I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
La depressione.
Che cos’è? Uno stato caratterizzato da sentimenti e pensieri negativi, apatia, insonnia, pensieri suicidi, ecc. Pensavo che alcuni tra i più grandi artisti di sempre sono stati etichettati come depressi. Qual’è la relazione tra arte e depressione?
Van Gogh, Leopardi, Much, Pollock e persino Michelangelo ne hanno sofferto. Ma non occore scomodare grandi nomi per capire come uno stato malinconico sia in qualche maniera portatore di ispirazione. Sembra quasi che le emozioni più (im)pure e significative debbano necessariamente bagnarsi di un inchiostro nero pece prima che possano lasciare caratteri indelebili sul foglio; l’opera d’arte è una sublimazione del malassere, quello che gli psicoanalisti definirebbero come una “rimozione”, un pensiero troppo doloroso di cui bisogna disfarsi, che dobbiamo espellere sotto qualche forma, e una di queste forme è l’opera d’arte che viene espressa in tutte le sue modalità: letteratura, poesia, musica, cinema e qualsiasi altra cosa incarni una bellezza pura che possa essere etichettata come artistica e che arricchisca in qualche maniera il patrimonio culturale e intellettuale dell’umanità.
Sotto questo punto di vista l’arte è una cura, perché salva dal sintomo depressivo, che è l’altra forma in cui il malessere può essere espresso/espulso. Quindi l’espressione artistica può essere vista come una sorta di cura che ristabilisce l’omeostasi, la punta dell’iceberg che rappresenta il processo finale che nasce per l’appunto da un iniziale stato malinconico. Per una perversa legge di causa-effetto osserviamo una transizione dal dolore all’arte, dal pianto alla gioia, dal sintomo iniziale alla successiva remissione, in un processo salvifico che produce bellezza.
Se l’arte è la massima aspirazione dell’ uomo, e uno dei mezzi per crearla è il dolore, può quindi quest’ultimo essere considerato un “male”? Può essere invece sfruttato come una botte, un centro di stoccaggio, per arrivare a qualcosa di produttivo? O il prezzo da pagare può essere troppo grande?
Mi fermo con questa riflessione.
Un giorno, un uomo camminava…
Sulla sua strada incontrò l’ ispirazione.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Manifestazione della tua espressione. Io non sono certezza, io non sono fine, sono solo un inizio. Usami bene o usami male: stracciami, sprecami, godi con me. Ma ti prego, usami.>>
L’uomo passò oltre e continuò a marciare.
Sulla sua strada incontrò il dubbio.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Sono qui per assillarti e confonderti. Trovo la gioia nei tuoi rimpianti, nei tuoi rimorsi, nella tua incostanza. Sono un abbraccio senza conforto, non puoi non bramarmi.>>
Nuovamente, l’uomo, tornò sui suoi passi.
Sulla sua strada incontrò la rabbia.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Per scuoterti e deriderti. Per farti vedere quanto sei debole e impulsivo. Senza di me non sopravvivi.>>
Si allontanò con il solito passo.
Sulla sua strada incontrò la pazienza.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Per aspettarti o per ammazzarti.>>
Dopo un attimo di titubanza, l’uomo, preseguì.
Sulla sua strada incontrò il dispiacere.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Il mio compito è renderti forte. Compagno di rabbia e dolore, l’ oscillazione più estrema di un pendolo. Sono una tappa del tuo cammino, credi in me o non potrai proseguire.>>
Ancora avanti. Passo dopo passo.
Sulla sua strada incontrò una risata.
- Perché ti pari davanti? – gli chiese.
<<Perché è così che tutto finisce. Attraverso di me plachi il tuo animo. Fonte effimera sorella di gioia.>>
Un altro passo e vide la meta.
Davanti a lui, la verità.
- Cosa sei? – chiese l’uomo.
<<Lo stadio finale. Non esisto, ma sopravvivo sempre e solo nell’uomo.>>
<<Salvifica illusione permanente. >>
Fine.
Lo dedico a un pomeriggio piovoso.