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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Rendez-vous oltre la riga

Poesia

Lucia Longo (Biografia)
Falco Editore

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 14/04/2017 12:00:00

 

Esordio poetico nel segno di una scrittura d'amore, sull'amore questo di Lucia Longo insegnante calabrese con alle spalle una intensa attività d'artista nel segno della multidisciplinarità (non a caso il testo è corredato all'interno di foto raffiguranti installazioni di poesia visiva). Potremmo allora, oltre l'abuso ormai consolidato del termine, parlare a buon ragione di piccolo Canzoniere nel taglio però si badi bene di una interrogazione e registrazione di eventi, seppur minimi anche, legati soprattutto ad una interiorità femminile che ha nell'amore, nell'espressione piena dell'amore e della sensualità che la lega la pronuncia più profonda. L'amato infatti di cui, della vita è accordato strumento, per custodia, per cura si affaccia in queste pagine come nota, come oggetto di un canto che è dapprima interrogazione e rimemorazione continua di sé e poi, come si conviene, sollecita lode, invito, convegno a spezzare ben oltre la riga e la pagina, nell' indicazione dunque di una fecondità sovversiva della passione, un'orizzontalità di intenti che nulla, nemmeno la scrittura può credere di racchiudere e fermare per sempre. L'altro infatti non è che un appuntamento con se stessi nella conferma, a saperla riconoscere e cogliere, di un esistenza data in apertura, di una fecondità che è tale solo nell'incarnazione dell'altro. Di qui dunque nel riconoscimento quella sapienza che viene dal senso, che precedendo prepara e guida, alleggerisce sempre, intuisce in una frammentarietà di spazi che dei due sa, già dice l'unione. "Ho lasciato l'anima/ a stringerti la carne.//E ora sono rondine/ a cui risponde l'eco", ecco, in una versificazione breve, secca, un piccolo esempio di quanto detto a cui la Longo affida verso per verso a proposito di eco una moltiplicata risonanza di desideri, voli, contaminazioni. Così nell'intreccio di una medesima grammatica d'anime e corpi il sapersi viva come pianta che incontra l'elemento che le dà nutrimento (senza il quale il mondo stesso appunto rischia di farsi siderale) ha nella formula dell'abbraccio il senso del gheriglio (come da poesia omonima), di un amore dunque nel suo verde allappante colto dalle mani, di un amore altrove invocato secondo un'efficace espansione: "Come incredulo frutto/ nasci in fretta / lentamente . // Oh.. / se potessi essere ramo/ t'accoglierei fra le mie foglie". La poesia allora che nasce tra i tempi della separazione e del contatto erge a sua portavoce principe il bacio, sì, cui la Longo dedica versi intensissimi non solo come necessità della carne (ossigeno senza il quale come fiamma ci si spegne) ma come presenza e conferma di un'anima che teme lo smarrimento in una solitudine senza pelle (che piuttosto oltre la logica e le verità del cuore suda le sue verità). Non a caso, infatti, è proprio una poesia sul bacio ad aprire il libro, nello specifico su quelli mancati come ad annunciare (da titolo) una "Nuova primavera""Anche le rose/ spezzate sanno/ sbocciare e/ i baci mancati/ trovare bocche dove/ navigare". Così il fremito di cui ci racconta ha sovente l'accezione dell'accento che sovverte e guida la rotta, a cui può anche non servire la bocca per ricucire e tenere insieme le distanze nella "pienezza di un frutto/ dove posso saziare la sete", nella virtù che sa dell'amore la pazienza "di cruna/ dell'ago/ quando il filo/ è sfrangiato/ e le mani/ sono spesse" e la spazialità policentrica dei sensi ("Baciami...//Ma non lasciare che/ siano solo le nostre/ bocche a provare/piacere"). Nell'intelligenza di un cuore di donna mossa per fatiche e prove pure nella coscienza di un' interdipendenza che passa per sentieri intricati (che vissuti "senza/ il pregiudizio/ della colpa/ e del peccato" aiuta a toccare l'intimità di se stessi) sa bene che l'amore per essere saputo ha comunque bisogno di essere detto, che a nulla serve se ciò che si porta nel cuore nel cuore resta. Anche questo allora il senso del suo cantare in un sogno come stupore di se stessi. Nell'uso esplicito dei simboli lo stesso Ferdinando Battaglia nella prefazione si diverte a enumerarli e noi con lui li ricordiamo. Sono le figure della Fenice (capace di rinascere sempre), quella di Pinocchio (nel slancio verso promesse che non si manterranno) e quella della Sirena (nell'incompiutezza che lascia nella malinconia della parte divisa). Il tutto come lo stesso Battaglia sottolinea nel desiderio di ripristinare "nella consapevolezza l'integrità dell'amore" e che nell'accento del canto ma soprattutto nell'ostinazione dell'amante e dell'amata in parte già realizza (considerando in realtà che il vero rendez-vous come detto è oltre la riga) e che compiutamente così riesce a esprimere: "Sei/il mio gioco delle linee/parallele./Ti incontro nel punto/di un infinito che ricorre". Un volume dunque corposo e coinvolgente del quale però si è sofferto un eccesso nel numero dei testi (che in parte avremmo tolto non aggiungendo nulla a nostro dire al dettato semmai inficiato dal rischio di stancanti ripetizioni) e dall' uso di un verso breve nel singhiozzo di spezzettature a frenarne sovente lo slancio.

 


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