I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
Dopo aver letto le centosettantatré quartine in endecasillabi, diario di ricerca e di esistenza, chiudo Nei giorni per versi di Anna Maria Curci con la certezza che più volte riaprirò questo libro, perché si tratta di poesia incalzante da leggere tutta d’un fiato, non solo per l’intensità ma anche in virtù dell’efficace brevità dei componimenti. In realtà, poi, tale poesia necessita di sedimentazione per essere goduta nella sua essenza profonda. Questa forma-formula vincente di “contemporaneità in metrica” affascina e convince, a conferma che il vero poeta può essere pienamente libero anche se imbrigliato in una forma chiusa, se è egli stesso a scegliere “la gabbia” come necessaria dimora espressiva in cui i contenuti vengono sublimati e non compressi o piegati dalla forma stessa. Si tratta dunque di auto-costrizione stilistica che potenzia l’ingegno creativo e viene dopo e non prima delle emozioni e della loro traduzione in versi.
Come un accento a voce claudicante
balza e s’arresta il limite del giorno.
Taglieggia tra le sdrucciole e le piane
e tronca si riveste soluzione.
Poesia meditativa ed enigmatica quella di Curci, frutto di un necessario desiderio di pensiero.
Un pensare che nasce da una profonda sensibilità del sentire l’esistenza tutta, racchiusa in un tempo da custodire, sensibilità donata dell’Io che si universalizza.
E se nella lingua tedesca la parola pensiero ha assonanza con il ringraziare, nella poesia di Curci si percepisce il pensare, proprio come logica di armonia relazionale.
Un pensiero costruttivo, amore di sapienza che qui non è mera erudizione ma “sapore” di parola, pensiero che è anche saggezza e ha quindi a che fare con la ricerca del bene e del buono negli accadimenti della vita seppur nel disincanto, nella sfiducia e nella paura.
CXXVII
Mutilata dai misfatti ad altra foggia
mi esercito nell’arte dei brandelli.
Abbraccio l’intangibile, mi sbuccio.
L’aria gela le punte e non mi arresta.
I versi sono specchio di dedizione esistenziale nei confronti delle persone tutte, di impegno civile e professionale, di amore per la poesia e le sue frequentazioni. Una cura, un continuo e gratuito darsi al mondo, un darsi che via via si trasforma in ricordo di eventi vissuti con profonda sensibilità dall’infanzia all’età degli ideali, alla piena maturità, sempre nell’inscindibilità di mente e cuore. Così A trentacinque anni di distanza/ sorride la memoria volontaria, così Il mio deserto ostile e familiare/ non presenta il suo conto, muto attende/ che ne palpi la stoffa, la grisaglia/smentita da memoria involontaria.
Ricordi sedimentati comunque ad unagiusta distanza, tale da concedere spazio anche all’ironia, come salvifica accettazione di certe fratture o privazioni di cui la vita è cosparsa.
LVIII
Il compagno segreto rigattiere
mi invita a sgomberare il ripostiglio
dalle baldanze e dalle pie intenzioni.
In cambio mi assicura il disincanto.
È questo il senso di ricerca del verso, voluto e cesellato come riflesso di ogni scelta esistenziale, calibrata e pensata. Ecco allora che si possono percepire “i giorni nei versi” e “nei giorni i versi”, in reciproca tensione a verità e bellezza, cardini su cui si fonda il fare poesia di Curci.
Un bisogno anche di condividerla con le anime affini, in una sorta di illusione e speranza di salvezza:
LXXI
Ma noi abbiamo verità e bellezza
o almeno ci illudiamo, costeggiando
increspature, balze, lidi altrui
d’essere immuni dalla perdizione.
Poesia onesta e necessaria, esaltata da straordinarie competenze fonico-linguistiche e, come sottolinea Patrizia Sardisco nell’accurata e sapiente prefazione, poesia come esigenza di un “lavoro attentissimo sulla parola” dove “nulla vi è di casuale e al contempo nulla è però meno che onesto, tutto è frutto di un paziente lavoro di bulino perché il verso si faccia più prossimo al vero”.
Excursus di parole-note affidato a un pentagramma intensamente ed emotivamente vibrante come l’armonico corso di una romanza.
CLXVII
Divarica distanze il voglio e ´l posso
schizzato via da un centro traballante
al poco certo e bello mi rivolgo
il vano resto vede le mie spalle.
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