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Raccolta di poesie di Benny Nonasky
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

.Canto dell’amore e dell’assenza.

Dopo le nuvole

deflagra il sole

deflagra il sole

ed è nitidezza.

 

Certo: basterebbe sfiorarti con gli occhi,

immaginarti in una scheggia di vetro,

costringere Omero alla computa direzione,

valicando onde e superflui assassini

e consegnarmi a te,

da nome a nome;

sostanze che si avvolgono alla sera

e piangono.

 

Piangiamo piccoli rospi e sentimenti.

Piangiamo.

 

Una volta, quando gli ingranaggi

non si perdevano tra le voci,

c’era luce nella stanza.

E nella foresta dietro la finestra

dei bambini.

E nei bambini un continente.

E quando i fiumi scendevano a valle:

ecco il Pianeta verde,

ecco il Pianeta mare

nell’incastro d’un bacio;

quasi come sfiorarsi;

quasi averti.

 

In questo tripudio di elementi semplice

si è accasciato corposo il buio.

Costruisce ciminiere intorno al corpo

il buio.

E la foresta collassa.

Senti che sta salendo

destabilizzando la meccanica cardiovascolare:

ogni ordine, ogni sussurro nel castello sospeso –

entrare nelle tue camere, ascoltare il tuo sonno

dirti a mezza voce

che sto cadendo se sono nel vuoto

se non accendi il fuoco dei tuoi occhi

sto cadendo dov’è corposo il buio

e sale fumo a nascondere il cielo

così dissolto in altro e altrove

furioso, criticando il dolore del rimpianto

salivando odio sulla mia bocca livida

divorata da ciò che sei e non ho

se non accendi il fuoco dei tuoi occhi.

 

Mi sarei dovuto soffermare di più

sui dettagli e impazzire:

distruggere la stanza,

motivare qualsiasi dialogo assopito nella vita.

Correre tra gli scogli.

Non irrigidirmi.

Galleggiare pur sentendo il silenzio

che falcia intorno un’eternità e noi.

Disperato. Piangendo.

 

                           Piangiamo piccoli rospi e sentimenti.

                           Piangiamo.

 

Io asciugo il tempo

e deflagra il sole sui corpi infelici.

 

Tu apri ogni via di fuga.

Tu chiudi ogni via di fuga.

Tu abiti in me.

Tu abiti oltre.

 

Non sei penna o luna:

mi sto stringendo al petto un’assenza.

 

Salite. Salite bambini

e portate in cielo il fuoco dei suoi occhi.

Lasciate che incendi qualsiasi artificio

e sia alimento per ogni strato comportamentale.

La foresta deve tornare a parlare.

La foresta deve continuare ad avvolgerci.

 

Bambini, c’è sempre la sua voce

a trafiggere gli ingranaggi del cuore.

Lei non conosce malinconia.

Le sue foglie sono montagne innevate

che il vento sconvolge

e armonizza

e tremo.

 

Bambini, io faccio fatica a non impazzire:

 

ho visto ogni giorno il mondo accasciarsi

davanti ai suoi occhi

e piangere.

*

.Mama.

(Dal libro "Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua")

 

Non andrò oltre l'orizzonte

a chiamare il sole per il mio ritorno

e non andrò verso le stelle

a incidere nuovi sogni,

scenderò quieto dalla punta più alta

dell'Aspromonte e quieto

resterò ad osservarti Mamma.

Resterò ad osservare casa mia

che si suicida nel cemento

o che si ciba di mundizza,

menzogne, apatia e melograni,

melograni spappolati e carti,

briscula e trissetti, scupa, e more

con fiori di ginestra calpestati

da verdi rovi e vicoli e strade

ricoperti da gambi di gelsomino

mozzati alla testa che sanguinano,

sanguinano su coste e valli,

abbracciando fiumare

che corrono corrono

sotto piedi

che pigiano pigiano

uva acerba che dorme nelle gole

di uomini che hanno sonno.

 

(Cadono sul letto come piume dal cielo,

ma sono serpenti allegri nell'ombra di un bar)

 

Calabrisella mia facimmu amuri mò,

ora che in notte danza Mamma

con gli strilli dei cummari,

il secco pestare di una zappa,

il belare d'una capra

e il ronzio di mosche

e il colpo di lupara

inferto su d'un infedele.

 

Calabrisella mia,

cadono sul letto come piume dal cielo.

Calabrisella,

non devo andare a cena da nessuno

per vedere un pezzo di pane accoltellato.

 

Casa mia; gambi di gelsomino mozzati.

(Tu moriri mi fà)

 

Danza Mamma

 

Oilì, Oilà

*

.1948 forever.

(Dal libro "Imàgenes Trasmundo")

 

Ci avevano detto di poter giocare

con le pistole e le pietre.

Ci avevano detto di correre lungo il confine,

a ridosso del muro.

 

Ogni giorno ci sono figli che saltano in aria

e qualche voce di donna che,

dall’altra parte, chiama i loro nomi.

 

A quant’è la partita?

Quanto manca che la falce recida l’ultima spiga?

Chi, dopo, dormirà facendo sogni tranquilli?

 

Evita di porti domande:

la notte è calata,

i lupi sono in agguato

e l’esile cavallo è solo.

 

Qualcuno ci penserà.

 

Ma se altrove i bambini rientrano a casa,

il televisore è acceso,

il cibo ben disposto sulla tavola,

come può mai passar per la testa che

la notte è calata,

i lupi sono in agguato

e l’esile cavallo è solo?

*

.La ballata di Michelle.

(Dal libro "Imàgenes Trasmundo")

 

Verrà il giorno che quell’uomo si alzerà,

ben vestito, col fallo mozzato;

aprendo le tende di biancospino,

ascoltando gli abeti bruciare;

annusando l’amaro odore di sangue

che percorre le strade stellate dell’universo,

mentre le tarme divorano i suoi capelli,

mentre i rospi sputano sui suoi occhi;

quell’uomo si alzerà –

ben vestito, col fallo mozzato – e

urlerà:

    <<Basta!>>

 

e sarà il giorno

che

il liuto sul ventre della cavalla si apra

come un melograno maturo e divori se stesso,

che

il colombre argentato azzanni l’orizzonte per

scardinare le sette porte e

lasciare che la loro voce si innalzi

a baciare le alture di Machu Picchu,

che

il vulcano, figlio della collera d’Eva,

riprenda a piangere sulla meridiana

del Tropico del Cancro,

e che l’incompleto

azioni il rubinetto antartico cosicché

il monsone CO2 sciolga l’emerso

defluendo nell’urna notturna del cosmo,

vagando sul coccodè del primo giorno.

 

Rimarrà ciò che si dice che in principio fu:

il niente.

 

Lo sappiamo Michelle:

    bravi ad evitare le buche,

    molto meno nel coprirle.

Lo sapevano i treni a vapore nello Yucatan.

Lo sapevano i bambini

nelle fabbriche di Londra.

Lo sapevano gli scoiattoli

intorno a Chernobyl.

Lo sa l’ecosistema amazzonico

distrutto dalla soia cinese e

lo sanno a Linfen e a Mailuu-Suu col cancro

e l’arcobaleno color piombo patinato.

Lo sapevamo a Tokyo, lo sapevamo a Copenaghen;

lo sappiamo perché ci conviviamo. Punto.

 

Nessun assolto. Punto.

Tutti imputati nel grande processo

contro la vita:

uomo contro natura,

uomo contro uomo. Punto.

 

(C’era cu c’era)

 

Le promesse hanno fatto rima con le menzogne,

l’indifferenza ha creato uno spazio sufficiente

per renderci amebe vittime,

la tecnologia ci ha illusi

giocando con le parole:

male maggiore con male minore, perché

è semplice credere di essere onnipotenti,

perché

è facile attendere un tempo più rigoglioso,

perché

è onesto recepire un guadagno da un omicidio,

perché

lo sappiamo Michelle

che la pratica meno dolorosa

era quella di non pensare a ogni conseguenza

perché

è semplice rattoppare il presente,

perché

è facile trovare qualcosa su cui scaricare le colpe,

perché

è onesto essere moderni avendo un computer

al posto del cuore e trecento chili

di pollo avariato nel mega frigo

a sensore ultrasuoni.

 

No Michelle, nessun assolto.

Cadremo tutti nel nostro cilindro rovesciato

e annegheremo nell’acido da noi sputato

per secoli e secoli

come alcool sul fuoco,

come scusa per il freddo.

 

Riscalda la minestra,

alleviamo i nostri dolori

con un po’ di Malox

e fugaci segni a croce,

ma la febbre ustiona la crosta spellata,

la febbre cinge

le ossa esili dell’ulivo

tremano le foglie,

e trema la terra a ogni straziante squarcio

di tenebra che si schiude

dal centro del sinedrio

dove si pone la firma dell’ultimo atto.

E potrai piangere quanto vorrai,

ma non ne usciremo più, perché

ci siamo prefissati di non chiedere mai scusa;

perché le bombe hanno necessità di mangiare,

come l’uomo, i robot, la rapidità.

 

Lo sappiamo Michelle

  rimarrà ciò che si dice che in principio fu:

  il niente.

 

Allora, ti chiedo un ultimo favore,

prima di salpare sull’eterno battello

del felice occaso:

balla.

Balla fino a quando

ti si scuoino la pianta dei piedi

e non ti baceranno la carne cruda.

Balla.

Balla fino a quando qualcuno scenda

dal suo piedistallo di zinco cromato,

a dirti:

    <<Oggi si può stare peggio,

     non siamo tutti uguali.>>

Balla sui maiali viziati e le vacche sacre

davanti a donne avvizzite che chiedono elemosina.

Balla sopra le guerre e i suoi giovani cadaveri.

Balla intorno alle discariche d’amianto

con smorfie e gesti di derisione.

Ridicolizza il male, rendilo banale

con le tue movenze insignificanti,

fammi scompisciare dalle risate

per la merda che placidamente ci vive vicino.

Non avere vergogna (come Noi),

non avere pudore (come Noi),

non avere rimorso (come Noi).

Ridicolizza come tutti fanno

con tutti e con tutto.

Renditi stupida e felice (come Noi).

Balla.

Balla e concludi quello che puoi

perché

no, non ne usciremo più -

prefissati come siamo a non chiedere mai scusa

e di non pagare per i delitti commessi.

        (A cumbinzioni futti a genti)

 

Lo sapevamo Michelle:

la natura fa il suo corso:

con o senza interferenze,

con o senza conseguenze. Punto.

 

E allora balla.

Balla e concludi quello che puoi.

Balla e resisti
fino all’ultimo sospiro,

fino al primo scricchiolio,

perché

quell’uomo si alzerà –

ben vestito, col fallo mozzato – e

urlerà:

    <<Basta!>>


e sarà il giorno.

*

.Meraviglia della luna.

Un’esecuzione sommaria al crepuscolo,

colano via colori forti – rosso e il giallo

e poi il tenue rosa ingoiato dal blu che si

fa fratello del goliardico nero. Ed è notte.

 

Lucciole nuotano nel vento e sono specchio

di stelle in transito perenne. I gufi

sorvolano lo stipite che nasconde i sogni. Le

cicale ubriache sprizzano canti folkloristici.

 

Ebbene: da qualche parte c’è lei. Ovunque.

Seduta a rendere tutto ciò. Regina degli

uragani. Potente urlo di follie. Poesia.

 

Ed io siedo con amici e Baudelaire a spiare

il tuo corpo che sa di chitarra e nostalgia.

Come il tuo riflesso sull’acqua. Lacrima dolente.

*

.Il volo delle promesse.

Passerei tutta la vita a dipingere

il tuo volto

       iconografia

fonia del cuore

    respiro irrefutabile.

 

Sarà come tu vuoi.

 

Sarò come tu mi vuoi.

           

        Lavico

     Geloso

            Cassaforte

   indeperibile del tuo amore.

 

    Promesse:

Passerei

Sarà            Sarò

                Ma

 

stramazzo sotto i bombardamenti

del tuo silenzio.

*

.La litania.

(dall'antologia poetica "100 thousand poets for change" (Albeggi edizioni)

 

Brulica la terra di fermenti attivi
come sangue sul fuoco, e niente:
i pedoni proseguono ad ignorare le
strisce; i bambini a gettare le
carte di caramelle dappertutto; gli
assassini ad utilizzare sacchetti di
plastica per soffocare la vittima.

Che però un qualcosa stia accadendo
è chiaro.
E a saperlo sono soprattutto le api.

Muoiono a catena -
nei fluttui rabbuffanti del sistema Natura -
con passaggi scanditi da tappe
prestabilite, non elencabili, ma
con imprescindibile unità di arrivo.

C'è chi sperimenta i bordi dei
giardini chiedendo una monetina.
C'è chi ruba o uccide per un pò di
polline. Ma la pratica più vagliata
è la roulette russa.
                    Un'agonia.
E non per chi si spappola le cervella.

Descrivo:
tutti seduti intorno ad un tavolo, gira
la pistola, bum! e fine della storia.
Addio
    debiti,          rimorsi,
         pignoramenti,      umiliazione.
Il prossimo giro: il giorno che verrà.
Un'agonia.
Un'agonia per il giorno da vivere,
quello dell'isotermo confronto
       debiti,          rimorsi,
          pignoramenti,      umiliazione.

Il fiore è il premio proibito -
non fattibile in base alle leggi
del mercato delle tarantole.

      <<E' opportuno fare i compiti a casa!
        Dobbiamo restare uniti!>>,
        impone la Regina formica.

        Ma andrebbe per le lunghe.
Ormai è una missione radicale,
radicalizzata.

I calabroni consigliano illusioni
atmosferiche per governare l'ansia.
Le talpe propongono testi
sul Paleozoico e sulla prima
Rivoluzione Industriale.
C'è chi propone il Gioco dei Pacchi
e chi annuncia viaggi interstellari
senza una direzione precisa.

Sì: nessuno fa i conti con i bordi
     dei giardini né con la polvere
     annidata sulle maniglie delle
librerie.

        Andrebbe per le lunghe.
Più decoroso un rapido giro di roulette,
con sottofondo una litania.

Canta la cicala:
<<Giro giro tondo, casca il mondo...>>
undsoweiter,
undsoweiter.*

 

*Eccetera in tedesco

*

.La lenza di Davide.

Il bambino pescava dal suo balcone.

All’amo, appeso un foglietto.

Passandoci accanto, lo sfiorai

con lo sguardo:

        era disegnato un cuore.

 

Fino all’ultimo fui tentato,

ma non alzai la mano.

Non era per me.

Se lo era:

ho sbagliato come sempre e,

come sempre, come pesce in un

acquario, aspetto che il cibo

mi piombi dal cielo.

 

(Palumba muta non pot’êsseri serbùta?)

 

Tu bimbo continua a pescare.

Forse sarò più veloce delle mie paure,

                        domani.

E se quel pezzo di carta

non racchiude le mie iniziali,

potrai uccidermi,

ma sarà un gesto vano:

sono invincibile:

ti chiederò perdono

e tu diventerai un principe,

sconfiggerai la vecchia strega

d’Albione, e la conquisterai.

Io farò testimone di queste tue azioni,

come lo è la tua spada rovente.

 

Infine, lei sarà rosa di ghiaccio

per il tuo ardore, insieme vi

inginocchierete e, postino

di cromosomi duali, vi consegnerò

le luci d’Oriente

- vostro tallofita impero –

sul quale ricorderete il mio nome,

come qualcuno che è passato

vicino a un amo e non ha abboccato.

*

.Gramo a largo di una notte speciale.

1.

Non ho più voglia d’altro, stasera. Le chiavi

sono andate perse; la mia casa violentata da

un amore che non reca le mie impronte.

 

Il cielo crolla su feti stesi fra lana

di pecore sgozzate per la festa del Signore.

(Lo anticipo e lo attesto: non risusciteranno.)

Tutto si accomoda sulle croci di domani.

 

Precisione.

Buon fabbro.

 

Le rondini e le nuvole capiscono quel che vedono:

larve umane spremute in un azzurro ciccione

e limpido. Fino a prima. Ora,

ora giusta. Crepuscolo.

Mare, mare mestruo di un altro giorno indifferente –

comunque vissuto e biasimato.

 

Così va la stagione, al crepuscolo.

 

2.

E D. non afferra. D. non apprezza. D. è

un robot sadico che strizza i calendari degl’anni

avvenire e stravolge l’ipotesi delle certezze.

Attraversa le mie pupille. Corrode la retina.

S’infila e spezza la safena delle mie

sdolcinate tenerezze.

                Vacca.

Latte del mio pene sprecato. Sesso:

timbro – Denominazione d’Origine protetta –

sulla definizione

TI AMO.

Ci riconosce. Rispecchia il mondo che modelliamo.

(una libertà ormonale latitante;

una rivincita carnale mediatica.)

 

E’ non c’è più voglia di nulla, avendo tutto.

Questo. Quello. Sorriso gengivale. Hopper. I

miei sogni. Il sarcasmo conseguente alla

truce realtà. E’ fuori misura, cazzo.

Esorbitante come l’ignifuga domanda: <<Mi ami?>>

Non dirla: la risposta potrebbe non essere

sufficiente per ammansire questo diluvio.

Scardina le difese.

La tormenta mi strapazza e appaga. Appaga

la morte. Quella morte per morire.

In questo. In quello. La morte. La morte muta.

Il silenziatore perennemente in canna.

Precisa.

Rassicurante.

Ahimè, ahimè, ahimè!

Credere perché così è richiesto dal copione.

Come farfalla schiacciata da un carro armato.

Come il distacco dai tuoi occhi.

                         Occhi:

differenze standard: uno verso il cuore,

l’altro verso la clavicola. Rotazione del sistema

orbitale racchiuso nel linguaggio ermetico

                            della ciglia.

 

<<Chi avrà mai la verità?>>

<<Chiedilo alla mia tecnica.>>

<<Chi avrà mai la verità?>>

<<Le versioni sono contrastanti. Ognuno

accondiscende a quella più consona

al suo invertebrato piacere.>>

 

3.

Così va la stagione al crepuscolo.

In sera riprenderà a palpitare la luna e noi

correremo nudi masturbandoci a vicenda

senza mai chiedere perdono – se questo è peccato.

Saremo gli eroi che la filantropia non enumera.

Unti e sinceri, schioderemo quei feti e li

accatasteremo edificando una statica torre

che sfidi ancora il cielo. Annoteremo

sui nostri dispiaceri: “Qui sempre parla una sola

lingua: la morte, la morte muta.”

 

E se il nostro giudizio si moltiplicherà,

creeremo una culla.

 

Dormiremo tu io. Ci ameremo e la luce che

partorirà da noi sarà orologio e altro me te

che viva il futuro che non, mai avremo.

 

E se questo non fosse semplice, creeremo un orto.

Lo coltiveremo tu io, seminando cuori per germogliare

minuscole zolle di passione venata.

Apriremo un bar.

Le serviremo come zucchero per il caffè.

Saboteremo il sistema orbitale.

Con queste. Con quelle. Ora,

nell’ora giusta.

 

D.

Come autotrofi. Come fotosintesi clorofilliana. D.

Non ho voglia d’altro, stasera.