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Raccolta di saggi di Francesco Rossi
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I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Politica

Un pezzo di storia socialista.

Pietro Nenni nasce a Faenza il 9 febbraio 1891 da Giuseppe e Angela Castellani. I genitori sono al servizio dei conti Ginnasi. Nel 1896 muore il padre. Nel 1898 a Faenza, Nenni assiste ad una carica della cavalleria contro lavoratori e soprattutto donne che hanno assaltato i forni. Sono i giorni dei moti della fame. Nel 1900, per interessamento della contessa Ginnasi, che vorrebbe farlo diventare prete, è accolto nell'orfanotrofio laico "Maschi Opera Pia Cattani".
E' uno scolaro ribelle; dopo il regicidio scrive nei corridoi della scuola "Viva Bresci", inneggiando all'uccisione di Umberto I. Nel 1908 è assunto come scrivano in una fabbrica faentina di ceramiche, ma viene subito licenziato per aver preso parte ad uno sciopero. Contemporaneamente è espulso dall'orfanotrofio. Il 5 aprile sul "Popolo di Faenza" appare il suo primo articolo. Altri ne appaiono sul settimanale repubblicano "Il Lamone". Si iscrive al Partito Repubblicano, partecipa a numerose manifestazioni e conosce i primi giorni di prigione.
Nel 1909 promuove scioperi politici in Lunigiana fra i cavatori di marmo. E' fra i promotori dello sciopero generale di protesta per la fucilazione in Spagna del rivoluzionario Francisco Ferrer Guandia. Dirige il settimanale "Il pensiero romagnolo" e collabora a "La lotta di classe", diretto dal socialista Benito Mussolini.
Nel 1911, sposa Carmen Emiliani. Giolitti annuncia la decisione di occupare la Libia e come conseguenza viene proclamato lo sciopero generale. Nenni, che durante le manifestazioni a Forlì è stato ferito da tre sciabolate, è arrestato e condannato a un anno e quindici giorni.
In carcere ha come compagno Mussolini, anch'egli condannato per i moti contro la guerra in Libia. Il 26 dicembre nasce la prima figlia Giuliana. Il 9 aprile del 1913 a Jesi nasce la seconda figlia Eva, chiamata Vany. Nenni tra il 1912-13 si trova nelle Marche, tra Jesi, Ancona e Pesaro e svolge una intensa attività di giornalista.
Nel dicembre del 1913 è nominato direttore del "Lucifero".
Diventa segretario della Federazione giovanile repubblicana. Nel 1914 Nenni, con l'anarchico Malatesta, è uno dei promotori delle manifestazioni a carattere insurrezionale che riguardano la Romagna e le Marche e note come la "Settimana Rossa".
Arrestato e condannato sarà liberato alla fine dell'anno per l'amnistia concessa per la nascita di Maria di Savoia. Nel marzo del 1915 l'Italia entra in guerra.
Nenni è per l'intervento e parte volontario. La sua decisione matura in carcere ed è espressa nell'articolo del 6 settembre 1914 dal titolo "Vogliamo la guerra perché odiamo la guerra" apparso sul Lucifero grazie alla complicità di un secondino. Per il rifiuto di prestare giuramento al Re, viene spedito in carcere, richiede l'intervento del ministro repubblicano Barzilai per essere inviato al fronte. Viene ammesso al corso ufficiali e supera l'esame finale con una ottima votazione, ma "le informazioni sfavorevolissime intorno ai precedenti politici del sergente Pietro Nenni hanno vietato al Ministero di far luogo alla nomina ad Ufficiale".
Il 31 ottobre del 1915, ad Ancona, nel corso dell'offensiva delle truppe italiane per conquistare Gorizia, nasce la terzogenita alla quale Nenni darà il nome augurale di Vittoria. Nell'autunno del 1916 un barile di polvere da sparo esplode vicino all'osservatorio di Nenni. All'ospedale di Udine è curato per un forte trauma e poi inviato a casa in convalescenza. Nel 1917, durante la convalescenza, assume la direzione del "Giornale del Mattino" di Bologna, che riprenderà dopo la guerra, fino al giugno 1919. Dopo la rotta di Caporetto chiede di tornare in prima linea. Il 1919 è un anno di crisi ideale e politica nel corso della quale matura la sua adesione al movimento socialista.
Nel 1920 Nenni inizia per "Il Secolo", l'attività di inviato speciale all'estero. Molto importante è il viaggio a seguito della missione in Caucasia guidata dal Senatore Ettore Conti, con finalità commerciali e politiche, che permette a Nenni di entrare in contatto con il mondo sovietico. In questo anno lascerà definitivamente il partito repubblicano.
Il 23 marzo del 1921, una squadra fascista devasta la sede dell'Avanti!, Nenni accorre alla sede del giornale per dare manforte alla sua difesa. Conosce Serrati che dopo pochi giorni gli chiede di andare a Parigi come corrispondente dell'Avanti in prova per sei mesi a 1800 franchi mensili "comprese per ora le piccole spese di tram, posta, ecc.". Il 19 aprile appare per la prima volta la sua firma sul quotidiano socialista sotto l'articolo "La bancarotta dell'interventismo di sinistra". A Parigi si iscrive al PSI. Il 1 dicembre del 1921 nasce la quarta figlia Luciana.
Nel 1922 incontra a Cannes Mussolini e avverrà l'ultimo colloquio tra i due amici ormai su posizioni opposte. A maggio è nominato redattore capo dell' Avanti! che difende ai primi d'agosto da una nuova aggressione fascista. Nell'ottobre, mentre Mussolini si prepara alla marcia su Roma, i socialisti si dividono: i riformisti di Turati, Treves e Matteotti escono dal PSI e danno vita al PSU.
Il 26 ottobre una delegazione socialista composta da Serrati, direttore dell'Avanti!, Maffi, Romita e Garuccio, si reca a Mosca dove concorda un progetto di fusione tra il PSI e il Pcd'I. Il nuovo partito dovrebbe chiamarsi Partito comunista unificato d'Italia.
Negli organi dirigenti la maggioranza sarebbe comunista e l'Avanti! diretto da Gramsci. Per Nenni questa è la liquidazione del partito. Costituisce con Arturo Vella un Comitato di difesa socialista per "l'autonomia socialista".
Nasce da ciò un violento contrasto con Serrati che da Mosca ordina di sbarazzarsi di Nenni. Ma né la Direzione, né l'Avanti! obbediscono: in realtà il partito è contro la fusione.
Il 2 marzo del 1923 Nenni viene convocato dal Questore di Milano, che a nome di Mussolini, gli intima di cessare la campagna denigratoria contro il Prefetto di Milano, Lusignoli. Nenni rifiuta e viene arrestato.
In aprile si tiene il congresso del PSI a Milano e le tesi autonomistiche di Nenni prevalgono su quelle fusioniste di Serrati.
Nenni assume la direzione dell'Avanti!. Il 6 aprile del 1924 in un clima di violenza e illegalità si tengono le elezioni con la nuova legge maggioritaria, la "legge Acerbo", che decretano il trionfo del "listone di destra".
Il 30 maggio, nel corso di una tumultuosa seduta, Giacomo Matteotti denuncia l'illegalità, i soprusi e i brogli e chiede l'invalidazione delle elezioni. Il 10 giugno rapito da una banda di sicari fascisti mentre si reca alla Camera dei Deputati, viene barbaramente ucciso. Nenni, l'anno dopo, è condannato a sei mesi di prigione per l'opuscolo sull'assassinio del deputato riformista: "L'assassinio di Matteotti e il processo al regime". Il 1926 è l'anno dell'incontro con un giovane intellettuale socialista, Carlo Rosselli : insieme pubblicano la rivista "Quarto Stato". Pubblica il volume "Storia di quattro anni". Nel novembre del 1926 si sarebbe dovuto tenere il congresso del PSI, che non si svolge perché il fascismo ha emanato leggi speciali per lo scioglimento dei partiti e la soppressione di tutte le libertà. Il 13 novembre Nenni e Mario Bergamo, con l'aiuto di Ferruccio Parri e Rosselli, raggiungono il territorio svizzero ed il 21 novembre arrivano a Parigi.
Nel dicembre del 1926 si trasferisce a Parigi la direzione del PSI.
Negli anni tra il 1927-1929, in Francia, Nenni promuove la costituzione della Concentrazione di azione antifascista, della quale diviene il segretario generale. Nenni inizia a collaborare a molti giornali francesi. Dal 1928 avvia il processo di unificazione dei due rami del socialismo italiano.
Il 16 e17 marzo del 1930 al congresso di Grenoble avviene la scissione tra l'ala massimalista guidata da Angelica Balabanoff e la maggioranza del PSI guidata da Nenni. Il 19 e20 luglio, il congresso dell'unita socialista si tiene a Parigi e, sancisce l'unione del PSI e del PSULI.
Filippo Turati, Claudio Treves, Franco Clerici sono delegati a rappresentare il partito presso la Concentrazione. Modigliani, Nenni e Treves presso l'esecutivo dell'Internazionale operaia socialista. Tra il 1930 e il 1933, Nenni intensifica la sua attività giornalistica su importanti testate francesi e pubblica: "Six ans de guerre civile". "La lutte de classe en Italie". "Le conquerant en chemise rouge". "Marx e il marxismo".
Il Comintern ha lanciato a partire dal 1929, la campagna diretta a distruggere i partiti socialdemocratici definiti social fascisti. Nenni al XXII congresso del PSI, nell'aprile del 1933, è eletto segretario e direttore dell'Avanti!,
Nenni viaggia moltissimo in Europa partecipando a manifestazioni e congressi. Nei comizi e nelle conferenze il tema dominante è la lotta al fascismo.
E, appurato che il fascismo assume dimensioni europee, Nenni apre il discorso sull' unità proletaria che è lo strumento per combattere la reazione.
Nel mese di maggio del 1934, si scioglie la Concentrazione antifascista, vengono avviati contatti fra il PSI e il PC d'I, i quali il 17 agosto firmano il primo patto di unità d'azione in difesa delle libertà democratiche.
Nenni è convinto che la scissione del 1921 sia stata un fatale errore.
Tra il 1936 e il 1939 a Mosca si svolgono i processi con i quali Stalin distrugge moralmente e fisicamente i suoi oppositori di sinistra e di destra.
A tali processi Nenni dedica alcuni articoli nei quali con lucida critica non fa venir meno la consapevolezza che i processi non debbono incrinare l'unità tra i due partiti nella lotta antifascista.
Il titolo di uno dei primi articoli è significativo: "Viva l'Unità d'azione.
I processi dividono, la lotta antifascista ci unisce".
Il riavvicinamento e l'alleanza elettorale tra socialisti e comunisti favoriscono le vittorie della sinistra in Spagna (16 febbraio 1936) e in Francia (3 maggio 1936). Cinque mesi dopo la vittoria del fronte popolare in Spagna, vi è il pronunciamento militare del generale Franco. Comincia la guerra civile.
Nella guerra civile spagnola vi erano tutti gli ingredienti per esaltare Nenni: la battaglia per la repubblica, la democrazia e il socialismo.
Il 4 agosto Nenni si reca in Spagna per un viaggio di informazione con Louis de Brouchère, presidente dell'IOS, effettua ricognizioni nella zona del fronte e incontra Alvarez del Vayo, Francisco Largo Caballero e Fernando De Rosa. Il 16 settembre muore in combattimento Fernando De Rosa capo, come dirà Nenni, "più che amato, idolatrato dai soldati". Nenni è ferito in un incidente aereo.
In ottobre progetta la formazione di una colonna di volontari che raccoglie tutte le forze di ispirazione socialista, progetto che sottopone al segretario dell'IOS Adler. Il 27 ottobre a Parigi repubblicani, socialisti e comunisti firmano l'atto costitutivo della "Legione italiana", della quale viene designato a comandante il repubblicano Randolfo Pacciardi.
La formazione assume poi il nome di Battaglione Garibaldi e viene inquadrata nelle Brigate Internazionali. Il 14 novembre Nenni è riconfermato quale fiduciario IOS in Spagna. Alla fine di novembre è nominato Commissario politico delle Brigate Internazionali.
Svolge instancabile opera di organizzazione politica e propagandistica insieme ad una intensa attività giornalistica. In incontri internazionali espone la sua intenzione di fare della guerra spagnola il simbolo della lotta contro il fascismo e delinea la sua idea della necessità dell'unità d'azione antifascista.
Il 9 giugno del 1937 Nello e Carlo Rosselli sono assassinati dai fascisti francesi. A luglio Nenni è tra i firmatari del secondo e più ampio patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti.
Alla fine di gennaio del 1939, dopo la caduta di Barcellona, Nenni incontra per l'ultima volta i compagni della Brigata Garibaldi e a marzo le truppe franchiste entrano a Madrid. A seguito del patto di non aggressione del 22 agosto del 39 tra Stalin e Hitler, Nenni scrive un articolo il 31 agosto, dal titolo "Il voltafaccia della politica sovietica", pur restando fermo il patto d'unità d'azione con i comunisti. La direzione del PSI è di tutt'altra opinione e Nenni rischia addirittura l'espulsione dal partito.
Il 10 giugno del 1940 l'Italia entra in guerra, il 12 giugno Nenni lascia Parigi e, dopo un viaggio tra molte difficoltà, si stabilisce con la famiglia nei Pirenei orientali, a Palalda. Il 17 giugno il maresciallo Petain annuncia la resa della Francia, ma Nenni continua la sua battaglia per cercare di riallacciare le fila della resistenza fra italiani, spagnoli e francesi. Nel giugno del 1941 la Germania invade il territorio russo, a ottobre viene firmato a Tolosa un nuovo patto d'azione di unità tra socialisti giellisti e comunisti. Nel 1942 scrive e stampa con l'ausilio della figlia Giuliana e della moglie il "Nuovo Avanti!".
La figlia Vittoria arrestata per propaganda antinazista verrà deportata ad Auschwitz dove morirà. L'8 febbraio del 1943 viene arrestato dalla Gestapo a Saint-Flour. Rinchiuso nel carcere parigino di Fresnes, vi rimane circa un mese e il 5 aprile viene consegnato alla polizia fascista al Brennero.
Trasferito a Regina Celi, viene successivamente confinato a Ponza dove rimane fin dopo il 25 luglio.
Il 22 agosto alla riunione di ricostituzione del Partito Socialista PSIUP, è eletto segretario e nominato direttore dell'Avanti! e rappresentante del partito nel Comitato di Liberazione Nazionale.
L'8 settembre, Roma è occupata dai tedeschi e Nenni è costretto a rifugiarsi in Laterano. Il 28 febbraio 1944, si riunisce a Bari il primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale. Oreste Lizzadri, a nome dei socialisti, comunisti e azionisti, presenta un ordine del giorno in cui si chiede di mettere in stato di accusa il re e si invita il congresso ad autoproclamarsi assemblea rappresentativa dell'Italia liberata.
Questo ordine del giorno è superato da uno successivo, votato da tutti i partiti presenti nel CLN, in cui si chiede l'abdicazione immediata del re e la formazione di un governo del CLN con i pieni poteri.
In questo clima scoppia la bomba Ercoli: al ritorno dalla Russia, Togliatti sostiene la necessità di anteporre a tutto la lotta antifascista, collaborando con il Re e rinviando la questione istituzionale alla fine delle ostilità: è la cosiddetta svolta di Salerno.
Il 4 giugno Roma è liberata dalle truppe alleate. Il 12 giugno nasce il primo governo Bonomi, Nenni rifiuta di entrarvi. Bonomi nel novembre si dimette.
Il 25 aprile 1945 l'Italia è libera. Alla fine del mese di maggio Nenni ha la conferma della morte della figlia Vittoria ad Auschwitz.
Il 13 giugno Bonomi si dimette, Ferruccio Parri viene nominato capo di un governo di coalizione dei partiti del CLN. Pietro Nenni è uno dei due vicepresidenti del Consiglio e ministro per la Costituente. Inoltre Nenni assume anche l'incarico di Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo.
Il Governo Parri nel novembre è costretto alle dimissioni. Nel dicembre si forma il I Governo De Gasperi. Nenni mantiene gli stessi incarichi.



Nei primi mesi del 1946, dopo ampia discussione, si giunge alla decisione, sostenuta anche da Nenni, di demandare la questione istituzionale non all'Assemblea Costituente ma ad un referendum popolare . Al referendum vengono abbinate anche le votazioni dell'Assemblea Costituente. Il referendum popolare segna la vittoria anche se di misura della Repubblica. L'Avanti! intitola "Grazie a Nenni". Il partito socialista ottiene un gran risultato : è il primo partito della sinistra. Il 18 ottobre Nenni entra a Palazzo Chigi, come ministro degli Esteri, ricoprirà tale carica fino al mese di gennaio del '47.
Il 27 ottobre Nenni firma con Saragat e Pertini il nuovo patto d'unità d'azione con il Partito comunista italiano, rappresentato da Togliatti Longo e Scoccimarro. Il 9 gennaio del 1947 si apre a Roma, il XXV congresso del Partito socialista che si conclude con la scissione. Il 18 aprile del 1948 il fronte popolare che unisce socialisti e comunisti esce sconfitto dalle elezioni , che decretano la netta vittoria della Democrazia Cristiana.
L'11 marzo del 1949 il governo annuncia l'adesione al Patto Atlantico. In Parlamento e nelle piazze è subito battaglia. Nello stesso anno Nenni aderisce al movimento internazionale dei "partigiani della pace", di ispirazione sovietica e ne diviene vicepresidente. Nel mese di maggio, nel congresso a Venezia, viene eletto segretario del partito, carica che occuperà fino al 1963. Nel 1951 gli viene assegnato il premio Stalin per la pace; qualche anno più tardi, dopo la denuncia dei crimini staliniani di Kruscev al XX Congresso, Nenni devolve la somma alla Croce Rossa e all'ENAOLI.
Tra il '52 e il 53 è protagonista della battaglia in Parlamento contro la riforma elettorale, denominata "legge truffa" , che assegna un forte premio al partito o alla coalizione di partiti che ottenga il 50,01 % dei voti. Nel 1955 al XXXI congresso di Torino, il PSI propone una intesa con la DC nel quadro del dialogo con i cattolici.
La Dc pone le condizioni che il PSI rompa con il PCI. Nenni in Cina ha colloqui con Ciu-En-Lai e Mao -Tse-Tung. Nel giugno del 1956 viene pubblicato l'atto di accusa contro i crimini di Stalin, pronunciato da Kruscev al XX congresso del PCUS. Il 5 ottobre le segreterie del PSI e del PCI concordano di trasformare il patto d'unità d'azione in patto di consultazione. Ma pochi giorni dopo si consuma la tragedia ungherese con l'invasione dei carri armati sovietici. Tra socialisti e comunisti è segnata la rottura. Nel 1957 dal 6 al 10 febbraio si tiene a Venezia il congresso del PSI. Nenni pronuncia una lucida critica dello stalinismo; quando sottolinea la differenza tra socialisti e comunisti, i delegati gli tributano un'ovazione interminabile: ma, a sorpresa, la corrente autonomista è battuta dall'apparato filocomunista nelle votazioni per il Comitato Centrale.
Dal 15 al 17 gennaio del 1959 si svolge a Napoli il congresso del PSI, nel quale la linea autonomista promossa da Nenni prevale sulla sinistra del partito.
Fra il 1959 e il 1960 Nenni viaggia attraverso l'Europa per intrecciare e rinsaldare i rapporti con la sinistra europea. Nell'aprile del 1960 si forma il governo monocolore Democristiano presieduto da Tambroni, che ottiene la fiducia con i voti del MSI. Si crea subito un clima di tensione anche con scontri tra polizia e manifestanti.
Cade Tambroni e il 4 agosto alla Camera, Nenni annuncia l'astensione socialista nei confronti di Fanfani e del governo delle "convergenze parallele".
Nel febbraio del 1962 si forma il governo Fanfani, il primo con un programma di centrosinistra concordato con il PSI e appoggiato dell'esterno.
Il 1° luglio Nenni incontra a Roma Kennedy, favorevole al centrosinistra. A dicembre del 1963, nasce il primo governo organico del centrosinistra con Moro presidente del Consiglio e Pietro Nenni vicepresidente. Sull'accordo di governo con la Democrazia Cristiana si consuma la rottura con la sinistra del partito socialista.
Nel 1964 nasce il PSIUP; l'anno si presenta drammatico a causa del golpe organizzato dal generale dei Carabinieri De Lorenzo che può condurre il paese a una svolta autoritaria. Dopo varie trattative, si forma un nuovo governo di centro-sinistra con Moro presidente e Nenni vice-presidente. Il 28 dicembre, sale al Quirinale Giuseppe Saragat, la cui elezione è stata favorita dal ritiro della candidatura di Pietro Nenni.
In vista del Congresso del PSI, che si terrà in novembre, sull'Avanti! del 5 settembre 1965, viene pubblicata la "lettera ai compagni", redatta da Pietro Nenni, che si può considerare il manifesto dell'unificazione socialista.
Il 10 novembre si tiene a Roma il 26°Congresso del PSI, centrato sul problema dell'unificazione socialista. Il 1966 è l'anno dell'unificazione socialista: quasi venti anni dopo la scissione di Palazzo Barberini l'obiettivo dell'Unità socialista, costantemente perseguito da Nenni, diventa realtà.
Il 6 maggio Nenni pronuncia un discorso a Stoccolma, al congresso dell'Internazionale socialista. E' il primo passo per il rientro nell'Internazionale dopo 17 anni.
Il 21 agosto le truppe sovietiche invadono la Cecoslovacchia. Il 29 Nenni pronuncia alla Camera un discorso di condanna dell'invasione.
Viene costituito un nuovo governo di centro-sinistra presieduto da Rumor. Nenni assume la carica di ministro degli Esteri. Come ministro degli Esteri si impegna per il riconoscimento della Repubblica popolare cinese da parte dell'Italia. Condanna duramente il colpo di stato dei colonnelli greci. Compie importanti visite ufficiali in Inghilterra e Jugoslavia. In giugno è eletto vicepresidente a vita dell'Internazionale socialista.
Il 25 novembre del 1970 Nenni viene nominato senatore a vita.
Tra il 1970 - 1971 va in Israele e in Cina. Il 9 febbraio compie ottanta anni.
Il 4 marzo pronuncia il suo primo discorso al Senato. Il 28 febbraio del 1972, Leone scioglie le Camere e indice elezioni anticipate, che si svolgono il 7 maggio. Il 26 giugno Andreotti forma un governo di centro e il PSI passa all'opposizione.
Nenni pronuncia in Senato un discorso di dura critica al ministero. In novembre al Congresso di Genova del PSI, prevale la linea Nenni - De Martino su quella Lombardi - Mancini. Nel 1973, a luglio si forma un nuovo governo Rumor, che segna il ritorno del centro-sinistra. Il 10 ottobre Nenni accetta la Presidenza del PSI. Il 12 maggio la proposta di abrogazione della legge istitutiva del divorzio viene respinta con il 60% dei voti referendari. Nenni si è impegnato in prima persona: memorabile il suo ultimo comizio in Piazza del Popolo a Roma.
Nel 1976 il 13 luglio, si tiene il Comitato Centrale del PSI.
I giovani quarantenni appoggiati da Nenni, Lombardi e Mancini, esautorano De Martino e nominano segretario del Partito Bettino Craxi. Nel dicembre, dopo quarant'anni, Nenni ritorna in Spagna, per partecipare al congresso del PARTITO SOCIALISTA OPERAIO SPAGNOLO, Il congresso gli tributa un 'interminabile ovazione.
Nenni, pur con grande fatica per le condizioni di salute, presiede la seduta di apertura dell' 8°legislatura repubblicana, per evitare che i lavori siano aperti da un senatore del MSI. Siamo nel 1979.
Il primo gennaio del 1980 alle 3,20 del mattino, Nenni si spegne nella sua casa di piazza Adriana. Il giorno seguente l'Avanti! pubblica il suo ultimo articolo scritto per l'Almanacco socialista, intitolato "Rinnovarsi o perire".
Il scrivente era segretario della sez PSI Bruno Buozzi di Riva Trigoso, organizzammo con i compagni Socialisti del Tigullio tre pulman per partecipare ai funerali del compagno Nenni, la cui vita si identifica con un lungo pezzo di storia Socialista alla quale pur io ancora oggi ne sono affezionatamente legato per i valori alti della tradizione socialista. Con questo spirito, la mia adesione e militanza nel PSI sino al 1992 sempre in posizioni di minoranza. “ Sinistra Socialista” legata alle posizioni politiche di Riccardo Lombardi, Claudio Signorile, e sembrerà strano a molti che non conoscono la storia del Socialismo italiano rappresentato dal PSI di Fabrizio Cichitto.

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- Storia

La profezia

Leggendo una delle tante biografie che esistono sul grande Pietro Nenni (quella scritta da Guido Gerosa 1 aveva in particolare catturato la mia attenzione), ho potuto per la prima volta approfondire quanto accaduto ad Ancona nel 1914 la domenica del 7 giugno: l’inizio della famosa “settimana rossa”. Un’ondata di proteste e di disordini di proporzioni raramente viste fino ad allora che ebbe in questa città delle Marche il proprio epicentro. Ancona fu la prima a ribellarsi, a cacciare le forze armate regie, e addirittura a proclamare la “Repubblica sociale”, dando il la a moltissime altre città del Regno d’Italia. In un teatro simile i più grandi esponenti del movimento proletario e rivoluzionario italiano erano lì: Benito Mussolini per i socialisti, Pietro Nenni per i repubblicani, ed Errico Malatesta per gli anarchici.
Malatesta. Un personaggio che non avevo mai sentito nominare prima, descritto come una leggenda: sereno, disteso con la pipa alla Camera del Lavoro, mentre fuori era stata proclamata la Comune proprio da quegli anarchici che lui guidava, e che dicevano: “Noi la rivoluzione l’abbiamo fatta e abbiamo proclamato la Repubblica sociale. Ora aspettiamo che i socialisti italiani facciano il loro dovere. Se non lo faranno saranno dei traditori che un giorno pagheranno il fio. Occasione più propizia di questa per abbattere la monarchia e rovesciare il regime borghese non era mai maturata. Soltanto noi anarchici siamo uomini di azione. Siamo sereni perché abbiamo le coscienze tranquille. La mia decisione è una sola: resistere fino in fondo e in caso di sconfitta riprendere la via dell’esilio”. Un’affermazione che farebbe riflettere a lungo qualsiasi appassionato di storia, e che a me personalmente ha destato una morbosa curiosità per un uomo tanto profetico.
Otto giorni di resistenza contro i centomila uomini mandati da un Re furente ovviamente non bastarono: ma questa pesante sconfitta non indusse Malatesta ad arrendersi, né gli impedì di dedicare tutta la sua vita ad un’ideale: come un eroe romantico del quale la storia e le gesta appassionano i giovani più assetati di avventure. Nato nel 1853 a Santa Maria Maggiore, vicino a Caserta, faceva parte di una famiglia nobile molto ricca, appartenente probabilmente ad un ramo meridionale della famosa casata dei Malatesta di Romagna. Messo però da parte il proprio ruolo sociale e gli studi di medicina, fu inizialmente un fervente militante repubblicano. E’ a questo periodo che risalgono i suoi primi attriti con le autorità regie: come quando venne convocato dalla questura di Napoli a causa di una lettera di carattere sovversivo da lui scritta a Vittorio Emanuele II; oppure quando venne arrestato non ancora diciottenne a seguito di una sommossa organizzata da un circolo studentesco repubblicano dell’Università di Napoli. Fu il primo di una lunghissima serie di arresti, che però lo videro per il resto della sua vita definitivamente anarchico, diventato tale dopo i fatti della Comune di Parigi del 1871.
Da qui egli iniziò un periodo di peregrinazioni in tutto il mondo che non ebbe mai fine, quasi sempre a scopo politico: fu in Egitto, dove prese parte alla rivolta guidata da Arabi Pasha contro la dominazione inglese; fu in Siria, in Romania e in Argentina: l’ideale anarchico che aveva abbracciato con incredibile amore e devozione lo spingeva ovunque ci fosse bisogno di lui. In particolare sono da ricordare due episodi di questo periodo: il primo a Parigi, il secondo a Londra.
A Parigi Malatesta conobbe la principessa Maria Sofia: originaria della Baviera, aveva sposato “l’ultimo dei Borboni”, il re Francesco II delle Due Sicilie, spodestato dai suoi domini in seguito all’annessione al Regno d’Italia. Maria Sofia fu conosciuta da tutti in quel periodo come la “Regina degli anarchici”. Le sue non nascoste inclinazioni verso l’idea anarchica e gli anarchici erano note a moltissimi rivoluzionari dell’epoca, ed in particolare a Malatesta. In realtà si sa quasi con certezza, e non senza una certa punta di ironia, che la principessa Maria Sofia si diceva simpatizzante “anarchica” solo per egoistica convenienza: infatti ciò che desiderava era che i disordini causati dal proletariato in Italia – disordini dei quali erano gli anarchici i primi fautori – indebolissero il dominio rivale degli odiati Savoia in favore di un ritorno al potere della casata borbonica.
“Noi soffriamo vedendo soffrire e non sapremmo esser felici se non circondati da uomini felici; ma la forza che ci sostiene e sospinge resta l’amore per gli uomini”
A Londra invece Malatesta stette per diverso tempo e più volte nel corso della sua vita: del resto Londra era e sarà per anni e anni la capitale dei rivoluzionari di tutto il mondo. Qui guadagnò ben presto la profonda stima di tutto il proletariato londinese: tanto che, si racconta, quando una serie di sommosse da lui organizzate lo portarono in tribunale. e alla condanna a tre mesi di carcere si accompagnò un decreto d’espulsione, quest’ultimo fu annullato in seguito ad una imponente manifestazione popolare in sua difesa.
Non dobbiamo stupircene, se consideriamo la profonda bontà di quest’uomo, riconosciuta da tutti coloro che lo frequentavano: tutte le sue ricchezze le vendette in favore di poveri e di compagni, e da quel momento rimase poverissimo per tutta la vita. Sempre a Londra ad esempio, raccontano che aveva un lavoro come venditore di merendine: si avvicinò un bambino povero chiedendo l’elemosina, e lui subito gliene regalò una; a quel punto fu raggiunto da una folla di bambini nella stessa condizione, e Malatesta senza fare una piega regalò tutto ciò che aveva. Inutile dire che un tale lavoro evidentemente non era fatto per lui, che infatti lo cambiò.
Tale bontà si manifestava ovviamente anche nel suo modo di concepire l’anarchia: tanto che il suo si può definire “anarchismo dal volto umano”. Alla base di esso infatti sta un sentimento di profondo amore verso l’uomo, e di sofferenza nel vederlo oppresso: “Noi soffriamo vedendo soffrire e non sapremmo esser felici se non circondati da uomini felici; ma la forza che ci sostiene e sospinge resta l’amore per gli uomini; l’ insofferenza della oppressione, il desiderio di essere libero o di poter espandere la propria personalità in tutta la sua potenza non basta a fare l’anarchico; quell’aspirazione all’illimitata libertà, se non è contemperata dall’amore degli uomini e dal desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà, può far dei ribelli, ma non basta a fare degli anarchici: l’anarchico per essere tale deve avere scelto tra l’odio e l’amore, tra la lotta fratricida e la cooperazione fraterna, fra l’egoismo e l’altruismo”. Sono parole arrivate fino a noi grazie alla preziosa opera di Luigi Fabbri2, suo amico e compagno, il quale ci ha lasciato un patrimonio di citazioni e di fatti che contribuiscono a descrivere il famoso anarchico, che nella sua intensa attività rivoluzionaria non ebbe mai modo né volontà di scrivere una propria autobiografia.
Da queste parole, che descrivono più di tutte il suo modo di intendere l’anarchia, deriva la sua concezione di “ideale al servizio dell’uomo”: l’idea che nasce per amore di esso e che ha come obiettivo quello di liberarlo dalle sofferenze e di salvarlo: “Io darei tutti i principii per salvare un uomo! Se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, preferirei perdere!” . Queste non sono solo belle frasi, ma costituiscono una forte risposta ad una diffusa tendenza, nel corso dell’800 e del 900, a dare la precedenza a principi che – pur essendo puramente politici – si basavano su complesse basi filosofiche e scientifiche dalle quali non si poteva prescindere, e che dovevano quindi riflettere una realtà delle cose che spesso poi si rivelava ben diversa (positivismo, giusnaturalismo, materialismo storico etc.): correnti intellettuali complesse che non nascevano dal semplice quanto prezioso “amore per l’uomo”, né tantomeno per servirlo.
Malatesta si definiva sia socialista che comunista anarchico: socialista perché per lui socialisti erano tutti coloro che vogliono che la ricchezza sociale serva a tutti gli uomini e vogliono che non vi siano più proprietari e proletari, ricchi e poveri, padroni e sottoposti; e comunista perché il “vero comunismo non è possibile che in anarchia”. Egli infatti propugnava un sistema in cui, abolita la proprietà privata, la comunanza di risorse permettesse davvero la massima libertà di ogni individuo, poiché sarebbero state distribuite “ad ognuno secondo i suoi bisogni”: che assomiglia per certi aspetti alla “futura società comunista” delineata da Marx, senza però il passaggio della dittatura del proletariato, passaggio inconcepibile per Malatesta, il quale diceva spesso che “i mezzi condizionano i fini”, per cui “per la libertà ci si deve battere con strumenti che siano già in se stessi la libertà. E’ l’esperienza del vivere che ci mostra sempre l’oppressione nascere dall’oppressione”.
Il suo concetto di anarchia è racchiuso in una serie di principi che nel 1920 presentò al secondo congresso dell’Unione anarchica italiana a Bologna, il quale li approvò all’unanimità: abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di lavoro, perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui e tutti, avendo garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente per l’interesse comune e conformemente alle proprie simpatie; abolizione del governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri (e di qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi); organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori e di consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla scienza e dall’esperienza, e liberi da ogni imposizione che non derivi dalle necessità naturali a cui ognuno, volontariamente si sottomette; garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli ed a tutti coloro che sono impotenti a provvedere a loro stessi; guerra alle religioni e alle menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della scienza, ed istruzione scientifica per tutti fino ai suoi gradi più elevati; guerra alle rivalità e ai pregiudizi patriottici, abolizione delle frontiere, fratellanza fra tutti i popoli; ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell’amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso.
Malatesta vedeva nel programma anarchico un complesso di scopi da raggiungere del tutto indipendente da qualsiasi apriorismo dottrinario, sia scientifico che filosofico
Come si raggiunge tutto ciò? Con la rivoluzione e la volontà. La rivoluzione inevitabilmente sarà armata. Malatesta infatti non esclude che ci possano essere dei miglioramenti di condizioni per la classe operaia, concesse dalla borghesia od ottenute con la protesta: ma è fermamente convinto che vi è un limite oltre il quale il potere non può che reprimere con la forza il movimento del proletariato verso la propria completa emancipazione. Allora la violenza e la rivoluzione armata diventano una difesa legittima. Inoltre degna di nota è la sua concezione di “minoranza anarchica”: con la consapevolezza che le masse non potranno diventare tutte completamente anarchiche, poiché egli riconosce una “difficoltà” dell’anarchia ad essere concepita da tutti, egli è convinto del ruolo che una minoranza di anarchici decisi e ben preparati può avere nell’indirizzare il movimento del popolo nei momenti in cui è in lotta: come dei cani pastore che spingono il gregge dove vogliono loro.
La volontà invece è il punto cardine dell’anarchismo malatestiano. A differenza di tutti gli altri, Malatesta vedeva nel programma anarchico un complesso di scopi da raggiungere del tutto indipendente da qualsiasi apriorismo dottrinario, sia scientifico che filosofico. Egli respingeva tanto il giusnaturalismo quanto il positivismo dell’ottocento: l’anarchia per lui è solo il fine pratico che gli anarchici si propongono di raggiungere con le proprie forze e con la propria volontà. La sua è quindi una concezione volontaristica del tutto opposta a quella deterministica, la quale concepisce la rivoluzione come qualcosa di fatale e d’inevitabile, determinata da precisi movimenti reali della storia che si possono scientificamente individuare e prevedere.
«A me non appartiene né il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna né quello di aver scoperto la lotta tra di esse […] Quel che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1. che l’esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione; 2. che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi»: sono le parole di Karl Marx in una famosa lettera scritta nel 1852 a Weydemeyer, suo caro amico e a quel tempo già pioniere del socialismo marxista negli Stati Uniti d’America. Tale concezione marxiana si completa poi con ciò che Marx affermò nella prefazione a Per la critica dell’economia politica: «Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza». In Malatesta tutto questo non esiste: l’anarchia sarà realizzabile solo in quanto e nella misura in cui gli uomini lo vorranno: “La redenzione umana non può essere che un’opera di volontà: la volontà di coloro che questa redenzione la desiderano”.
La parola “volontà” sintetizza bene il concetto di una società anarchica, la quale non può essere che “una società di uomini volontariamente cooperanti al bene di tutti”. Volontà contro determinismo, quindi, per fare la rivoluzione che cambia la storia: una storia che o segue un corso degli eventi deciso dagli uomini secondo la loro volontà, o è determinata da una serie di forze che gli uomini non possono del tutto controllare. Nel corso del ‘900 si sono letteralmente combattuti – dalle pagine dei giornali fino ai campi di battaglia – gli ideali più vari: visioni del mondo diverse, rivoluzioni che avevano come obiettivo il cambiamento radicale. A distanza di anni, cosa è rimasto? Chi è riuscito nel proprio intento? Rimangono certo storie di eroi che appassionano, che proiettano su noi l’ombra della loro grandezza. Ma, sentimenti a parte, credo che a questo punto della storia una riflessione globale su quanto avvenuto nel secolo scorso vada fatta, per chiedersi se la storia la fa l’uomo, o essa segue un corso degli eventi che noi non possiamo modificare.
Ragionando con ordine, possiamo analizzare tantissimi fatti storici “rivoluzionari”, ma forse nessuno supera per grandezza e importanza quello da cui nacque l’Urss. Una rivoluzione proletaria che ha consacrato per decenni la “santità” del marxismo, seppur avvenuta in un paese con una situazione del tutto contraria a quella che il determinista Marx aveva prefigurato: in un paese agricolo molto arretrato, e non dalle contraddizioni dialettiche del capitalismo di un paese industrializzato. Chi afferma con sicurezza che evidentemente Marx si era completamente sbagliato in questa e in molte altre cose, deve far fronte agli argomenti di chi afferma che l’Unione sovietica è stato il più grande esempio di “tradimento di una rivoluzione”, in quanto il risultato è stato solo “un falso comunismo da caserma”, per dirla con le parole di Malatesta: il quale molto tempo prima, in polemica con i comunisti, aveva incredibilmente profetizzato una tale fine a quelle rivoluzioni che non si servono degli strumenti della libertà.
Una cosa che oggi è chiara a (quasi) tutti: ma a molti lo era anche allora, tanto da poterci creare sopra una favola. Il riferimento è certamente alla Fattoria degli animali di George Orwell: un’allegoria incredibilmente verosimile ai fatti reali che descrive fatti e dinamiche complesse di ciò che fu l’Urss. Una rivoluzione messa a nudo e descritta con maestria dalla penna di uno dei più grandi scrittori e visionari del mondo. A fairy story, una favola degna dei migliori capolavori di Erodoto, che è in realtà la critica più pungente mai fatta ai sovietici e a Stalin soprattutto, personificato nel racconto da un maiale di nome Napoleone. Un libro che ci permette di considerare, con una lettura divertente e scorrevole, la globalità di quanto accaduto in quegli anni, per poterne trarre un insegnamento importante.
Per Orwell tale insegnamento era che il potere corrompe gli uomini, ed è stata questa sete di potere a corrompere l’animo di alcuni animali rivoluzionari e a portare una orribile dittatura che poi ha tradito di fatto la rivoluzione. Certamente vero, e lo dicevano anche Malatesta e moltissimi altri. Ma da questa storia si può capire altro? Si può, sempre considerando il buon Erodoto, apprendere qualche altro utile proverbio? Per esempio ci si può chiedere: ma la rivoluzione è fallita perché mancava la volontà malatestiana oppure perché non causata da un determinismo marxista? Si nota nella lettura una incredibile scorrevolezza nel susseguirsi dei fatti: una rivoluzione che accade con le migliori intenzioni, ma che lentamente declina in maniera più che razionale a conseguenza delle nuove esigenze e situazioni alle quali gli animali della fattoria si trovavano a far fronte. Non ci si accorge veramente da quale punto le cose hanno iniziato a peggiorare, o in quale situazione si poteva agire diversamente.
Tutto è chiaro e cristallino, e al declino lento delle cose ci si convince sempre che la soluzione presa dagli animali, di fronte ai fatti che si presentano, è la migliore perché effettivamente meno peggio di quella contraria, che farebbe “fallire la rivoluzione”, prospettiva più volte indicata come il male assoluto: fino a che il declino raggiunge il punto di non ritorno, e la rivoluzione è come se non ci fosse mai stata. Forse la volontà dei maiali “traditori e assetati di potere” è stata più forte di quella degli altri, che non sono stati capaci con la loro volontà di opporsi; oppure tutto era già determinato da un corso degli eventi che nessuno avrebbe potuto cambiare perché le dinamiche di quella storia erano estranee alla volontà degli animali. Un dibattito non da poco, ma che se affrontato offrirebbe molte prospettive e una visione diversa della storia del novecento.
Circola da tempo su Internet l’immagine del Quarto Stato “girato”, dove la folla è rivolta con la schiena verso chi guarda
In un dibattito simile è intervenuto in passato un autorevole autore greco dell’età imperiale, Polibio, che ci dà qualche altro strumento per capire meglio. Egli in sostanza considera la storia come un eterno ritorno: un concetto che nell’antichità è molto diffuso, e che tornerà fino ad arrivare a Nietzsche. Una visione della storia ciclica, e che quindi ritorna eternamente al suo stato iniziale. Polibio in particolare, che della storia considera l’aspetto a suo dire più importante e fondamentale (quello militare e politico), considera la storia come un eterno ciclo di costituzioni diverse che degenerando portano a quella successiva e così via. E così la monarchia diventa tirannide, che viene poi rovesciata e diventa un governo di pochi ma migliori che poi degenera in una bieca oligarchia, la quale viene rovesciata in una democrazia dove governa il popolo, che però a causa degli assetati di potere (per voler riprendere Orwell) si trasforma in un governo di spietati demagoghi, e la democrazia diventa una sterile dittatura della maggioranza: da qui una sola persona tornerà a prendere il potere, ed il ciclo inizia nuovamente.
Polibio stesso fa poi le dovute considerazioni, e nel caso delle “costituzioni miste” individua in quella romana un esempio di costituzione formata da aspetti appartenenti a tutte e tre le principali: ciò rende uno Stato molto più stabile, ma non perfetto, poiché anche in questo caso il declino giungerà, seppur in maniera molto più lenta, a far ritornare il ciclo dall’inizio. Ma in Polibio c’è anche dell’altro, ed è la “sorte” o “fortuna”: una sorta di divinità laica dai caratteri spesso ambigui e contrastanti, a volte stoicamente provvidenziale all’uomo, a volte incomprensibilmente avversa, che «si diverte con noi come con dei bambini». Insomma: tra chi afferma che la storia ha un proprio corso degli eventi imprescindibile, e chi crede che possa essere forgiata dalla ferma volontà dell’uomo, arriva la sorte: come quasi a voler dire che in ogni caso le cose non avvengono come l’uomo vuole o come crede debbano avvenire. Un aspetto che invita in un certo senso a non addentrarsi più in questa questione, poiché effettivamente non si arriverà mai definitivamente ad una risposta.
Il dibattito è aperto, ma ad una conclusione intanto si può arrivare. La rivoluzione, per tutte quelle ideologie che si sono combattute nel secolo scorso, diviene un concetto molto più ampio: il cambiamento (definitivo!) del sistema. E allora ci vengono in aiuto le parole di De Gasperi, poco conosciute, ma riportate nella sopracitata biografia di Nenni: “Per fermare una rivoluzione occorre tenerne in vita la cultura rivoluzionaria, ma fermarne il moto”. Oggi cosa rimane di quelle ideologie? La cultura, tanta cultura: ma il moto è sopito da tempo. Provate a fare una passeggiata a Bologna il primo maggio: in cento metri vi verranno dati almeno dieci volantini di organizzazioni e partiti che si rifanno in un modo o nell’altro a rivoluzioni più o meno pacifiche. Una fiera di slogan vecchi e nuovi, di magliette di Che Guevara e pugni alzati, di ferme volontà di combattere la borghesia, e di cambiare il sistema come volevano personaggi di altri tempi. Cultura, solo cultura e nulla più: tutto è fermo, da molto tempo. Magari qualche socialista potrebbe fare un respiro di sollievo, perché finalmente si è fermato il comunismo rivoluzionario: ma invece dovrebbe considerare che anche il socialismo riformista è fermo.
Il riformismo vero è una rivoluzione: che cambia il sistema in modo pacifico, che doma la natura obbedendo alle sue leggi, per dirla come Turati. Riformismo è scegliere un obiettivo, tracciare la rotta e iniziare il cammino. Oggi l’obiettivo dei socialisti non sembra essere il cambiamento, ma il governo: certo, con un taglio progressista e riformatore, ma non è quello che i nostri antenati sognavano quando sventolavano bandiere rosse e cantavano l’Internazionale. Non si tratta di tornare alle origini: si tratta di ritrovare la strada (o di sceglierne un’altra), muovendoci da questo pantano in cui ci nutriamo di cultura socialista mentre ci siamo dimenticati del moto. Il Quarto Stato e lo slogan Avanti! hanno questo come estrema sintesi e significato: muoversi, continuare a camminare. La società di oggi è nata dopo la guerra, ed è frutto di un “compromesso” tra le parti in causa che si sono combattute nell’arco del ‘900. Tra queste noi tutti riconosciamo che è stato il riformismo socialista a dare più di tutti una spinta di cambiamento verso quella che una volta era la nostra meta, la stella del Turati per una società giusta. Spesso si dice che avevamo ragione rispetto ad altri nel nostro metodo: ma ora invece la storia ci dà torto, se consideriamo che anche noi ci siamo fermati.
Di solito la storia la raccontano i vincitori, e noi in Italia abbiamo smesso di raccontarla nel ’92; l’incubo è che un giorno sarà lo stesso per molti dei nostri compagni in Europa e nel mondo. Circola da tempo su Internet l’immagine del Quarto Stato “girato”, dove la folla è rivolta con la schiena verso chi guarda. Mi piace pensare che sia un ottimo modo per mettere simbolicamente alla prova le nostre intenzioni: tra chi vede che se ne vanno delusi, perché tutto è finito, e chi invece vede che stanno continuando ad andare avanti, e che noi siamo solo rimasti indietro: e che basta seguirli e riunirci a loro. Uomini di altri tempi come Malatesta ora dormono il sonno eterno, dopo una vita di febbrile e lucida azione. Ma ci hanno lasciato la loro esperienza e il loro esempio: un’eredità che pesa come un macigno sulle spalle di noi che siamo chiamati a decidere, all’ombra della grandezza di un secolo del quale molti sono nostalgici e con il quale siamo chiamati a competere. Come allora, ma con diverse intenzioni, si potrebbe dire a Malatesta di dormire: perché ormai ha fatto il suo tempo e quindi deve smettere di assillarci con le sue parole; oppure perché può stare tranquillo con la consapevolezza che in fondo la sua battaglia è anche la nostra.