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anniversario Pablo Neruda
ODE PARA PABLO Se guardo il tuo volto il tuo corpo Di maschio ben costruito Mi chiedo dov'è il canto La passione la preghiera cosmica Laica terrestre al Padre Bolivar Alla Madre Terra PACHAMAMA. Sacerdote terrestre d'una dignità Che non ha più testimoni Sono qui a raccogliere quelle parole Che ora suonano strane, Ora che gli uomini hanno imparato a rinunciare. Dormi tranquillo grande poeta Amico e amante di ogni cosa Anche per te risuonerà Il più grande di tutti i canti: un Figlio di uomo tornerà Egli sa che chi ha amato Anche per se stessa La creazione immemore Non resterà senza ricompensa. E allora sì, Per sempre verremo per cantare.
Id: 5368 Data: 23/09/2010 13:45:46
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l’approdo »
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mare maestro »
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Croatia 2008 »
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Dialoghi a bocca chiusa
Le prime di queste quasi poesie sono nate nel dialogo – parlato e letto-scritto - con tre grandi poeti e poetesse, delle quali riproduco le poesie o parti di esse, indicando l'autore. Si tratta di Luciana Stegano Picchio che mi onora da anni della sua amicizia e del suo affetto, scomparasa alla fine di agosto. Armindo Trevisan, il più grande poeta “gaucho”vivente che ho avuto l’onore di ospitare nella mia casa a Firenze dopo tante serate nella sua splendida Porto Alegre, conversando di arte poesia religione politica nella Libraria E’ Cultura. La terza è stata scritta per equilibrare lo choc prodotto dall’incontro con Rio de Janeiro, città mitizzata nel mio immaginario e infine rivelatasi molto oltre ogni immaginazione. E’ stata scritta uscendo dalla casa di Affonso Romano de Sant’ Ana, grande poeta brasiliano nonché direttore della Biblioteca Nazionale Brasiliana). Le altre che seguono sono giochetti di significato che divertono l'adulto dopo le cose serie: l'attenzione all'universo femminile, il navigare senza motore, cantare con la memoria accesa.
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La verità non c’è Perché c’è solo l’interpretazione Non c’è il bello ma il gusto E la poesia più bella È quella Che ci ha dato Il quoziente maggiore d’informazione
Siamo soli nel caos Senza leggi e modelli
Nostalgia di un dio Oltre la nostra idea di dio
Nostalgia di un amore Oltre la nostra esperienza dell’amore
Nostalgia di cantare in coro La canzone Da trasmettere ai figli (Luciana Stegagno Picchio)
Ti porto a braccetto Nel corridoio della tua casa romana - Verrete sì, ci andiamo in Liguria? Tra quadri del seicento –li voleva lui, gli piacevano tanto! – Nei passaggi liberi dai libri. - Incontrarla è come entrare in una città - Dicevano i miei amici E per le strade nelle stanze Apparivano Calvino Jacobson Levi Strass, Si erano fermati Ungaretti Murilo Vinicius…
Che cosa volevi, Luciana Girovagando da una stanza all’altra, comunque sorridendo e afferrandoti al mio braccio. Poi ho capito: da me da noi vuoi solo essere accompagnata fuori Da quel labirinto di parole Che a me piaceva tanto
------------------------------- In una qualunque città del mondo Ritroverai te stesso. Basta Che dimentichi, per un momento, la tua lingua La tua famiglia che abita altrove. La città che visiti è per te il mondo, il cielo, la notte, il giorno, principalmente l’amore. In una qualunque città del mondo puoi essere triste o felice, ma in modo diverso (Armindo Trevisan)
RIO troppo velocemente siamo scivolati in questa foresta che somiglia ad una città' che vive ancora nel ritmo immobile dell'utero di Abya Yala della terra senza tramonto con i bambini sulle spalle o sporti sui fianchi arrivavano senza stupore a queste lunghissime spiagge per immergersi nella fonte della fertilità, Carioca...
Adesso coqueiros e banani sono i portici sotto cui scivoliamo nella notte di pioggia calda Avenida Vinicius de MOraes botequim Garota de Ipanema gli appartamenti dei ricchi sogni tappezzati di legno d'ogni specie stanchi epigoni del modernismo disprezzano la feijoada ascoltando Bach mentre dietro l'angolo si sale alla favela ma il buraco quente non e' la porta della citta' di Dite, apre verso un altro mondo dove un'altra storia sta nascendo prima o dopo il moderno non importa più
...Come faccio a dire la nostalgia di averti lasciato senza averti conosciuto, Rio de Janeiro? *** Una e molteplice come la creazione aperta e chiusa sotto lo sguardo del Demiurgo fotografia e anche pellicola racconto immemore ed istantaneo riconoscimento di ogni scandalo e grandezza della storia; utopica e concreta come il desiderio degli uomini che pure vollero qua sopra l'abbraccio placido del Redentore.
Non si finisce mai di guardarti sapendo di non poterti possedere, inizio e fine, genesi ed apocatastasi, Corcovado e Redentor terribile e meravigliosa, Baia di Guanabara. -------------------------------------------------------- A cena con Armindo e Cleuza, a Lucca
Lo pensavo dopo averti letto Pavese in una buona poesia deve esserci tutto, almeno un inizio ed una fine – ti pare poco?
In realtà ci vuole una veglia prolungata Attesa e preparata che spalanca i sensi E li apparecchia per la Cena Che poi si consuma accesi i lampioni In questa città piccola come una casa che si traversa col cuore quieto per il sapore che hanno la sera i fossi e le foglie
il vino il pane della fraternità
con gli uomini e le cose.
------------------------------------ Genere femminile Sono come velieri Scivolano leggere e forti incomprensibilmente verticali Sopra al traffico tra le vetrine. Passando alzano un vento Che fa bene alla vita. Gli angeli non resistono A quel passo a quel ritmo Si arrendono senza parole Ogni volta Come di fronte al terzo giorno, Alla dolcezza con cui Il nostro gentile Signore Dopo averci fatto addormentare Dolcemente sulla croce quotidiana Estrae giorno per giorno Una nuova Eva.
---------------------------------------- Surfismo zen Non so più Se è una lastra di piombo O il dorso d’un cetaceo primordiale Quest’ACQUA Che cambia colore con lo sguardo Lascio che i cavalloni mi sommergano E continuo a navigare Quieto appeso con le braccia – adesso sono su un trapezio - mi giro ancora una volta verso terra E non la riconosco. - sento un suono da dentro Da dove proviene il respiro ma la paura non ferma più il mio corpo. Era l’anima dell’anima
nascosta e custodita
dal movimento
che per un attimo
mi ha fatto
MARE
----------------------------------------------- Noviembre Hoy en la tarde despues del temporal mientras que el sol tocava su final yo entrava en las olas del Tirreno pero ellas tenian el color tempestoso de la Plata y ahora soy yo que canto siempre la misma rima elementar: "Deseo, mire donde mire te veo"...
Id: 924 Data: 09/09/2008 12:18:13
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Epifanie labroniche
1.
Pomeriggio, agosto di vento: non si naviga solo per spostarsi ma per entrare nel tempo. 1.2
Viale Il mare Un grido di gioia Un sorriso sconfinato La pelle fresca sotto il vento Ma è nell’attimo Che io voglio IO VOGLIO entrare dentro. 2.
Giardino di lecci, mezzogiorno immoto di cicale lo stemma Dè Medici dimenticato sulla chiesa sconsacrata, a Livorno si offre solo il frammento. Ma tutto è sacro nello spazio ritrovato 3. In Villa Fabbricotti tra i busti dei Granduchi Sul viale dei cinque anni Crescono le palme di Montevideo… Oppure è stata colpa della Villa Se sono morto di nostalgia Per le palme di fronte alle ramblas? 4.
Passo davanti alla vecchia costruzione della Biblioteca dei Ragazzi. Per me ogni racconto nasce da lì. D’autunno sono le fiabe di Andersen, poi, d’inverno, la sera scende presto tra i platani e si può iniziare Dickens con tutta calma. La tarda primavera si annuncia con Tom Sawyer e, soprattutto, Huchkleberry Finn… Ma d’estate è la volta del più forte di tutti. Occhieggia tra le ombre dei cespugli, si nasconde appena entri nel vialetto, finché, alla fine della mattina, se sei fortunato, Il Cavaliere dalla Triste Figura esce fuori da un bosco di lecci . 5.
Pomeriggio d’agosto senza tempo…Alla televisione ci sono i campionati d’atletica leggera, Subito dopo imitati e reinventati con gli amici in cortile … Le Olimpiadi rinascono ogni estate, anche per le strade di una città di mare del tardo miracolo economico. 6.
Parterre
Perché mi aspetto di vedere Cesare proprio qui attendere la sua ballerina sulla panchina di fronte? Forse non c’era niente da fare In quell’angolo di sogno esotico dietro l’ospedale, dal muro si vedevano i resti del dopoguerra e mio nonno mi apriva le strade spingendo la bicicletta.
Id: 71 Data: 05/12/2007
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Da un evo prossimo venturo
“Che l’Alto Medioevo sia in effetti il periodo al quale potrebbe meglio adattarsi il volgare e tranquillizzante luogo comune di “età oscura” è cosa ben conosciuta. Forse meno conosciuto – e parimenti meno tranquillizzante - è che la ri-evangelizzazione e la ri-umanizzazione del continente europeo sia in buona misura ripartita da Ovest, dall’Irlanda, la provincia più lontana dal centro dell’impero e della Chiesa d’occidente”.
Segni in forma di lettera da un evo prossimo venturo
Non ne ascoltammo i richiami dal Sogno - come Paolo invocato dal Galata - Né tantomeno un comando umano ad inviarci; dai nostri monasteri s’ intravvedeva l’Oceano e la fede discese nella pietra – si può dire – bell’è pronta, come la Sposa dalla Gerusalemme Celeste. Non affrontammo eresiarchi né lotte fratricide, La semplicità del Simbolo Conquistò le nostre menti e, forse, cedemmo all’orgoglio quando si seppe che Roma giaceva come fonte distrutta alla quale si abbeverano i cinghiali, che le terre tornavano incolte e le macchie dell’Appennino si riprendevano le Pievi; gli uomini – come il Figliuol Prodigo – tornavano a nutrirsi di ghiande.
Per questo partimmo – a due a due – Mentre il Coro intonava gli INNi Nella lingua che ricevemmo. Fu breve il passaggio di mare -Il caos imprigionato tra due rive- e poi pianure, fino alle Alpi. Non scegliemmo la pianura Ma l’apertura di una valle Scoscesa e fonda ricca di acque E forre e nebbia.
Adesso che vedo la gran macchina del Ponte Scavalcare con fatica le acque tonanti Lascio che sia esso a parlare Per i secoli della dottrina che ascoltammo, la più piccola di tutte il granello di senapa che germogliò l’albero della Sapienza. Poi furono pietre sui pietre Parole con parole e canto e colore di mosaico tratto dal fiume ad illuminare la cripta. Ricacciò nel fondo dei boschi i mostri e le fiere, la gran forza dello scaturire fu in parte racchiusa e utilizzata, il Caos ordinato come nei Sei Giorni in spighe e grappoli e animali ben governati il tempo riprese il suo corso in giorni e stagioni.
Ora sono io, Attala, a parlare senza bisogno di parole perché quel che ho da dire lo diranno per sempre questi segni – come parole incarnati nella pietra che sigilla il mio corpo: questo è ciò che può nascere dal seme della Parola a tal frutto è chiamato l’uomo che sposa la Sapienza.
Hic sacra beati membra Miani solvuntur Cuius caelum penetrans, anima….
Nella Chiesa di San Francesco, dietro l’Abbazia di San Colombano
Un buon profumo di rose Come altare di legno Pulito da mani amorose E unto da cera d’api…
Non so da dove è entrato O forse sono i tigli del giardino… Comunque non basta a spiegare L’incontro; La rosa l’altare La cera il profumo, Sono rosa profumo Cera e altare Perché sono parte Di Te.
Id: 70 Data: 05/12/2007
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Febbraio 2004
Per Hrvoje, Forse qualcuno ci arriverà dopo infinite macerazioni - alloceano del silenzio - allaleph al punto matematico al centro dogni luogo
.... Io per me
via dalla paura sono sgattaiolato tra istante e istante incerto sul marciapiede ogni mattina felice daver acchiappato al volo unaltra volta lautobus o soltanto perchè mi avevi telefonato. Stasera ci sono entrato senza volerlo: da destra ho smesso dascoltare il megamicrofono con le bocche che urlavano - aggettivazione eccessiva - a sinistra chi mi consigliava altri luoghi ed altri spazi: ho solo guardato le istantanee del tuo racconto - le luci nella notte del bombardamento - - una bellezza improvvisa e inutile - nel cuore del continente che muore - e siamo entrati insieme nella notte fredda e adesso la parola fluisce.
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Dossologia della seconda dopo Pasqua Stamani, nella chiesa abbandonata inondata di sole dopo il lento lavacro delle preghiere Il Tuo Corpo sapeva di giglio marino e mha inebriato. Io ti portavo senza saperlo il sapore dellisola il cisto il lentisco lagro del sudore ed il fuoco della notte nei panni. Fuori il mare era tutto fresco di vento e ora non conto più i giorni e le ore.
* Luglio al Cavo
Sete di azzurro fondo Di verde controsole Di macchia di scoglio
Fame di alghe di profumo Di pesce
Forse sei Tu Che mi dici Dal fondo di ogni attimo bevuto senza fretta:
“Sono Io che desidero mangiarti e lo farò molto lentamente usando tutta la tua vita, fino all’ultimo pezzetto”.
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8 luglio
Lo scirocco ha picchiato tutta notte e solo la luna emergeva da un mare di nuvole agitato. Poi, il giorno, la vita del piccolo paese prende altre strade, la gente sparisce, assorbita da occupazioni misteriose, telefona, scrive, aggiusta oggetti dimenticati, o semplicemente si permette il lusso di perdere un giorno di mare…
Qualcuno, terminate le incombenze domestiche, lascia i propri cari a dormire sonni agitati nelle stanze ombrose, e mentre gli altri stanno al chiuso, lui è fuori, al vento, solo con un vecchio costume indosso… Poche gocce di pioggia, l’acqua del mare di qualche grado più fredda, plumbea e profonda.
Si nuota a favore e poi controvento, il vento teso liscia la superficie dell’acqua e da dietro la punta lo vedi alzare piccole creste bianche.
Ci si asciuga su di uno scoglio, senza sole, col vento in faccia.
E si pensa alle partenze, quelle immediate, al sapore dell’imprevisto che abbiamo assaporato e che non ci ha sfamato abbastanza.
E si ha paura di restare intrappolati in un meccanismo perverso nel quale, come in un gioco di prestigio eseguito troppo bene, si sveli – OPLA’ – l’io prestidigitatore.
Eh no.
Abbiamo imparato a navigare con un altro spirare.
La voce dell’Altro, di ogni altro, il nostro richiamo.
Il silenzio e l’attesa i nostri unici mezzi.
La certezza del dolore come compimento.
Il volto dell’altro: l’orizzonte dell’arrivo.
Ci si rituffa un po’ infreddoliti e si ritorna a casa.
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Paraclitus
Abbiamo visto il terrore Trascorrere sulla macchia Come un colpo di vento Lo zenith del sole Suggerire la fuga. Apollo ci ha colpito nel tardo pomeriggio e lo abbiamo visto da una rupe di vento riunire con lo sguardo le onde e le ombre di una cala immota.
Tutto questo lo abbiamo già conosciuto, vero mistero è Colui che resta accanto a noi quando noi non sapremo più dirci colui che resiste accanto alla Negazione è lo Spirito che riempie le nostre vele quando tutto è perduto Quando il nulla di noi Creato, voluto O perfino subito Lo chiama: l’immanenza di Dio - la nostra libertà –
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18 luglio
Ci siamo accorti della massa enorme di granito che ci soverchiava soltanto dopo aver doppiato il capo. La giornata era calda, ventilata da una forte brezza da sud. La parte meridionale dell’isola è dominata da queste masse di roccia e da una vegetazione tipica di zone aride. Solo gli oleandri, qua e là, spezzano il colore calcinato delle pietre. Il mare è subito fondo, di quel blu scuro che soltanto luglio ed il vento di oggi sanno far risplendere. Torniamo controvento e ri-doppiamo il capo, proveniamo da nord ovest e tagliamo le onde di traverso, più ci avviciniamo al capo più le chiglie vengono alzate e spostate dalle onde, mentre le nostre pagaie correggono la traiettoria quasi ad ogni colpo. Il vento si è incaricato di incrociare questo doppio – in realtà molteplice – movimento spostando le greggi di nuvole addosso al monte ed ai massi calcinati che si innalzano verso la vetta di questo versante, fino a afrangiarsi, chissà, appena arrivate sul continente.
Solo ora ci penso, così mi piace vivere e vedere il mondo: contemplare il movimento muovendosi noi pure.
Solo questo ci avvicina un po’ alla meravigliosa e terribile avventura del reale.
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Kouros
Vengo dall’Arcipelago di acque trasparenti E fondali di roccia Attraversando Un oceano di paglia Fango e fracasso Nel diluvio nel traffico Di Montevideo Sei apparso Salendo le scalette dell’omnibus Con i ragazzi del liceo Il turno serale Poco più grande di loro Bello come un kouros Un passo appena avanti Senza impermeabile Reciti a voce ferma La litania delle cose che vendi Caramelle dolci cioccolato E non c’è poesia più vera…
Per quanto ancora ti resterà sul volto Questo sorriso di stasera Che è un coltello nell’intimo Un dolore sottile addormentarsi con le luci di Montevideo e le nuvole sul porto?
Ragazzo del Sur La tua dignità non vale il nostro mondo intero.
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15 agosto
Oggi è domenica Tutto mi dice questa cosa così semplice e palmare una domenica australe. Saluto Jemanjà sulla spiaggia della Plata, ci siamo allontanati poco in canoa verso la piccola isola immersi nell’ acqua scura rimescolata poi tamburi e danze per le strade di questo inverno australe
Io sono Acqua, spiaggia, cielo, casa bianca sono Mare Atlantico, vento e America sono un mucchio di cose sante mescolate con cose umane - come faccio a spiegarti? - cose del mondo Sono stata bambino, culla, seno tetto, coperta ma anche terrore, spettro, grido, pianto dopodichè mescolarono le parole oppure sono sfuggiti gli sguardi qualcosa accadde, non capii più nulla! Andiamo, dimmi, raccontami tutto quello che stai passando ora perchè sennò quando la tua anima sta sola piange, devi tirare tutto fuori, come la primavera nessuno vuole che dentro di te qualcosa muoia ! Parliamo guardandoci negli occhi tirando fuori quel che si può, e dentro nasceranno cose nuove! Sono pane, sono pace, sono di più di colei che sta qui non chiedo più di quello che vuoi dare oggi, oggi dai, domani prendi, come si fa con le margherita come il mare, come la vita la vita LA VITA! Andiamo, dimmi, raccontami tutto quello che stai passando ora perchè sennò quando la tua anima sta sola piange, devi tirare tutto fuori, come la primavera nessuno vuole che dentro di te qualcosa muoia ! Parliamo guardandoci negli occhi tirando fuori quel che si può fuori, e dentro nasceranno cose nuove! (Mercedes Sosa) *
22 agosto
Ma chi sei tu mistero di occhi e terra e oceano che non mi lasci partire che stanotte non mi lasci dormire? Il sangue e il grito Le lacrime trattenute Il sapore amargo La stretta di mano Di una passione che – ritrovata nel fondo di un tempo che pareva perduto - non credevo Di conoscere così bene … Ho solo lasciato che entrasse E adesso s’è presa tutto di me. Così sia.
Id: 69 Data: 05/12/2007
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