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Pubblicato il 15/12/2008 22:00:02
Nell’angolo più buio e remoto del ripostiglio, giace il sarcofago nero. Lo prende: è pesante come il suo cuore blindato. Apre ed il lucido palissandro viene percosso da un raggio di luce che crea un effetto 3D polarizzato e lo strumento balza fuori dal sottobosco di velluto rosso. Lo prende, lo abbraccia, accompagna la forma calda, sfiorandola con dita gelide. Ricorda il forte fremito, l’incanto di armonie incompiute, l’eco di una voce modulata e profonda che si lascia fondere ad accordi arpeggiati. Ma non tocca le corde. Il Mi basso, robusto e sonante, è ora una fune tesa sul terrazzo che raccoglie la prima goccia, greve di terra e tossico fumo, avanguardia dell’imminente temporale. Non la lascia cadere: lottando contro la gravità, la tiene sospesa, aggrappata con l’infinitesimale, umido acme, nell’attesa che il vento giunga a spazzarla via. Così la prima lacrima, gonfia di mattini arsi e di notti senza maree, rimane attaccata alla corda prima di cadere sul La, scivolare sul RE, rimbalzare sul SOL, accasciarsi sul Si ed, infine, brillare polverizzata sul Mi cantino. Sei gradini per scendere nel silenzio ingiunto da un bavaglio d’amore e paura. Quella spessa corda non la può toccare: non sopporterebbe di vederla vibrare. “Se non c’è mano che possa stringere la mia chiave sino a tendere ogni mia fibra ed accordarmi, che voglia lambirmi, pizzicarmi, diteggiarmi; che squagliata la corazza d’acciaio e raggiunta la flessibile anima di nylon mi faccia vibrare, non sarò certo io a ridare voce a questa chitarra. Pazza: perché mi sono sottoposta a questa riesumazione straziante? Che giacciano i morti nei loro loculi se per me non c’è alba del terzo giorno! Le corde bagnate si arrugginiranno nel buio. Forse, questa scatola nera, aperta da mani pietose nel giorno della mia morte, svelerà il mio segreto. Che il mondo sappia come si sopprime il canto di un’allodola!”.
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