I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Gino Brischi - Narrativa - Edizioni Gazebo
Accadde in inverno
È l’opera prima di un medico che scavalca la razionalità del proprio mestiere rivelando con estrema sensibilità quello che accadde in un lontano inverno della metà del secolo scorso. Il fascino di questo romanzo sta proprio nell’attesa di qualcosa che sta per succedere ma che, paradossalmente, non succede. Nessun episodio saliente, nessuna azione dirompente, nessun dramma né momento di relief. Solo la vita in divenire che entra silenziosamente irruenta dalla finestra. Sfogliare le pagine di questo romanzo è aprirne le ante e farvi entrare un’invernale folata d’aria, respirandone contemporaneamente ma distintamente fragranze e fetori. “Una piccola finestra che dava su tetti […] da sempre ogni volta che mi affaccio a quell’apertura , la visuale che mi appare non è ristretta e selettiva, non posso vedere alcune cose e altre no, non posso udire alcuni suoni e altri no”. Senza un’apparente sequenza temporale, senza un se e un quindi, l’autore scava sotto la coltre bianca di neve che ricopriva le strade riscoprendo memorie e commozioni. Lo dimostrano per di più le lunghe proposizioni e le innumerevoli virgole. Il lettore non deve aspettare che il vento lo aiuti a sfogliare le pagine successive. Può iniziare un qualsiasi capitolo e, avvolto dal tepore della stufa a legna, fare propri i “ricordi di spine” di Brischi. Quando nella famiglia patriarcale si era “convinti che la stima da riservare a un genitore si misurasse sulla quantità di nerbate che distribuiva alla prole”. In un’epoca in cui l’unica ricchezza che un uomo o un bambino poteva permettersi di possedere era sapere riconoscere l’altro “per conoscere veramente a fondo una persona occorre condividere il suo passatempo preferito” e “guardare nella stessa direzione”. Anni di privazioni “anche la mattina dell’epifania la grossa calza appesa al camino aveva svelato al suo interno solo tre noci, due fichi secchi, un mandarino e tanta cenere e carbone, questi ultimi due doni non tanto per punire le cattiverie dei bambini, ma per riempire i vuoti lasciati dalla povertà”. L’invisibile fil-rouge che unisce ogni capitolo sono gli incipit iniziali, pensieri svelati dal matto del villaggio, Biagino, che insegna agli altri come dare un significato all’accadere della vita perché “altrimenti non sapremmo viverla”, ma che preferisce “aspettare la fine da fermo”. Un uomo che avrebbe voluto addormentarsi e risvegliarsi in un mondo cambiato. Un uomo a cui Brischi, con una punta di rimpianto, avrebbe voluto “insegnare a volare”. Finché le brinate di aprile “avrebbero colpito i primi germogli di primavera” e sotterrato quelle calde reminiscenze di un gelido inverno del ’56.
Id: 522 Data: 07/02/2012 12:00:00
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Maria Gangemi - Narrativa - Edizioni Montag
La legge del più forte
Nel suo primo romanzo Maria Gangemi affronta con coraggio il sempiterno tema dell’interruzione della gravidanza. La scrittrice non si sofferma sul come e sul perché, ma sulla conseguenza, sul quel “ricordo” che un ragazzo artista svedese Samuel, lascia a Francesca, la minorenne protagonista abitante a Vito, un piccolo paese della Calabria. E’ l’idealismo e l’apertura mentale del padre di lei a spingere Francesca tra le braccia del misterioso nordico. Ad essere dalla parte del più forte è la madre della ragazza, lo sono i suoi compaesani come pure gli operatori del consultorio. Ma non Francesca che non si vuole immaginare con il suo abito bianco macchiato di rosso. Francesca sa di essere stata inesperta, immatura e irresponsabile ma non vuole che a farne le spese sia il più debole. Non c’è mai sconforto nelle sue parole, né solitudine, né rabbia. La giovane protagonista dimostra un atteggiamento di apertura nei confronti della vita. Incarna da sola il concetto di famiglia, basta a sé stessa, dimostrando una sicurezza e una coerenza al di fuori del pensiero comune, al di fuori del “faremo quello che è giusto fare”. Attraverso la prospettiva di una professoressa nelle prime pagine e della protagonista in seguito, Maria Gangemi, ricorrendo ad un linguaggio fresco e scorrevole invita il lettore a riflettere sulla civiltà. In una società moderna che fa proprio della civiltà il suo punto di forza, l’azione giusta è davvero poter decidere di negare la vita? Oppure uno stato civile non dovrebbe aver bisogno di abortire? Quale valore ha la vita? L’art 1. della così detta “194” recita: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. Francesca si chiede in quale modo avvenga questa tutela e quando abbia inizio la vita umana. “Credevo fosse una masse informe invece si dà già tanto da fare! Va a destra e a sinistra…” confessa un’altra gestante. La legge del 1978 ha dato veramente alla donna il diritto di scegliere? Forse ha soltanto offerto allo stato civile l’opportunità di scrollarsi di dosso un fardello troppo pesante: la preoccupazione di creare un ambiente favorevole e propizio ad una nuova nascita quali che siano le condizioni economiche sociali e familiari. Francesca si interroga sul perché questa società non riesca a dare l’ occasione a tutti. Se la madre del lettore avesse deciso di abortire, questo libro non sarebbe stato letto. O avrebbe potuto non essere stato scritto.
Id: 358 Data: 09/11/2010 12:00:00
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