I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
AL CALDO NEL SUO VENTRE
Il sole riluce forte sui vetri
del palazzo delle Poste. Una famiglia
allargata di rondini saetta
allegra, mentre una di gabbiani
pare sghignazzare della condizione
umana. La cicala applaude nervosa.
Un sentiero di ciottoli di cemento
conduce alla soglia dell’ufficio
in entrata; in uscita il percorso
è indicato da frecce marcate
per terra. Dentro c’è una macchina
che distribuisce soldi, ma solo se hai
una certa tessera di cui conosci
il codice di sblocco e la infili dentro.
Una sedia, un bancone, un chiosco
di cellulari e carte sim, moduli,
persone in fila agli sportelli,
matite e biro. L’ambiente
è pieno di tosse e tasse. Si aggirano
tassi. Giovani e anziani: un movimento
corale. Un pettirosso è penetrato
nella sala spoglia. Forbicine
e lepismi occhieggiano dagli angoli.
Un giovane, nello zaino, ha da fumare
uno spinello; un altro, accanto
allo spinello, ha un anello stimolante
il pene o il pensiero, non lo so più;
una mamma ha un ciuccio nella borsa
e un vibratore; un vecchio
un gel lubrificante e un altro
caramelle rinfrescanti. Tutti
hanno il cellulare e le carte.
Ma non basta, non ci basta!
Vogliamo esistere di più, lasciare
più tracce nelle anagrafi telematiche.
Vogliamo spuntare ricevute, sputare
sangue e seguire altre pratiche, compilare
allegati in cui possiamo scorgere
divinità pagane che si affacciano sorridenti,
sapendo che con il filo delle parole
si riesce a tenere insieme l’epidermide
delle istituzioni che ci proteggono
e trasportano la violenza altrove
e il cui sangue e latte è un denaro
sempre più liquido e plutonico. Forse
sporco.
Talora pare una vita altrui
o una morte. Invece
ci creiamo una extra vita.
Riempire un modulo
è alimentare il pachiderma
dell’esistenza che ci ha inghiottiti.
Ci muovimo al caldo nel suo ventre.
Intanto il sole tatuato cala lungo i viali
e nitrisce seguito da sciami di dati.
Tranquilli, siate di buon umore:
il presente lo espandi quanto ti pare,
dall’esistenza che lamenta le sofferenze
dei tradimenti dei lupi
a quella degli ippopotami grassi
delle ore stanche e del risolio dei bimbi.
Tranquilli, siate di buon umore:
pascoleremo ancora sulle nostre guance
la giustizia delle scartoffie e l’ingiustizia:
c’è ancora qualcuno che lenisce,
colla lingua, le ferite dei milionari.
Mentre il sole cala, la luna di marmo
sorge tra i palazzi, con i seni
coperti di nuvole.