I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
*
Come se tu te ne fossi andato da un momento
Ecco lo sguardo in punta di piedi. A un passo da me. Suoni fitti densi - puntellano l’aria. È il magma del mondo che muore sincero, un fiore abbattuto, lo stemma impolverato delle persiane di fronte, sotto ai miei piedi. Vola tutto, lieve - stridendo geme, via dalla finestra, dal mattone, dalla città, quello che io so di te, le congetture, gli spazi nulli di un incontro che batte come un orologio globale, tutto è per un momento fermo, tutto è per un momento fievole brina - aria che è goccia sulla mia fronte, tu che prendi un’altra strada, io che torno a fissare la mia.
Di nuovo occhi bendati, per me; il sussulto è durato poco, e per caso sapere che si è in vita. Ora sarai per scendere dal treno io rivivo il vagone che parte dieci, cento volte: qualcosa stride - le rotaie, l’aria, qualcosa di te che mi è rimasto intorno - e per me sarà sempre come se tu te ne fossi andato da un momento.
Id: 36429 Data: 21/02/2016 11:33:49
*
La caterva del silenzio
A sbirciare il tepore maldestro della mia stanza sta una lente lontana, occhio di un vecchio che si finge storie: le tiene in grembo fino a maturazione, le spezza, le offre - lui, aedo gentile, messia di strada - senza prezzo alcuno alla gente incauta che con labbra sdegnose lo scaccia - vedono solo cartacce in quei pezzi di vite, mozziconi spenti, e farci caso sembra roba da pazzi - gente che scivola in direzioni opache, cani detersi ben addestrati a traiettorie collaudate, che non spaventano più. Ma sussurra il vecchio - ed io, via, mi fido - che sotto al pelo e alle zanne dorme un rorido nòcciolo goffo, il ricciolo di un bambino, che si vuole a tutti i costi camuffare - chi lo sa poi cosa siamo disposti a sacrificare pur di sentirci al sicuro. Da che parte andrà mai la mia angustia - questa spina di forma bislacca, la mia miseria - che mi ritrovo a farmi da balia, la sera, mentre cuocio sul letto sudato d’estate, mentre il caldo mi asciuga il tempo rimasto, e non so più se sono io o una storta chiazza di quel che volevo e che non sono capace di diventare, avulsa dalla storia che di me si racconta, protagonista sgraziata sempre di corsa tra un rigo e l’altro in attesa che prima o poi qualcosa accada, ed esposta ai cambi di trama, ai colpi di vento di questa penna d’oca che sfugge ai cercanti come un odore sotteso, una postilla, una chiosa che gracida dentro l’erbaggio e non alza la testa. Quanti sono i narratori e dove dorme la verità: domande mal poste che meritano niente di più che un eco siderale, di perdersi nel vuoto là dove sta la memoria di cosa è o non è stato - non fa differenza.
Id: 32691 Data: 26/05/2015 12:50:06
*
In un preciso momento non determinato
“Per dove si va?” ha chiesto la donna tedesca col cappello a larghe tese, bizzarra cadenza e occhi lucidi di rapace - potesse arraffare queste strade belle porticate come un sincero palpitare dell’asfalto al sole - ha fatto un giro su se stessa e messo in moto gli altri: San Petronio è il grido di battaglia e la sosta eterna di lunghe peregrinazioni. Forse anche Odisseo rincasò a San Petronio,
poi Polo e i clerici vagantes, perché tutti vi fanno ritorno prima o poi, ruvidi dal viaggio, volenti o meno, a lei o a qualche altro mattone, la vedono titana e altro non si può che entrare. Mondo a occhio di bue e cielo carta velina: non lo dico io ma gli occhi di un bambino che srotola fantasie come la corda da limbo sul pavimento della piazza, e ci fa inciampare tutti, me ne accorgo dallo stralunare degli occhi dei passanti. Ci fa vedere che oggi è soleggiato, poco vento e nell’aria sempre lo stesso mistero, sempre la stessa carenza di logica narrativa, con l’illusione di essere cresciuti, di capire più di ieri e meno di domani, ma a naso è una frottola del cervello, che a tutti i costi chiama ragione e invece è buio: lattiginosi fatti che non accadono se non li veniamo a sapere, e persone semoventi che potrebbero - a quanto ne so - essere l’ultima trovata delle nostra industrie. Va bene così, ho indugiato anche troppo e Nettuno mi indica con piglio da guardiano: “la piazza è suolo pubblico e tu la derubi di troppi pensieri.”.
Id: 31238 Data: 12/03/2015 08:14:29
*
Una freccia
Non sono uscita indenne da questa casa, dai suoi rombi di marmo freddi per i piedi di una bambina, e anche che ci fosse sempre poca luce non era un bell’affare per occhi sempre affamati com’erano i miei - forse ora ho perso quel vizio, e mi avrete addestrato alla fascinazione dell’ombra. Tutto in buona fede: non abbiate remore, non pensiate - davvero - che abbia molte riserve o che rimugini spesso sul vostro rigore da patriarchi e sull’educazione quadrata, anche se ho cercato ogni tanto di disegnare sui muri, di indicarvi da che parte andavano i miei piedi, zoppicanti perché le cose che ci instillano da piccoli rimangono come terreni difficili da battere, dove nascono alberi vecchi che raramente fanno per noi. Vi prendo nel vostro sorridermi anche se molto è stato sepolto sotto questa pace pacchiana e molto è di volta in volta taciuto perché via, è meglio così: a cosa serve dibattere strillare - aderire non è meglio, non è meglio a tutelare? Belle le vostre mire, per carità, ma mi sono poi scansata per la paura di essere altra da me. Abbiate pazienza: sapete, preferisco cercarmi sulla via di Nessuno.
Id: 31171 Data: 10/03/2015 08:30:16
*
A chi manca il momento
Chissà se le cose possano rimanere le stesse dopo una parola di troppo e una confessione arrischiata marcita per lungo tempo sulla punta della lingua e finalmente sputata. Adesso che ci guardiamo siamo più stranieri l’uno all’altra e ci fissiamo come a voler pescare un che di familiare in occhi alieni. Ma all’amo abbocca poco - qualche alga, forse, così per caso. Temporeggiare credendo che non arriverà mai il momento, con la pretesa di mettere in pausa la vita intera, nello spazio di una bella risata mentre i nostri passi riempiono il portico e si sindaca su cosa sia rivoluzione, su cosa sia già stato detto, su cosa manchi all’appello, su che direzioni prendere per rispondere all’illusione di distinguerci, di essere esemplari rari. Certo tu lo sei per me e forse anche viceversa. Ma com’è banale il decorso di quest’amore: adesso non si può, ma chissà se si abbia voglia di aspettare, di verificare - sai, col tempo - la tenuta delle nostre promesse. Forse sei un po’ troppo alto e quando t’abbraccio non basta che mi sollevi sulle punte. Forse prendo tutto troppo sul serio ed è meno divertente di quanto ti aspettavi. Prima di dormire mia nonna mi raccontava di Euridice. “Orfeo si gira al momento sbagliato; sentiva il profumo delle sue trecce. Tutto per volerla vedere, d’un tratto…” “No, no!” scalpitavo - che strazio ascoltare. Sarà, il tempismo, una favola per bambini? Io esito a voltarmi. Ora che mi guardo, non sono neppure su una barca: ho l’acqua alla gola. Però lo sento il tuo profumo. Tutto per volerti vedere. D’un tratto…
Id: 31126 Data: 08/03/2015 21:16:30
*
A parvo usque ad magnum
Basta con questa rabbia cocciuta da scimmie, proviamoci anche se siamo abbastanza certi di fallire. In fondo non ci è riuscito mai di diventare noi stessi né di capirci per bene, se non per i cunicoli degli occhi e i tocchi delle mani: più svelti loro, senza indugi, abili a riconoscere le forme senza pensarle; si capiscono in fretta, senza le sillabe amorfe e brulle che ci intasano il tempo. Tempo perso quello di fuga, il lasciar stare perché «Domani - forse - sarà passato». Non so se ci perdoneremo questa miopia viscida e mentirosa, se giocheremo ancora a "Torto e ragione": siamo assediati intanto da un nemico comune, che feroce come pochi chiuderà il sipario, un giorno o l’altro. Non abbiamo tutto il tempo del mondo, perciò faremo così: ci racconteremo che abbiamo fatto bene, che non c’era poi tanto da dire, che ci avevamo visto male, che di amori ce ne sono mille altri. Buonanotte, dunque, a noi che si nega che si è fatto buio: sogneremo di stringere redini vive, ma saranno le nostre abbozzate discolpe. Ci sono stati, sai, altri Alessandro, altri Napoleone, e prima ancora altri Socrate e Cicerone; ci sono stati altri pianeta Terra, altri noi stessi. Ma l’universo inghiotte tutto nella sua forma strana, e la vita riconduce a polvere, e nella polvere puoi scorgere l’acqua antica, e due che fecero finta di niente, proprio come noi.
Id: 29492 Data: 25/12/2014 21:50:14
*
Sotto il terriccio
Ancora questa noia grumosa e questa nostalgia sfilacciata, e di buono nell’aria c’è solo l’odore di castagne, solo l’odore del freddo collinare che fa la voce grossa, ma è in fondo solo una nebbia rancorosa, e nasconde un’estate che è ancora lì e si sente bene: strepita forte sotto il terriccio bagnato. Lo dicevi tu che ogni stagione è estate, finché si ha tempo: sorprendente, per me, quella fiducia che diventava spesso sgangherata, tanto si accoccolava alle cose barcollando in preda a una paura strana, di morire. Quando è possibile aderire all’incessante cuore delle cose - e ogni tanto, abbiamo visto, si può - si sta bene. E si apre in noi un che di saggio, di vivo, una pace lunga come l’eterno, insensibile ai giorni e alla Storia, un tepore di chi torna a casa dopo anni, e riabbracciando la propria madre scopre che basta poco a sospendere tutte le condanne che si è inflitto, le storpiature che si è addossato, che insomma abbiamo a disposizione un modo di vivere molto migliore di tutti quelli escogitati dall’ansia di vita, che coglierlo è semplice e rarissimo, quanto allungare le dita sotto il brillare imprevisto dell’alba.
Id: 29191 Data: 07/12/2014 11:32:44
*
Ultime notizie
S’è allentato ancora il fusto dell’esistenza mentre noi ci perdevamo a investire su crediti e grandi speranze. Tu ancora hai fiducia in me, e sei prodigo nelle dolcezze e nei sani propositi, ma anche tu come me ti asserragli nel biondo tepore della buona stagione, tu - cicala che stride - non credi che le minacce vengano per nuocere e pensi che le brutte notizie possano toccare solo l’altro emisfero, o l’altra costa o la città limitrofa - dove, comunque, non hai intenzione di andare. «Altrove» dici, parola d’ordine del tuo abbaglio, che delega al lontano e al passato la lordura del mondo. Un mondo immanente, tuttavia, che urla impaziente: bertuccia ammattita, si fa il segno della croce e rimpingua gli arsenali. Vendon bene gli ordigni, meno le arti, meno i buoni proponimenti, meno la pace e le storie sul cuore: se lo mangiano crudo, il cuore del mondo, se lo pappano ingordi - è gente perbene, questa: addestra i figli alla libertà (loro, però; non altrui), mentre lucida la carabina in salotto. Non son nata scettica, giuro, né col vizio dell’utopia: ma debbo sapere che alla resa dei conti ricorderà l’umano di avere umanità, questa bestia sacra salita sull’altare sbagliato, con la voglia di consacrarsi al dio del massacro. Per fortuna stasera Fabrizio festeggia i suoi ventuno, i compagni sono allegri e il Sauvignon sembra un Acheronte: ribolle dei nostri vivaci spiriti, più o meno confessabili, tutti - o quasi - assolvibili. Siamo curiosi dell’altra riva ma ancora di bragia non se n’è vista: attendiamo l’alba e - se di mezzi non ce ne danno - andremo a nuoto.
Id: 29037 Data: 28/11/2014 15:12:16
*
Lalieno integrato
Io vengo dal mare a vedere queste case rotte e questi atri aperti, città lucenti e plastificate. Ci guardo, noi, nutrite stole di benpensanti puliti, garbati ma devo dire vanesi, oltre la misura che la natura ammette. A forza di aggirarmi per i deserti ho perso la mia modica linfa: ne raccatto un po’ di rado, quando per caso incontro un volto vero, scoperto, che si mette sotto al riflettore non per narcisismo né per confessione, ma così, per franchezza, perché c’è in giro una solitudine che ammazza, e bisogna un poco scostare la tenda per evitare di finire al forno insieme ai nostri orgogliosi scalpi. Noi due siamo ancora qui a raccontarci balle, troppo umani per giocarci le nostre riserve e scommettere sul bene di entrambi. No, molto più d’effetto il lamentarsi nel nostro crogiolo d’errori, che ormai hanno l’odore di abitudini rozze e incancellabili che solo a pensare di smantellarle sembra di puntare alla luna. Ma chi ci pensa, poi, agli astri, noi che va già bene quando inciampiamo in un po’ di autocoscienza - buona, quella. Ma che fatica riconoscere noi stessi (e gli altri poi non ne parliamo), che fatica capire che non siamo sotto a nessun cielo, e che le stelle a cui piangevano gli antichi stanotte, a Bologna, non si vedono neanche: il cielo è sanguigno e sogghigna, lampeggia ogni tanto per il solo gusto di fare paura, ma ormai se n’è andato da un pezzo il tempo in cui tutti, anche i bambini, tremavano davanti al temporale.
Id: 28883 Data: 22/11/2014 17:01:41
*
La curiosità melmosa
Se ancora tu starai aspettando una parola gentile una pacca sulla spalla o un sorriso complice, da parte del tuo tempo accidentale, quello che ti è capitato per caso, lascia stare: c’è da conquistare la fortuna, da corteggiare il caso, che è una primadonna e di far concessioni non le importa. Dicono che ci sia un solo modo di vivere, uno per tutti e che non abbia a che fare col vedere tutto, sentire tutto capire tutto - che a ben guardarlo sarebbe un prospetto un po’ superbo. Dicono che sia meglio la contemplazione e che la bella gioia la si trovi - sia il colto, sia il popolano - nel momento del risveglio, nel bicchier d’acqua dopo la sete nel divano di casa nel vedere che tutto è come lo abbiamo lasciato ma non pesa, anzi ci sgrava dal timore che il domani possa essere alieno. Ci atteggiamo a intellettuali ma siamo poi tutti animali da cortile, e abbiamo imparato a farci piacere le palizzate e qualche palla sgonfia. Perché - vedrai che è così - ci bastano i sogni e qualche scommessa ogni tanto; ma più no, solo in teoria. La pratica è semplice: è solo il postino che bussa all’ingresso, buone o cattive nuove che siano, e noi che annusiamo il prato perché è adesso primavera, e basta che ci sian due crocchette, magari un po’ di terra da scavare, e io dico che siamo a posto: ci contentiamo dei nostri trastulli, e va bene così. Chi voglia ampliare l’angolo dell’occhio accorcerà di molto la lunghezza focale: quanto più del mondo vorremo capire tanto più nel fondo rimarremo invischiati. Impelagati ben bene, mi pare, ma il capriccio del sapere non ce lo toglie nessuno. Sarà che solo a noi piacciono le sabbie mobili, ma hanno detto - πάθει μάθος e qualche cosa del genere - di stare tranquilli, che si respira anche sotto.
Id: 28841 Data: 21/11/2014 00:39:30
|