Attraverso la poesia Cesare Viviani parla dell’animo umano svelandone le debolezze e i timori latenti, un messaggio in versi che è in realtà un’accusa alla decadenza culturale della società. Per l’autore non è inusuale questo bisogno di analizzare pensieri e comportamenti, una tematica ereditata dallo studio della psicanalisi che lo ha impegnato a lungo. Lontano dall’essere artefice di una critica sterile, tra la delusione e l’istinto a distaccarsi dall’ipocrisia della massa Viviani si rivolge al lettore con estrema sincerità, aspettandosi da lui comprensione e condivisione.
Attrae il valore comunicativo di questi testi, scritti con un linguaggio semplice, che tende sempre ad andare al nucleo del concetto, al fine di esprimersi con chiarezza. Malgrado lo stile prosastico, frequenti sono le rime, prevalentemente baciate, le assonanze, gli enjambement per richiamare l’attenzione del lettore e i climax per accentuare situazioni positive (… abbiamo conquistato / un filo d’erba, un frutto, un sorriso.) o di gravità (Ma quale noia, inedia, perdita / di senso). Particolarmente efficaci sono anche le anafore, per mettere in risalto parole chiave indispensabili all’interpretazione del linguaggio poetico (Immagine resisti, resisti…).
La silloge inizia con una presa di posizione contro il comportamento della massa. Viviani parla di una società, di cui è pienamente consapevole di far parte, dove regna la menzogna; sarebbe vano chiedere la verità all’uomo, intento a lavorare o a curare il tempo libero solo per accrescere il piacere personale. “Verranno mica a cercare la verità da / noi / quelli lì, anche se hanno pagato?” L’ipocrisia si manifesta nella continua lotta per avere il necessario, “…ripetere i gesti di sopravvivenza.”, che spinge l’uomo a prendere decisioni difficili, come accade a chi si lascia convincere a vendere i suoi beni immobili, o a farsi ingannare dall’apparenza, come il bosco incantato che non mantiene quanto promette, ma nasconde bestie feroci.
La giustizia è un concetto che non siamo più in grado di concepire, “Poi ci sono, con le autorità, i premi / ufficiali / alla stessa ora delle condanne nei / tribunali.”, come lontana ormai dal sentire comune è la sincera empatia di fronte alla vecchiaia e alla malattia, condizioni in cui emerge una terribile aridità emotiva, “Il familiare sano che parla / del familiare malato è insopportabile.” . È una delle manifestazioni di una “… sequela infinita di atti osceni.” Per la prima volta Viviani non parla più solo con l’intento di descrivere la decadenza ma si rivolge al lettore, cercando da lui condivisione.
Il poeta vuole accusare l’ipocrisia rivelandone le conseguenze sociali, come assistere alla rovina altrui da spettatori evitando ogni intervento, anzi provando piacere in silenzio. Una situazione difficile da risolvere, da cui ci si può illudere di fuggire aspirando a un mondo fantastico, intento citato nei versi che nascondono un riferimento ad “Alice nel Paese delle Meraviglie”, dove una bambina corre dietro a un coniglio bianco. L’unica alternativa è promuovere un cambiamento, che inevitabilmente deve passare da un’attenta critica sociale, a iniziare dai comportamenti che quotidianamente conducono a inaccettabili soprusi, come gli “… arroganti sorpassi di macchine / potenti / che divorano anche / autoambulanze a sirene spiegate.”
L’accusa ricade ancora sulla menzogna e sul desiderio di consumarsi nel lavoro o nel tempo libero solo per soddisfare l’ego, per coltivare la propria immagine e porla di fronte agli altri con pretesa di superiorità, atteggiamento inutile identificato ne “… l’onda celeste / che scendeva dal cielo a portare / il vuoto …”. Alla fuga nell’irreale si contrappone la riscoperta di un’esistenza semplice in condivisione con la natura. In una delle poesie in cui il messaggio dell’autore giunge più incisivo parlano gli alberi, custodi di una saggezza ormai persa dagli uomini, che attraverso la loro semplice esistenza offrono l’insegnamento per trovare la serenità, “… nessuno provvede, / ogni cosa avviene da sé, / uomini, dateci retta, mollate, / mollate, mollate, mollate.”
La riflessione sulla natura umana spinge l’autore ad andare oltre lo studio della materia vivente, per chiedersi qual è la vera essenza del divino a cui i suoi simili tendono, senza però rispettarne gli insegnamenti. Emerge una visione illuminata di Dio, attraverso un chiaro riferimento al Deismo come convinzione personale, non certo come una forma alternativa all’ateismo. Il pianeta è “… come se fosse dio onnipotente / perché è dio onnipotente.”, all’uomo non resta che compenetrarsi con la natura per fuggire la modernità da lui stesso creata, perché “… finché l’uomo non si fa natura / resta la paura.” e la vita può essere insopportabile, può diventare un padrone.
L’ambiente familiare è uno dei contesti in cui ritrovare la sincerità delle proprie azioni ed emozioni, traguardo estremamente arduo, come testimonia la lirica dedicata a Giovanni Giudici. Fuggire dalle tensioni domestiche è ipocrisia, un travestimento che nasconde l’uomo non solo agli altri, ma anche di fronte se stesso, ma è altrettanto un travestimento “… sperare / in un cambiamento, / pur di addormentarsi senza pensieri.” L’unico bene da difendere è “l’impulsività cristallina”, vista come sincerità nell’immediatezza del pensiero e dell’azione. È la spontaneità a spingere l’uomo verso uno stile di vita primordiale, lontano da ogni forma mentis del vivere moderno, condizione descritta nella lirica che compare anche in copertina, secondo lo stile tipografico della collana Einaudi di poesia.
L’autore riflette su cosa si prova a vivere senza “aiuti, raccomandazioni o materne associazioni”, e conclude che deve essere “… come vive il resto della natura / vicino ai predatori e senza paura.”, solo in questo modo l’uomo può riscoprire le sue vere caratteristiche fisiche e psichica, comprendere di essere la luce che dona la vita. “E se fossimo noi luce del giorno, / e non il sole?”, ruolo che ognuno può svolgere come componente del creato solo se preserva l’umiltà, qualità ricordata dal poeta e contrapposta alla ripetizione di gesti inutili, come coloro che “… passeggiano a sera negli stessi luoghi / per essere visti.”
In una delle ultime poesie Viviani riassume il messaggio della silloge, rivolto a un lettore che deve riscoprirsi essere sensibile in grado di alimentare i propri sentimenti “… difficili da coltivare …” considerando la sua affinità con gli altri esseri viventi. “Il freddo è freddo per il mite fiore, / per la pazienza umana, / per il manto degli animali…”