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Gocce insorgenti

Poesia

Bartolomeo Bellanova
Terra d’ulivi edizioni

Recensione di Paolo Polvani
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Pubblicato il 10/11/2017 12:00:00

 

Quando le parole ci pesano

 

Il titolo del nuovo libro di Bartolomeo Bellanova, Gocce insorgenti, non lascia dubbi sulla prospettiva critica da cui si pone, sullo sguardo privo di indulgenza e di remissione dei peccati, corroborato, in apertura,  dalla frase di Sophie Scholl, una delle voci di intransigente opposizione al regime nazista: -“Noi non rimarremo in silenzio. Saremo la vostra cattiva coscienza” - . Sophie con uno sparuto gruppo di studenti dell’università di Monaco dette vita al gruppo della Rosa bianca, che  clandestinamente combatteva la barbarie del tempo;  una volta scoperti furono ghigliottinati dopo un fulmineo processo. Una vicenda analoga è stata raccontata in un film dello scorso anno, Lettere da Berlino, del regista Vincent Perez, in cui viene raccontata la storia di una coppia di operai che sfida il regime con la sola forza delle parole. Ed è alla sola forza delle parole che si affida l’autore di questa raccolta per denunciare la barbarie che sembra radicarsi e crescere sempre più nel nostro mondo.

 

Qui tutti i mali del mondo sembra che trovino il loro inventario, finalmente un posto al sole da cui evidenziare le storture, quel subdolo impasto di malvagità e fatalità, quegli incroci malefici ai quali gli uomini sembra non vogliano rinunciare. Così in apertura è la prostituta nera tredicenne cui l’autore dedica un primo piano di crudele spietatezza: - Non è colpa mia se tua madre / ti ha lasciato partire / dal tuo paese di sterco e polvere. –

E subito dopo un episodio ancora più terribile, la vicenda della bambina siriana, diabetica, cui i trafficanti di uomini hanno gettato in mare lo zainetto con l’insulina, condannandola così a una morte atroce, sotto gli occhi dei genitori sbeffeggiati: - e ridevano le iene / ghignavano sui rintocchi a morte -.

 

E poi la fredda determinazione dei kamikaze: - esploderemo in un centro commerciale -, e qui la voce del poeta non si limita a registrare la cronaca (Sei esploso in fila per il pane caldo della mattina / scugnizzo di Palmira, dieci anni e il cuore tisico), ma a un certo punto invade la scena e prega il giovanissimo kamikaze di prendere coscienza, alla sua morte non troverà le quaranta vergini promesse, ma solo l’oblio del tempo: - Corri e impara l’amore / corri, esalatati d’amore, / esplodi alfine d’amore.-

 

Tra i mali recenti del mondo non poteva mancare il destino tragico, amaro di Giulio Regeni, del cui assassinio è apparso fin da subito evidente che andava imputata la responsabilità ad appartenenti alle istituzioni egiziane, come appare evidente che la ricerca della verità è stata sacrificata sull’altare delle convenienze economiche e politiche. E poi Donald Trump, con  l’alone macchiettistico che lo circonda e la sua cinica, stupida cattiveria: - cecchino implacabile di esseri migranti -.

 

Elio Pagliarani nel suo La ragazza Carla scriveva:- “Le abitudini si fanno con la pelle / così tutti ce l’hanno se hanno pelle” -. Credo che un certo tipo di poesia nasca dalla pelle, dal dolore bruciante sulla pelle che la cronaca dei nostri giorni imprime come un marchio infuocato, dalle esperienze, dalle sensazioni urticanti che si avvertono girando per le nostre strade, attraversando i territori del nostro tempo.

 

Così il raccoglitore di pomodori: - Del tuo sudore nutri le ore / nel tuo sudore affondi la vita – e poi tutto il dolore delle madri: – madre nostra coi capelli strappati dai fili spinati – e ancora, lo squallido paesaggio delle periferie, le sue terribili promesse : - nella camera a gas / di questa pianura lambrusco e svincoli tangenziali / rotaie, capannoni, autoarticolati, / e veleni sospesi.-

 

Ed è ancora un fatto di pelle se un paesaggio urbano incide le sue note come fossero artigli e chiede di essere esplicitato sulla carta, chiede accoglienza dentro i versi, e così Genova si imprime con le sue atmosfere: -…Madonne barocche / benedicono chi passa a testa bassa / benedicono chi passa e contratta...-

 

In questo libro c’è anche tanto spazio per il terreno prediletto della poesia, per l’uso inventivo del linguaggio, per la ricerca di un lampo di bellezza che squarci la monotonia delle giornate e illumini di meraviglia e di sorpresa:

 

Scugnizzi

 

Sono merli scugnizzi

saltano i pilastri uno ad uno

saltano giù i gradini due a due.

 

Ridono sgranati

come chicchi di riso

gettati al cielo

e calciano la luce.

 

Sgommano a sciame,

masticano gomme,

saltano eccitati

del loro volo inerme,

atterrano e si fiutano

le illusioni.

 

Anche le rondini offrono solidi appigli per spargere versi di bellezza, col loro desiderio di circuire le torri altere con canti, trine e merletti

 

essere una manciata di pura grazia

incurante di questa luce

 

e più avanti, ancora, saranno sempre le rondini a suggerire nuovi accordi, impasti inauditi del linguaggio, che richiamano i versi di Montale – la gazzarra nel cielo degli uccelli – e mutano prospettiva pur evidenziando una stessa vivacità celeste:

 

M’accompagno a te,

pulsante creatura dei cieli,

fessura alata del possibile.

 

E di seguito anche la bellezza dei passeri viene ricordata ed esaltata nei versi:

 

Gioia di luce il vostro canto è un attimo breve,

poi torno a incespicare nei miei occhi sbarrati

 

Spesso ci si dimentica che il confine della poesia, la sua parete comunicante, e dunque anche la sua sorgente, è tutto dentro il silenzio, custodito come in una sacca amniotica, il silenzio è la sua cella, la sua vera radice, e gli spazi bianchi del foglio sono lì a ricordarcelo, a evidenziare il respiro buono da cui prende vita il verso:

 

Silenzio

 

Cos’è questo silenzio notte?

Questo corpo oscuro?

Dove inizia?

Hanno confini i suoi arti

e il suo tronco?

Lo senti il suo canto muto

La sua ipnosi irresistibile?

Ci stacca i sensi a uno a uno

ci alita buio negli occhi

e c’inghiotte a uno a uno.

Poi se avrà pietà

ci sputerà fuori

all’abbaglio del mattino.

 

Il motore che fa viaggiare un libro di poesia è lo stesso che fa viaggiare la letteratura ed è la fascinazione del linguaggio, cioè la capacità di prendere per mano il lettore e condurlo a spasso dentro le storie, dentro i versi, col potere incantatorio delle parole. Questo potere scaturisce in virtù dell’amore che l’autore profonde nell’impastare il linguaggio, nel farne materia viva, incandescente, da plasmare e da addomesticare; questo concetto è riassunto e spiegato alla perfezione dal filosofo Giorgio Agamben nel libro Il fuoco e il racconto: - Scrivere significa contemplare la lingua, e chi non vede e ama la sua lingua, chi non sa compitarne la tenue elegia né percepirne l’inno sommesso, non è uno scrittore -. E in questo libro sprazzi di luce e di bellezza si rincorrono senza sosta :

 

In Via San Leonardo si stirano

le ossa i primi scuri cigolanti.

Sono occhi impastati d’ocra

e viola tenero, incerti e muti.

 

In questo libro le parole sono divenute materia, hanno preso corpo dalle vicende della storia, dai nostri tempi cupi e malati, e da questo libro ci guardano, ci accompagnano, ci pesano:

 

Con te le parole hanno preso materia,

hanno preso corpo dalla caverna di buio e saliva,

ci accompagnano, ci pesano, ci vivono la vita intera

dal primo vagito all’ultimo rantolo.

Alle parole abbiamo affittato corpo,

cervello, muscoli, sangue e ossa.

 


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