I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Diletta sapeva che non avrebbe fatto figli, avrebbe solo potuto partorire se stessa.
Peccato.
Una cosa era certa; aveva deluso e si era delusa. Per questa vita non c’era altra opzione se non, appunto ,quella di partorirsi.
Al diavolo quindi le fantasie di marmellate e bimbetti, c’era del lavoro vero da fare.
Dal canto suo non sapeva dove cominciare , il dolore la ottenebrava, e invece di sentirsi come sempre una marziana ,quel giorno aveva sentito tutti gli altri marziani intorno a lei. Avrebbe ricordato quel 16 di agosto per molto tempo sempre che le fosse rimasta la memoria ,sempre che non fosse impazzita prima. Ma poi aveva capito; l’energia - quella poca rimasta- andava usata bene. Niente odio si era ripromessa, solo comprensione ed infinito affetto per quei compagni di vita e di morte che la circondavano, Ed era sparita.
Non se ne sarebbero accorti subito, così abituati alla sua presenza accogliente e invasiva. Ma lei lo sapeva. Non aveva scelta se non quella di andarsene, di evaporare .
La fuga era la sua specialità.
Fuggiva in continuazione pur rimanendo fedele alla sua immagine di lealtà e fedeltà incrollabile. Mentiva spudoratamente a sé stessa tenendosi stretta un corpo di adolescente e un animo ancora cucciolo.
La paura che costellava le giornate di Diletta era da fumetto infantile: nell’illusione che una magia matematica, potesse proteggerla, cercava di controllare tutto e tutti secondo dei codici anch’essi bambini.
Una calcolatrice emotiva, con gli uomini giocava spudoratezza e ingenuità. Una puttana vergine che gli uomini non capivano ,tormentati da questo mix micidiale da cappuccetto rosso porno Da sempre avevano cercato di penetrarla,di possederla o , inteneriti, di entrare nel suo cuore. Una sfida da uscivano inevitabilmente sconfitti.
Adesso con i rimasugli di quello che era stata, stava cercando una volta ancora di crescere; non che le importasse, ma che altre possibilità aveva? In realtà non le importava più di niente, e giocava alla vita con una consapevolezza sempre più raffinata, addirittura scordando il passato per poterlo rivivere.
Sapeva di non avere molto tempo e non ne capiva il motivo. Il dolore ormai la trafiggeva come una pena fisica.
E poi la noia, la sua grande nemica, quel bisogno di riempirsi gli spazi solo perché la vita l’attraversasse, senza doverla guardare.
La vita era la morte per lei, chiunque l’avesse organizzata era un sadico: e tutti lì ad affannarsi solo in attesa del plotone di esecuzione.
Riusciva a sottrarsi al dolore –suo odioso padrone da sempre - convincendosi che non apparteneva a questo mondo; quante volte si era definita un angelo o un agente dell’FBI del cielo, malposizionata come ,se per una disattenzione divina, fosse stata inviata nel posto sbagliato, dove le dinamiche non funzionavano. Una beffa per lei che ben conosceva le dinamiche, che capiva sempre "prima".
E allora le toccava vivere un gioco che gia’ sapeva a memoria e che non le interessava affatto. Si annoiava perché già conosceva la fine del film, le sembrava tutto un teatro; per questo non le piaceva mascherarsi a Carnevale, lei sapeva di giocare un ruolo tutti i giorni. Aveva anche esaminato le inevitabili critiche delle persone a lei vicine, il tacito disappunto, sperava quasi avessero una ragione, per capire poi con terrore che il problema era spesso quello dei suoi inquisitori.
Non trovava mai nessuno con cui giocare giochi nuovi e diversi e aveva finito per credere che fossero giochi che non appartenevano a questa dimensione.
La politica non l’aveva mai ingannata e conosceva gli inesorabili inganni di questo pianeta. Non condivideva il desiderio di potere, di figli, di denaro che sembrava ammorbare tutti. Valori conclamati e quasi sempre traditi.
Casomai l’unico concetto in cui credeva,era la bellezza, anch'esso relativo. Dopo un po’ il bello e il brutto finiscono di meravigliarti e coincidono.
Dopo anni passati a cercare il suo corpo- in cui non si riconosceva, l’aveva finalmente trovato ,seguendo delle misteriose tracce, ignote persino a lei. Sapeva,comunque, che non avrebbe una speranza di collocazione se prima non fosse apparsa a se’ stessa come voleva .E infatti adesso stava bene, a suo agio,era se’ stessa,si riconosceva, senza bisogno di spiarsi. Non si trovava neppure bella come le dicevano, si trovava e basta.
La sfiducia era il suo punto debole: non riusciva a credere a nessuno, consapevole delle dinamiche degli umani. .
Si detestava quando decideva di conformarsi, dovendo pur avere delle opinioni: aveva quindi accettato, per sopravvivere, che in questo strano posto, non poteva credere nemmeno a se’ stessa.
Quanto malessere aveva sopportato, cosi’ tanto da temere che la morte le riservasse la sorpresa piu’ crudele, come nei suoi incubi notturni.
Tutti in fila ,dondolanti ad aspettare qualcosa, consapevoli di in'attesa inutile.
Su due cose però contava e le amava. La scuoteva il desiderio, il desiderio era bello, era vivo, per questo adorava i suoi compagni,uomini che a volte lo risvegliavano, facendole vivere quei pochi momenti che avevano avuto un senso.E poi,la musica che aveva un effetto magico, le canzoni d’amore la sconvolgevano piu’ di un film, un libro o un tramonto, la portavano in quel mondo che era il suo che riusciva solo a volte a intravedere..Peccato che il desiderio fosse momentaneo e provasse un blocco, un'impotenza creativa
La fantasia era la salvezza e la verita’ perche’ era individuale;la realta’ era un falso, un’apparenza ,un’equazione matematica basata su logiche umane in un mondo non creato dagli umani.