Siamo arrivati, vivo mio,
e non mi tirerai fuori di molto,
questo luogo pagato mi sgrana
dai morsi, dalle calze, dagli anelli:
e mi chiedo: son io il fiocco da slegare
o tu il lupo di carta da disfare?
Ma non ho tempo, è il mio compleanno,
e t'involvo, fuoco umido
ti circondo e t'investo,
una macchina del tempo a ritroso,
una mantide malevole, culmine del pegno,
il mio tempo divora la tua lingua,
sei nervo scoperto dal mio mutare.
E ti smonto e ti rimonto
svestito e ricucito
con particelle di peccato
cristalli di ghiaccio
che frantumano le fessure,
un coltello per la prima colazione
polline del mattino, giorni di vortice
che ballano in crepuscoli tribali,
mentre siamo uno nell'altro come un flusso fertile
un istante nudo come la schiena
e sei sempre più giovane
congiunto al mio sole.
Ti trattengo - non arrivo ai tuoi peccati -
una Quaresima di lingue asciutte,
respiriamo in un solo boccaglio
mentre il seno mi fa male
per il troppo tendersi e non allattarti,
ti raggomitoli nel pelago olivastro,
e fiorisci, cuoio maschio,
un unico corno spaccone e impuro,
e mi capovolgo,
sarò capra che monta l'ariete.
Scivoliamo,
mi afferri e mi pieghi
in un angolo d'orgasmo
tu corda ed io viola da sfregare
non siamo più differenti,
incastrati a scorticarci le gambe e la notte:
una tregua sazia, il regalo perfetto.