I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
1.
Indica ora il sole Colasanto Gennaro
un tutt’uno di calore luce brivido
gioia di vedersi infine alto quanto
un uomo qualsiasi desidera
e grande leggero aperto ad ogni
soffio d’amore che promana da lassù
Senza calma si distende subito
possiede la terra bacia la cenere le case
l’anima dei tram ora che è libero
avendo frutti di luce a fiotti da berne
a sazietà
Chiude quindi il lavoro in una
scatola debole di cartone pensando
forse di riprenderlo chissà domani
(ma urge il nutrimento di poveri
computers automatismi lì in fabbrica
a produrre programmati vani
astigmatismi di mercato)
Libero dunque adesso su questa
piazza gremita di silenzio di estranei
amici fratelli colleghi in connubio col
sorriso del benessere a pensare
qualunque migliore morte da darne
a questi suoi altri mille uguali
Schiavo sei stato da sempre Colasanto
Gennaro due gradini alla volta
affannato per raggiungere il tetto ma
sei rimasto sempre nell’atrio
(qualcuno da millenni allunga
all’infinito la scala) Oh malignità
malignità e tu piccolo corpo
non potevi combattere tutto il mondo
stringendo i denti prima che la miseria
dalla bocca nel cuore dilagante
ti soverchiasse fino al cielo degli occhi ?
Non potevi piccolo sangue frammento
di passione amare finalmente da solo
imparare la vera poesia e le favole
senza alcun computer alle calcagna ?
E non potevi infine Colasanto Gennaro
vivere dentro la tua famiglia che schizza
da tutte le parti verso ogni periferia
in un casino di guai in un garbuglio
d’idee strapazze ma poi in fondo
giusto che si sopravviva così ?...
2.
Guai a te Colasanto Gennaro
che stai amando sotto la luce del sole
il filo d’erba il fiore innocente persino
i binari del tram che corre diritto nel
cuore della città sventrando immondizie
e sferragliando oscillando anticamente
nostalgicamente lungo la marina
Guai a te che stai amando tutto e
in silenzio e con la forza di Dio che
ti prende bevendo l’acqua della fontana
di casa semplice fresca pura come
mettere un dito nella colpa di sempre
<<non hai mai saputo vivere>>
hai lasciato fuoco e ardore dentro
nell’alba della tua morte
scrivendolo invano sulla targhetta
ben avvitata alla porta di casa
Ora che divampa quel fuoco devi
arginarlo in uno schema di parole
crociate incazzate ma che ti perviene
in fondo arrabbiandoti ?
3.
Sissignore sempre e amen così sia
eccetera nella tua piccola dimora
piatta sbiadita rovesciata livello
d’ogni ardore
Sissignore sempre piccolo Colasanto Gennaro
le tue remunerazioni i tuoi soldi la tua spesa
i tuoi spiccioli per una sopravvivenza
innumerevolmente spicciola ma
l’apogeo di dentro è capirti
perché sei nato proprio così
Colasanto Gennaro già con i vestiti
della gente addosso a giusta misura
ma fastidiosi impaccianti ingombranti
così sempre abbiamo celebrato noi
la tua vecchiaia in questa casa sfitta
e se dicessimo tutti no adesso
saremmo poeti veri di quelli che
non stringono le mani a nessuno
né sorridono né abbracciano assassini
ma ammazzano con tutta l’anima
ogni storta disumanità
tu invece scrivi parli poco
la città cresce fuori e dentro ti rimane
questa piazza di squallore estraneo mentre
tutta la terra desidera un tuo abbraccio
tu camminando in cielo tra mille sogni
le neghi questo affetto sensuale
giusto il tempo di nascere e morire
poi si vedrà
4.
Di queste cose parlane ora Colasanto Gennaro
che sei disteso al sole il mare di fronte
il lavoro nel cartone ben chiuso
ogni pietra dimenticata e l’amore
sacrificato all’altare delle impossibilità
Alimèntati di pane e stelle Colasanto
Gennaro ogni tua passione ti proviene
dal fondo del bigbang oppure
da quell’ostrica di donna aperta
a tutti i desideri inconoscibili
e la tua memoria si fa vela
verso lidi orizzontali senza
il minimo dubbio che siano mai
esistiti
Parlane parlane al vento alle emozioni
fruscianti vibranti sul litorale
alle note di una chitarra mai suonata
ai colori di un quadro mai dipinto
parlane sottovoce sussurrando al tuo
cuore suddiviso in frattaglie di pochezze
urlalo al tuo camice bianco tecnico
appeso alla gruccia lì in ufficio
in attesa della tua deportazione
in quella oscurità giornaliera
senza prezzo urla la tua tristezza
infinita alla città balorda tutta
la tua pazzia fuori luogo dille
che vuoi tuffarti nel mare di Mergellina
ancora una volta alla tua ricerca
per trovarti per ritrovarti
insano germe di mistero nato non
per caso da una tua madre che non
sentiva ma sapeva sa a modo suo
amarti forse sola lontana dea
della tua fantasia
5.
Misericordia per te Colasanto Gennaro
Napoli è ormai sfatta sgualcita sbollita
inutile tenersela dentro da nutrirne
solo i ricordi e tu sei Napoli Colasanto
Gennaro muori e rinasci con lei quando
vi abbracci le vie il mare le case ma
in altri cieli celesti dovrai ora cercare
i tuoi sassi il tuo mare la tua spiaggia
il tuo globo il tuo cibo la tua passione e
ogni gloria che ti viene dal salire
le scale delle stelle
Ascolta allora presso il nido
delle voci segrete da un volo
all’altro del rondone i mistici
subbugli dell’anima aprendo
ogni alba inerte il tuo comò grigio
laccato per riporvi perle di sudore
tecnico lì nella pena che sfalda
l’allegria dai lunari appesi
alla bacheca aziendale
Ascolta attento Colasanto Gennaro
non udrai che dolori provenire
dai cassetti sparsi della tua scrivania
grigia sbiadita e dagli abissi del tuo
natale errando per mille strade
giungesti a questa Mecca ma
è su questa scrivania il tuo definitivo
destino di sacro fantasma d’ossa
e nel riepilogare tutti i tuoi capitoli
un’altra barca è trascorsa lenta
maestosa da lontane nebbie gremite
di sogni proveniva solo solo per te
invano che sulla punta estrema del molo
hai lasciato scivolar via per sempre
la poppa nella placida corrente
6.
Senza di te morirò sussurrasti
in una sera di pioggerellina sotto il
lampione fioco arabescato del borgo
marinaro ed era un’affettuosa follia
ma negli occhi e nel cuore c’era
il canto eterno dell’amore altissimo
sopra il bofonchio della città assente
solenne più delle luminose antiche
chiese e più romantico delle
infinite stelle immaginate
nell’umidità nebbiosa e antracite
di quel cielo velatamente nascosto
Ricordasti poi Colasanto Gennaro
di essere solo un atomo fra tanti
bisognoso come altri di pane e
soldi per navigare in queste acque
incerte e burrascose a volte nei
pantani e negli stagni
dove la luce dell’amore è solo
una lampada sopra il comodino
da spegnere alle ventidue e trenta
per dar luogo ai rassicuranti sogni
di stagioni a venire calde e
sensuali fino a rimanerne solo
E solo sei sempre Colasanto Gennaro
solo nel contare i tuoi libri i tuoi versi
le tue ore i tuoi perché e anche
parlando e riparlando non dici che
superficialità programmate mentre dentro
s’ingigantisce il tetro vuoto del tuo
mistero
Dicesti senza di te morirò ma
non sei morto veramente sopravvivi
sagomato appiattito al tuo lavoro
come fosse una zattera slegata
abbandonata alle correnti
O camminando per via Caracciolo
sorprendendo la tua origine lì
al numero due casa d’altre dimensioni
ormai sepolta sotto una maceria
di ricordi forse mai esistiti
ti piacerà per un poco essere più forte
sentirti sollevato fino alla luna
e provare nascoste vibrazioni
d’amore
7.
Lontano da quel mondo ora che è tutto
un enorme meccanico scherzo di quelli che
ti combinavano piccoli dispettosi
negli androni dei palazzi benestanti
quando ignaro delle verità dei forti
correvi verso le braccia aperte
di un grande protettivo genitore
Lontano Colasanto Gennaro ora
che è notte da televisione sprimacci
il tuo guanciale prima dell’addormentarti
poco soddisfatto del tuo creare vano
fra una traiettoria d’automa e
una valvola che perde il suo fluido
goccia a goccia in un mare di pvc giallo
come la tua angoscia
Lontano quel mondo che non è tuo
acquistato con mille sacrifici
calpestando il tuo sorriso ogni
minuto freddo e vuoto e non
ti piacerà domani ingoiarlo dopo
colazione farne comunque monumento
di orgoglio agli occhi del resto del mondo
che sa che non combini niente di buono
chiuso stretto lì tra il fiato d’una
scrivania collega e l’altro tra
un armadietto grigio ed una sorridente
banale autorità parallela alla pazzia
dell’organigramma inconsultato
(tu che sei fatto segretamente di spirito
stridulo hai l’inerzia di un cuore
analogico che realizza solo schedari e
digitali eventi) scheletro tu Colasanto
Gennaro alla vita che immagini
volare sull’azzurro mare e sopra i campi
verdi i fiumi placidi e i boschi solo nei
sogni dopocena avendo se possibile
mezz’ora da pensarti così come
angelicamente vorresti (sai poi conoscerti
pezzo d’anima sfangata fuori
dal trastullo dei giorni sempre
sempre uguali ?)
8.
Una croce prima di dormire e prima
di partire è sempre la stessa tre volte
mormorata a mezzavoce chissà che il
miracolo non sia questa improvvisa
morte e rinascita senza tutto il peso
della superficie del mondo ? Colasanto
Gennaro la tua preghiera è già questo
inventariato vivere da una parola
all’altra senza sorrisi né
pianti in equilibrio perfetto sulla cresta
del campare quotidiano ultima storia
tu di questa puntata radiotelevisiva
9.
Hai costruito invano uno specchio
tutta la vita riflettendo e volando
all’orizzonte l’immagine del tuo cuore
aperto ma le parole uscivano piccole
incerte glabre e non avevano il glamour
dell’altissimo mondo che progetta i giorni
il tempo e le carezze da farteli indossare
sopra il pianto e l’allegria e tu mai
sei allegro portando a spasso
la tua voce e i tuoi occhi nessuno
saprebbe di che viverne lì nella
città degli ordini perfetti
Mai puoi essere allegro Colasanto
Gennaro neanche adesso che sei qui
dentro le tue quattro pareti pronto
a spegnere il tuo giorno numero
17155 sul comodino senza aver
raccolto una luna un cielo un minimo
fiore un frammento di calore né
l’amen proveniente da lontane
silenziose celesti soglie
Ricordando le tue preghiere di essere
in fondo al campo estremo piccolo
grumo di polvere e amore cerchi
d’annientarti nelle braccia della tua
compagna vesuviana in un cratere che
ti dia almeno un poco di conforto
familiare e poi dormi russando
appagato
10.
Ripidità della notte rapidità d’un sospiro
nell’arco breve indolore del buio paura
angoscia tremore misericordia padre
e madre della tua pochissima terra
ed è così l’improvvisa consumazione
delle tue ali Colasanto Gennaro
ogni cosa ricomincia ora scialba
e il sapore è uguale a ieri bisognerà
togliere tutto il dolce dalla bocca
cedere questi sogni gratis e
guadagnare la tua porzione
d’amarezza e salario aprendo
il lavoro partire ancora una volta
verso l’antica disaffezionata
fabbrica del pane