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Cinque poesie di George Pasa
George Pasa, poeta rumeno, esperto di letteratura russa, traduttore di Esenin, un poco appartato rispetto ai grandi centri della vita letteraria, autore solo negli ultimi anni di quattro esili raccolte di versi, sembra riuscire a fondere in sé una duplice vena, una duplice sorgente d'ispirazione, proprio come quella «sorgente del tutto», «Izvorul a Toate», da cui trae nutrimento: da un lato, si potrebbe dire, la grande lezione di Nichita Stanescu, per quell'impareggiabile capacità di tradurre il dato naturale, il germinare e il pullulare della materia vivente, in sostanza verbale, in oggetto e materia di elaborazione letteraria, con quell'elemento di baudelairiano surnaturalisme che inevitabilmente ne deriva; dall'altro, forse, quasi allontanata o rimossa, l'ombra di Lucian Blaga, con quel suo senso panico, quasi panteistico della forza vitale che permea tutto il vivente e da esso si trasmette, si trasfonde e riversa nel discorso del poeta. Ma si stende anche, sui versi di Pasa, il velo di una, per così dire, metaletteraria malinconia, dettata dalla consapevolezza che la pagina del poeta fissa in parole e segni, essi stessi perituri, una realtà e un mondo di sentimenti e di visioni anch'essi transeunti – mentre la Sorgente del Tutto continuerà, impassibile, a far scaturire correnti d'esistenza, a cui si contrappone, eterna, impassibile, la serenità quasi brancusiana della pietra. E, ancora, simbolo malcerto della poesia e della sua condizione esistenziale, la figura di Ovidio, archetipo del poeta esule, perso fra i ghiacci, le tempeste e i suoni aspri di una lingua incomprensibile – così come esule, benché trasognato, ironico, quasi incredulo, è il poeta, smarrito nella realtà e nel linguaggio. (introduzione e traduzione di Matteo Veronesi) studio celeste non aspettare colori inauditi o un maestro che passa di colore in colore, qui c'è solo il fumo che sprigiona l'ardere a un fuoco quieto qui c'è solo il segno che l'arte ha denti splendenti, che mordono solo nel mezzo, con il vantaggio d'essere il principio. non esistono testimoni, solo il restare sospesi nei pensieri e il pennello che accarezza il legno con ostentata dolcezza. Nulla cade di sbieco, solo di tanto in tanto si gettano le scaglie, perché sia pulito, come prima di un'esposizione di sogni. atelierul albastru nu aştepta culori nemaivăzute sau un maestru ce trece din culoare-n culoare, aici e doar fumul pe care-l face arderea la un foc potolit, aici e doar semnul că arta poartă dinţi strălucitori, muşcând numai din miez, cu avantajul de a fi începutul. nu există vreun martor, doar s(t)are pe gânduri şi penelul mângâind lemnul cu duioşie făţişă. nimic nu cade oblic, doar din când în când se mai aruncă molozul, să fie curat, ca înaintea unei expoziţii de vise. Tempo di rimpianto
Dovevi essere le mie mani, splendente sulla scala dell'assenza, venire in pienezza lungo la via dell'attesa, perché neppure un mattino mi destassi senza sfiorare le tue palme. Ora i frutteti si vestono di fiori per altre ondivaghe illusioni; io passo senza accorgermi del nettare in cui la primavera ha mutato la propria bellezza, il cielo limpido spento nell'azzurro, non vedo che cenere a memoria del fuoco. Senza rimpianto, presto sarà sera, sapremo di non essere stati che ombre in un sogno insidioso, per questo tutto ci duole, tutto ci grida in una sola voce: «È il tempo per l'amore, è il tempo di ricordarvi che tutti gli istanti hanno gemme e fioriranno per voi. Passerà ad altri il vostro splendore, l'appassire è l'ultimo confine prima della notte. Nulla va perduto: il tempo ha memoria per tutto ciò che esiste. Tenetevi saldi: passate per una stretta cruna, e in equilibrio è il tempo del rimpianto». E timpul pentru dor Trebuia să fii mâinele meu, strălucitor pe scara absenţei, cu plin să vii în calea aşteptării, nicio dimineaţă să nu mă trezească fără mângâierea palmelor tale. Acum înfloresc pomii pentru alte iluzii hoinare; eu trec fără să iau în seamă nectarul în care primăvara şi-a trecut frumuseţea, limpezimea cerului stinsă-n albastru, văd numai tăciunele ca amintire a focului. Fără dor, va veni mai curând înserarea, vom şti că n-am fost decât umbre într-un vis lunecos, de-aceea toate ne dor, toate ne strigă-ntr-un glas: „E timpul pentru iubire, e timpul să v-aduceţi aminte că toate clipele au muguri şi vor înflori pentru voi. Strălucirea voastră va trece în alţii, veştejirea e ultima barieră înaintea nopţii. Nimic nu-i pierdut: timpul are memorie pentru toate cele ce sunt. Ţineţi-vă bine: treceţi pe o punte îngustă, şi-n balans e timp pentru dor”. Pietra dolce
Le ore, fissate con chiodo d'argento. Il pedale della dimenticanza, calcato fino al rifiuto. Fra i rumori, il silenzio come un uccello del cielo, fermo alla fonte per addormentare l'istante. Di tutto ciò che hai avuto, non ti è rimasto che un piccolo cerchio di pietra a cui intrecci il filo delle storie. Sai che ha soltanto un'imperfezione l'erba: prende la forma dei nostri corpi perituri, poi dimentica il nostro passaggio. Se l'oblio è la legge che il sonno fila per noi dal giro delle stelle, se dici “mai” quando sogni in eterno, allora esistono anche ore impossibili, che lasci vagare libere tra elefanti d'argilla, allora esiste una cera con cui si modella anche il nostro corpo prima di farsi scoria. Tu resti una pietra dolce su cui l'amarezza non ha intonato il suo canto, pietra lasciata nel sonno della pietra. O piatră dulce Orele, tintuite în cuie de-argint. Pedala uitării, apăsată pînă la refuz. Printre zgomote, linistea ca o pasăre a cerului, oprită la izvor s-adoarmă clipa. Din tot ce-ai avut, nu ti-a rămas decît un cercel de piatră prin care îti treci firul povestilor. Stii că iarba are doar un cusur: ia forma trupurilor noastre pieritoare, apoi uită că am trecut pe acolo. Dacă uitarea e legea pe care somnul ne-o toarce din rotirea stelelor, dacă spui niciodată cînd visezi totdeauna, atunci există si ore imposibile, pe care le lasi să umble libere printre elefantii de lut, atunci există o ceară din care se modelează si trupul nostru înaintea trecerii-n zgură. Tu rămîi o piatră dulce pe care amarul nu si-a exersat melodia, piatră lăsată în somnul de piatră. Ovidio
e se il simbolo della poesia fosse Ovidio e se le mie stagioni si chiamassero sogno silenzio tristezza e amore e ancora il vento che batte nei vuoti della vita vanità allora perché non dovremmo anche noi dirci esploratori dell'ignoto poveri buffoni che rubano incantesimo all'istante e poesia alla notte e se il simbolo della poesia si chiamasse Ovidio Ovidiu şi dacă simbolul poeziei ar fi Ovidiu şi dacă anotimpurile mele s-ar numi reverie tăcere tristeţe şi dragoste iar vântul ce bate-n pustiurile vieţii zădărnicie atunci de ce nu ne-am numi şi noi exploratori ai neştiutului sărmani bufoni ce fură-al clipei farmec şi-a nopţii poezie şi dacă simbolul poeziei s-ar numi Ovidiu Tutto vive Poiché ti sento qui, o Sorgente del Tutto, mi scrollo via il mantello dalle spalle su cui cadono le pietre degli istanti, lascio che mi lavino le piogge d'estate dai peccati del dire in violente torsioni, perché restino solo le parole balsamo sulle cose. Lo so fin d'ora: neppure una virgola divide ciò che è stato da ciò che è, solo punti di domanda cercheranno risposta eternamente. Il contesto si traccia in superficie con i segni del senso, mai si inquadra la grande frase nella pagina, si riverserà verso l'interno, fino a uscire da sé. Non c'è sosta in questo divenire, anche il filo di sabbia serba il canto della sorgente. È vano chiedersi chi va, chi resta, sempre l'argilla e l'acqua furono compagne, il fuoco e l'aria scriveranno i segni dell'ultima venuta. E poiché ti sento qui, o Sorgente del Tutto, scrivo su queste pagine mortali ciò che non morirà insieme a me. Totul e viu
Pentru ca Te simt aici, Izvorule a Toate, mi-azvarl mantia de pe umerii in care lovesc pietrele clipelor, las ploile verii sa ma spele de pacatele spunerii in rasuciri violente, sa ramana doar cuvintele-balsam-peste-lucruri. Stiu de acum: nicio virgula nu desparte ceea ce a fost de ceea ce este, doar semnele de intrebare isi vor cauta intotdeauna raspuns. Contextul se deseneaza in piele cu acele sensului, niciodata nu are sa incapa in pagina marea fraza, se va revarsa in interior, pana la iesirea din sine. In toata curgerea aceasta nu exista intrerupere, chiar firul de nisip mai pastreaza cantecul izvorului. In zadar te intrebi cine pleaca, cine ramane, lutul si apa au fost dintotdeauna prieteni, focul si aerul vor scrie semnele ultimei veniri. Si pentru ca te simt aici, Izvorule a Toate, scriu pe aceste pagini pieritoare ceea ce nu va pieri odata cu mine.
Id: 33642 Data: 19/07/2015 07:21:08
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Versi sullacqua
VERSI SULL'ACQUA rapida scribere oportet aqua I Scrivo questi versi sull'acqua E sull'acqua svaniranno, in questo fiume diveniente e perpetuo della lingua che palpita e dispare, goccia a goccia d'istante in istante come d'era in era – questo fiume in cui non due ma infinite volte ci bagniamo, i morti nei vivi, e così i vivi nei morti silenzioso e fremente fiume d'ombre II Eppure l'acqua ha memoria Ricorda nel suo flebile cuore il vibrìo delle voci soavi o irose che la sorvolarono, l'ala del respiro che la sfiora, l'incorporeo bacio delle labbra chiuse dal segreto Come i volti che videro se stessi nell'antica fontana ormai putridi di muschio, sprofondati nel buio abisso, dissolti pallidi nel bianco fiato delle ninfee III Ma come potrà giungere puro questo fiume alle mani di quelli che verranno Troppo denso il limo dell'ideologia, delle duplici verità che nessuna acqua santifica (Eppure sorgerà, come nell'ombra del rivo esile fra le navate in preghiera degli alberi reclini nel cuore quieto della viva selva – brillerà come quel liquido, mai spento, argento eterna e tersa e fragile la luce della parola che dice)
Id: 33595 Data: 16/07/2015 01:37:39
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Una poesia inedita di Luminita Amarie
Pubblico, per gentile concessione, un testo inedito di Luminita Amarie (http://luminita-amarie.blogspot.it/), tanto sofferto nel sentire, quanto levigato e adamantino nella forma, cesellato nella sottile scansione del ritmo trocaico e nella risonanza delle rime, spesso ricercate e difficili: tutti pregi stilistici, questi, che la traduzione non può restituire.
Da tanto non sentivo un terrore così grande Agitarsi gridando nel mio corpo Non conoscevo il sangue che si spezza Se ti passa attraverso come fossi di ghiaia Resto immobile come la candela I miei occhi hanno cera anziché fiori Corre la morte lungo la mia schiena Anche la vita mia vuol dire morte Cresce dentro di me un gelo di pietra Come in uno scongiuro piove cenere Di te non so più nulla Taccio e credo nella vita oltre la tomba Forse io non fui mai concepita Le mie mani ginocchia corde spini Sulla mia carne velata Accarezzato dai gigli è il corpo morto Da tempo non vivevo tanta morte Il mio cuore non ha mai palpitato Io figlia di una nascita deserta Nelle acque la mia croce è caduta. (traduzione di Matteo Veronesi) Testo originale N-am simțit de mult atâta frică Zbătătoare-n trupul meu țipând N-am știut că sângele se strică Dacă-l treci prin tine ca prin prund Nemișcată stau ca lumânarea Ochii mei au ceară-n loc de flori Moartea îmi cutreieră spinarea Viața mea înseamnă toată mori Frigul cărămizi în mine crește Plouă cu cenușă ca-n descânt Despre tine n-am primit o veste Tac și cred în viață din mormânt Ce pesemne-s eu nezămislită Mâinile mi-s sfori genunchii spini Peste carnea mea acoperită Mângâiat e trupul mort de crini N-am trăit de mult atâta moarte Inima nicicând nu mi-a bătut Fiică eu a nașterii deșarte Crucea mea în ape a căzut.
Id: 30687 Data: 20/02/2015 23:22:01
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La trama del fuoco. Dieci poesie di Ana Pop Sīrbu
La trama del fuoco. Dieci poesie di Ana Pop Sîrbu I versi di Ana Pop Sîrbu (poetessa rumena autrice di quattro raccolte, e collaboratrice delle principali riviste letterarie del suo paese) che ho il privilegio di presentare per la prima volta al lettore italiano, tratti da un quinto libro di prossima pubblicazione, potrebbero far pensare, ad una prima lettura, con il loro dettato estremamente asciutto, essenziale, con la loro sintassi netta e scolpita, allo chosisme di un Ponge, o magari, da noi, alla poesia “millimetrica”, esatta, limpidissima, eppure segnata a tratti da lampi improvvisi di tragicità, sapienza e smarrimento, di un Magrelli. Ma si tratta, a ben vedere, di una pagina solcata e venata, per così dire, di silenzi; tele verbali che hanno in apparenza l'esattezza figurativa e la nettezza di forme, campiture e contorni di un De Chirico o di un Magritte, eppure, forse proprio per questo, lasciano trapelare con ancor maggiore, ancor più perturbante intensità, nelle loro pieghe più segrete, il «fantasma sottile» del mistero, l'ombra fuggitiva dell'ospite ignoto, la musica ombrosa e sfumante del ricordo irrisolto e del tempo incontrollabile. Ma il mondo e la vita sembrano ruotare, infine, intorno alla cella solitaria del poeta, illuminato dalla lucerna perpetua – quasi fiamma vestale – dell'espressione, e sulla cui ombra, sul cui capo reclino, si staglia il deserto. Come diceva un Maestro, «tutto al mondo esiste per far capo ad un libro». Il tempo accidentale dell'esistenza non è che «tempo fortuito». La parola del poeta dura eterna anche se segnata dalla precarietà, dal perpetuo divenire, dall'oraziano inreparabile tempus, che essa stessa porta in grembo, da cui essa stessa è, in fondo, trafitta, pur trascendendolo in una fuga immobile di statua, in un moto raggelato ed esemplare di figurazione archetipa. (Matteo Veronesi) Reverie Doar șoapta verdelui stă ascunsă, Sub rubin, violete și crini... Doar gândul, În seiful blândeții... Seara ne apropiem de Pompei, De acea pasăre ce va promite întoarcerea. Prin preajmă, sculptura lui Eros. Altă viață. La nesfârșit. Cu buzele solitare. Un țărm roșietic va lumina singura clipă... Reverie Appena il sussurro del verde si cela, Sotto il rubino, le violette e i gigli... Appena il pensiero, Nello scrigno della soavità... A sera ci avviciniamo a Pompei, A quell'essere alato che prometterà il ritorno. La statua di Eros, vicina. Altra vita. All'infinito. Con le labbra solitarie. Una riva rossastra illuminerà l'istante solo... Clipele Înconjurăm clipele Care se frâng. Un alt drum Stă între noi și trecut, Mărunt, ca o arătare. Gli istanti Accerchiamo gli istanti Che s'infrangono. Un altro viaggio Sta fra noi e il passato, Sottile, come uno spettro. Ţesătura flăcării Ai schimba miniatura oboselii, Folosită împotrivă-ți. Gleznele se apropie de marginea fotoliului, Lipite de împotrivirea din jur. Ridici ochii și simți cum sufletul Se strânge. Cum târziul din inimă Se joacă de-a ziua și noaptea, Luminat de țesătura flăcării, Când asculți molateca voce a zilei de ieri. Urmarea, în semnele dimprejur, Când cauți cealaltă clipă, Care tocmai ți-a căzut din privire. În dreptul ușii, o mână rece Mângâie gândul luminos de pe figura opacă. Fereastra e împietrită În cercul decolorat și mărunt... La trama del fuoco Vorresti mutare la miniatura della stanchezza, Rivolta contro di te. La caviglie si avvicinano al bordo della poltrona, Attaccate al contrasto tutt'intorno. Alzi lo sguardo e senti Come si stringe l'anima. Come la sera del cuore Si prende gioco del giorno e della notte, Illuminato dalla trama del fuoco, Quando ascolti la soffice voce del giorno di ieri. Il séguito, nei segni intorno, Quando cerchi l'altro istante, Che appena ti è caduto dallo sguardo. Davanti alla porta, una mano fredda Sfiora il pensiero luminoso sulla figura opaca. La finestra è impietrita Nel cerchio sbiadito e sottile... Mișcarea șoaptelor E un joc de șah, Ce ține legătura între două Sau mai multe închipuiri, Urmărind mișcarea melodică A fiecărei șoapte. O stanță fărâmicioasă, Pe chipul fluid al regelui Vedeau cei Care dădeau șah la rege. Intrau toți în acel frig cenușiu. Dar, pe chipul lor, Umbra pieselor de șah Se pierdea... Il moto dei sussurri E' una partita a scacchi, Che mantiene il legame fra due O più fantasie, Seguendo il moto melodioso Di ogni sussurro. Una stanza frantumata, Sullo sguardo liquido del re Vedevano coloro Che tenevano il re in scacco. Entravano tutti in quel freddo grigiore. Ma, sul loro sguardo, L'ombra delle figure si perdeva. Niște ființe albastre Nu știu de-i sticlire, ori ne lovesc tot felul de făpturi reci, Care se aciuează în noi, la nesfârșit se tot adună în noi, Cu adevărat nu știu cine sunt cei care ne caută, Ne aud plânsul, noapte de noapte, Niște ființe albastre, cuprinse de tot felul de împotriviri, Ne țin de mână, intră în noi, aceste semne, Care se poticnesc lângă alte poticniri ale noastre, Cu fața surâzătoare. Atât de simple. Totuși. Toate simțămintele se transformă Într-o scenă care nu se mai termină, o închipuire Care se strânge lângă ea altă închipuire... Esseri celesti Non so se è splendore, o se ci colpiscono gelide creature d'ogni specie, Che s'insinuano in noi, all'infinito si raccolgono in noi, Davvero non so chi siano coloro che ci cercano, Ci ascoltano piangere, notte dopo notte, Essenze celesti, avvolte da ogni sorta di conflitti, Ci tengono per mano, entrano in noi, questi segni, Che inciampano accanto agli altri nostri inciampi, Con un sorriso sul volto. Così semplici. Nonostante. Tutti i sentimenti si trasformano In una scena che non ha più fine, una parvenza Che stringe accanto a sé un'altra parvenza... Urcușul străin Încet, Se închide Încet Adâncul acela Gonit din imagine, Răsfrânt ca un chip Ce se pierde în abur. Locul lui Pe urcușul străin. Locul ei.O margine. Deslușită. Iederă străină. Singura ce vede ocheanul întors. Străină.Străină. La strana salita Piano, Si chiude Piano Quel fondo Cacciato dall'immagine, Rifratto come uno sguardo Che si perde in caligine. Il posto dell'uno Sulla strana salita. Il posto dell'altra. Un margine. Distinto. Edera strana. La sola che veda il cannocchiale rovesciato. Strana. Strana. Cum fraza se-nmoaie-n silabe Și copacii aceia iradiind erezii, Cum surâd.Ce contur învălmășit în crengi, În răsunetul vlăstarilor tineri. Ea vine și se-așează sub ei, Ca sub o pânză flamandă. Are sub arcul inimii o vârtelniță Ce-i strânge linele șoapte. Umbrarul și privirea ei țes Încetinite plutiri, Cum fraza se-nmoaie-n silabe. Picuri mari de grădini Se ascund în Sinele blând, Împleticind clipa cu târziul ce vine.. Come la frase s'imbeve di sillabe E quegli alberi che irradiano eresie, Come sorridono. Che contorno confuso nei rami, Nel fragore dei giovani virgulti. Lei arriva e si siede alla loro ombra, Come sotto un velo di Fiandra. Sotto l'arco del cuore ha un arcolaio Che le torce i dolci bisbigli. Il pergolato e il suo sguardo le intessono Silenziose vie d'acqua, Come la frase s'imbeve di sillabe. Briciole grandi di giardini Si nascondono dolcemente nel profondo, Imbrigliando l'istante con l'ora tarda che viene. Cu flacăra lui de ambru Deopotrivă se-amestecă umbra cu noua ei soră Blând ți se-așează pe față, mereu revărsându-se-n tine, În târziul ce nu se desprinde, ce pune o punte Peste ochi, peste frunte. Un joc fărâmicios dintr-o altă poveste Ce intră în alt chip, zvâcnind pe furiș Pe linia vieții, ai vrea să oprești această umbră, Cum deschizi fereastra unui turn, Cu flacăra lui de ambra, pierzându-te-n alt trup. Con la sua fiamma d'ambra Ugualmente si mescola l'ombra con la sua nuova sorella Dolcemente ti si siede davanti, sempre riversandosi in te, Nel tardi che non si divincola, che getta un ponte sugli occhi, sulla fronte. Un gioco friabile in un'altra storia Che entra in altro sguardo, con segreto sussulto Lungo la linea della vita, vorresti fermarla quest'ombra, Come apri la finestra di una torre, Con la sua fiamma d'ambra, in altro corpo perdendoti... Rostogolire amară Sinucigașul poem lângă noaptea noroasă, Când neîndemânatic, poetul sare de la o tristețe la alta, Revine ușor, expert al memoriei,dezgroapă fluxurile primare, Milimetru pe milimetru, ca sărutul pe-o rostogolire amară. Poetul stă singur, își întoarce poemul literă cu literă, Timpul trece întâmplător prin viața lui. El vede fluturi, în loc de porumbei, În dreptul inimii are zimți de aur Și o fereastră pe care stau câteva libelule. Giravolta amara Il poema suicida accanto alla notte nebulosa, Quando smarrito vaga il poeta dall'una all'altra tristezza, Facilmente ritorna, esperto della memoria, dissotterra le primigenie correnti, Millimetro per millimetro, come il bacio su un'amara giravolta. Solitario sta il poeta, volge e rivolge il poema lettera per lettera, Fortuito passa sulla sua vita il tempo. Vede farfalle in luogo di colombe, Davanti al cuore ha denti d'oro E una finestra su cui dimorano libellule. Opaiț Urmărești cu pana chilia Cu ochi de grămătic. Privești păienjenișul frazei. Îți întorci fața spre opaiț. Din el picură fântâni arse. Ești tânără și subțire . Deasupra umbrei tale e deșertul. Lucerna Con la penna segui la cella Con occhi di grammatico. Scruti la ragnatela della frase. Volgi il viso alla lucerna. Da essa gocciano pozzi riarsi. Sei giovane e sottile. Sulla tua ombra è il deserto.
Id: 27078 Data: 26/08/2014 09:22:06
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Due poesie di Juan Armando Rojas
La poesia di Juan Armando Rojas (docente di letteratura spagnola alla Ohio Wesleyan University, e autore di raccolte fra cui spicca Río vertebral, Fiume di vertebre, da cui sono tratti i due testi che presento) è strettamente legata all'immagine e all'idea della frontiera: quella arida e ardente, torrida e consumata che divide il Messico dagli Stati Uniti; quel lembo di deserto segnato dalla disperazione e dalla speranza dei migranti, ma anche dal sangue del narcotraffico e del martirio (misterioso ed inesplicabile se non alla luce, o meglio nel buio, di un machismo folle ed assurdo) di una grande numero di donne. Fra queste, per inciso, Susana Chavez, poetessa ed attivista, a cui si attribuisce l'invenzione del motto ni una mujer màs, ritrovata con la lingua e una mano mozzate ‒ quelle, nel muto e cruento linguaggio dei carnefici, con cui non avrebbe dovuto mai parlare e scrivere ‒ sebbene le autorità abbiano avuto cura di precisare che l'omicidio nulla aveva a che vedere con la militanza poetica e civile dell'autrice. (Ma diverse, per inciso, sono le poetesse, le dolorose ed assorte Muse del deserto, che laggiù levano la loro voce sommessa e altissima: come Micaela Solís, con la sua accorata Elegía en el desierto: «Enredada en sus calles, la ciudad, / impávida ancla la muerte / en la profundidad de su silencio. // Enredadas sus horas y sus días / en las pérfidas mentiras de la luz, / amanece exhausta del último naufragio» ‒ «Avvolta nelle sue strade, la città, / impavida àncora la morte / nella profondità del suo silenzio. // Avvolti i suoi giorni e le sue ore / nelle perfide menzogne della luce, / sorge esausta dall'ultimo naufragio» ‒ o come quelle, fra cui Martha Urquidi, dalla vena più sentimentale, sensuale, e insieme metafisica, ma sempre segnata dalla luce immensa, intensissima, quasi dolorosa, del deserto ‒ luce di desolazione, di azzeramento, ma anche di verità e di rivelazione, di vastità, d vita che si rinnova : «En la luminosidad sobre los mares infinitos , nunca duermen la noche ni el día, ni los incandescentes danzantes eternos en los confines del mundo» ‒ «Nella luce sui mari infiniti non hanno riposo la notte né il giorno, né gli ardenti eterni danzatori entro i confini del mondo»). L'immaginario della poesia di Rojas sembra ruotare intorno ad un triplice nodo, in sé multiforme e tortuoso, di temi e di motivi: la frontiera, le vertebre, il fiume. Frontiera come barriera, come limite, ma anche come passaggio ‒ stasi e movimento dunque, ostacolo e invito ad andare, limitazione e possibilità ‒ com'è, in fondo, nella natura stessa del linguaggio poetico, che ubbidisce allo spazio e al limite del verso, della pagina, del respiro, nel momento stesso in cui li crea, li definisce, o li riplasma. E fiume-vertebre ‒ vita e morte, fluire terso ed animato, perpetuo moto, assidua metamorfosi, ma anche residuo inorganico, traccia disseccata di una vita svanita, montaliana aridità di greto e di detrito ‒ e, in pari tempo, Albero del Mondo, tramite fra terra e cielo, veicolo del teotl, dell'universale energia vitale che, secondo le cosmologie precolombiane a cui l'autore si sente forse atavicamente vicino, permea l'universo e anima la natura con il suo perpetuo trascorrere e il suo molteplice, inesauribile manifestarsi, il suo ramificarsi lungo i corsi sotterranei e le nascoste ossature chiusi nel vasto grembo del reale. Il lettore italiano percepisce, nel primo dei due testi riprodotti, una consonanza dannunziana. Eppure niente più di questa poesia, che conosce l'aridità, la sofferenza, la desolazione più prosciugata e sconsolata, è lontano dall'immedesimazione panica con una «arborea vita», un «verde vigore» rigogliosi, turgidi, perennemente rinnovati. Nulla è più lontano dall'estasi meridiana, dal rapimento dionisiaco, da qualsiasi forma di edonismo e di estetismo. Semmai, si potrebbero citare l'«albero mutilato» di Ungaretti, o il «secco greto», la «reliquia di vita» di Montale ‒ se non ci fosse, in sottofondo, il brusio soffocato del teotl, il persistere e il riaffiorare, a tratti, di una perpetua forza vitale che si ostina, anche nel degrado e nell'umiliazione, a voler vincere la morte, di una dignità che vuole essere più forte di una sofferenza iniqua, contrastare la feroce forza che possiede il mondo. (Matteo Veronesi) Contemplación De lluvia es el desierto De lluvia las ciudades que lo habitan La lluvia para ahogados de puentes y fronteras Regreso a casa También lloverá Regreso a casa Llueve de tiempo llueve de spacio Llueve de espaldas junto al de enfrente Llueve en la superficie de una gota de agua Llueve en silencio sobre el mar de fondo Y llueve entre las vértebras del río la lluvia en nuestra ropa La lluvia en el cielo La lluvia en astrolabios Llueve del otro lado Llueve al filo del agua Durante el día el camaleón se esconderá en la lluvia porque de noche solamente lloverán gatos pardos Si llueve en el desierto llana será la lluvia Contemplazione
Di pioggia è il deserto Di pioggia le città che lo popolano Pioggia per gli annegati di ponti e confini
Ritorno a casa Ancora pioverà Ritorno a casa
Pioggia di tempo pioggia di spazio Piove dietro le spalle addosso a chi hai di fronte Piove sulla superficie di una goccia d'acqua Piove in silenzio sul mare profondo E piove fra le vertebre del fiume
La pioggia sulle nostre vesti La pioggia nel cielo La pioggia negli astrolabi Piove al di là Piove a fior d'acqua
Durante il giorno il camaleonte si nasconderà nella pioggia perché di notte pioveranno solo gatti neri
Se piove nel deserto piana sarà la pioggia Repercusiones de una ciudad llamada Juárez A esas mujeres rotas Terregales de un polvo blanco que se transpira suciedad blancura de la sociedad ritmos que se injertan en los ladrillos Ciudad desubicada entre sus casas tan sola tan enteramente sola tan alejada de Jerusalén por la circunferencia de la tierra Hagamos oración por la ciudad que sangra por la mujer que espera un puesto en la maquila arranquemos los cables y mastiquemos el azufre almendrado de los coches Llegaremos temblando hoy se terminó el trabajo en la fábrica hay tres pares de ojos que me observan tienen hambre Oramos por la migración de los mojados al darnos cuenta de que nos encontramos solos entre las manchas mercuriales en el espejo se desvanece la memoria de los puentes Hablemos de esta ciudad a nuestros hijos que no aparece en el mapa crucifiquemos los brazos de este cielo con mayor derecho que el vecino Busquemos a las desaparecidas entre las aguas y sus médanos donde siempre sobrará basura Busquemos a las violadas en la construcción geológica de nuestros hogares entre las dunas blandas y su arena fresca y el calcio de sus huesos Hablemos de los latidos del puente del poco oxígeno que se respira en el minuto y medio de silencio a que es acreedor todas las noches Hacemos un círculo e imponemos nuestras manos orando por el alcohol y la poligamia rasguñamos el hielo ardiente del asfalto esta batalla en el desierto Las sombras de los ahorcados rueguen por nosotros por la fragilidad y el alto precio de una casa subsidiada escúchennos Por el segundo que separa un milenio de otro recordemos la línea divisoria el furgón en que mueren los mojados la costumbre del silencio en donde terminó el río bravo en donde comenzó el río grande Iniciamos la oración para lograr el reino de los suelos por los sueños de los sueños de los días ahora y siempre Risonanze di una città che ha nome Juárez Alle donne spezzate Lurida tempesta di una polvere bianca che trasuda marciume biancore della società ritmi che strisciano fra i mattoni Città smarrita fra le sue case così sola così completamente sola così lontana da Gerusalemme per la circonferenza della terra Leviamo una preghiera per la città che sanguina per la donna che cerca un posto in fabbrica strappiamo via i cavi e mastichiamo la mandorla sulfurea delle macchine Arriveremo tremanti oggi è finito il lavoro alla fabbrica ci sono tre paia d'occhi che mi fissano affamate Preghiamo per la migrazione dei pezzenti mentre ci accorgiamo di sentirci soli fra le chiazze di mercurio sullo specchio si dissolve la memoria dei ponti Parliamo ai nostri figli di questa città che non compare sulla mappa inchiodiamo le braccia di questo cielo con più certo diritto del vicino Cerchiamo le scomparse fra le acque e le dune dove sempre regnerà la spazzatura Cerchiamo le stuprate nella geografica costruzione delle nostre case fra le dolci dune e la sabbia mite e il calcio delle ossa Parliamo del batticuore del ponte del poco ossigeno che si respira in quel minuto e mezzo di silenzio di cui è degno ogni notte Tracciamo un cerchio e stendiamo le nostre mani per l'alcol e la promiscuità grattiamo il ghiaccio ardente dell'asfalto questa battaglia nel deserto Le ombre degli impiccati preghino per noi! per la precarietà e per il prezzo di un alloggio popolare ascoltateci! Per il secondo che divide due millenni ricordiamo la linea di confine il cassone in cui muoiono i pezzenti l'abito del silenzio dove il rio bravo ebbe inizio dove il rio bravo ebbe fine Diamo principio alla preghiera per guadagnare il regno della terra per i sogni dei sogni dei giorni ora e sempre
Id: 27003 Data: 21/08/2014 19:51:18
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