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A te stessa
In alto, come bianchi zoccoli al sole
luccicano per un istante i pugni
prima di fondersi, a freddo,
con il tuo involucro molle e cedevole
di soffice pasta di pane.
Colpiscono schiantano abbattono, sfondano
il guscio al tuo albume che sfama illusioni,
e i sogni e fiducia e speranza,
le piccole lucciole ignare del poi,
quel tuorlo di te e del tuo sciocco stupore
che di nuovo davvero sia potuto accadere.
È te stessa che il tuo Io ora odia, disprezza,
quando cedi l’azione all’attesa zelante,
paziente: avrà fine.
È a te stessa che il tuo Io ora chiede perché,
quando un freddo mattone pietoso
solo rincuora il tuo viso.
Ecco l’ultimo colpo sfiancato: è una firma,
l’aspetti, e non fa quasi male.
Dolore e rumori sconnesse impressioni,
poi nitidi i passi e un tonfo, di là
dalla porta, il suo sonno di stanco guerriero rivela.
È te stessa il bambino che culli svegliato
dal sogno più nero: è nulla, dai dormi. Dormi, son qui.
È a te stessa che devi il soccorso, la fuga,
il respiro: salvezza. In silenzio lo urlano
i segni sul corpo che pregano, e pregano te:
partorisci te stessa alla fine, una volta!
E grida, dai grida, ma forte, dai grida
che ti sentano i sogni e fiducia e speranza
che accorrano, e ti portino altrove alla fine, una volta!
Ma è una supplica vana, smarrita
nel freddo viluppo di lacci che è trama e ordito
di una nuova bugia: e ricomposta che hai la tua tela,
ripieghi con cura e riponi al suo posto l’inganno
a te stessa.