nulla,
che non andava buttato, incomprensibile
e fu utilizzato, per te. Scese sul tuo giaciglio
come in altre case entra un raggio sensibile
di sole e posa sul viso confidente del figlio
illuminandone il sorriso.
In te si insinuò il nylon celestiale
e il tuo passo, ogni tuo passo,
fu per noi lo scandalo, il rebus
del presentito assurdo oblio qui est in coelis,
che disegnò il taglio lupesco dei tuoi occhi,
forgiò la chiave che condannò alle pene
dell'inedia la tua fame del cosiddetto Bene.
Per questo io ti dimenticherò,
come ha fatto Dio:
non cresce salvezza memoria
che non possa dannare oblio.
Il filo per troppo tempo teso,
logorato si è diviso.
Nulla della tua vicenda d'ora
potrà dirci che l'arbitro fischia ancora
rigori che non esistono o punizioni
per svergognarlo alla moviola.
Angelo compagno di banco,
di un banco andato al macero
con tutti noi, Angelo perduto,
giocasti bene, ma l'arbitro era venduto.
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