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Raccolta di poesie di Franco Marchetti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

non ti puoi fermare

nel silenzio scende una carezza sul tuo volto,

dolcemnte ti volti a guardare

il volto amato è a farti compagnia,

ti rifugi in questa illusione, sapendo che

andrà a scomparire lasciandoti le

quotidiane angosce lasciandoti a soffrire.

nel silezio scorgi i tuoi sogni e le tue speranze,

autostrade per sfuggire alla quotidiana realtà,

diritte e veloci volano via, ti lasci trasportare

non ti vorresti mai fermare.

i ricordi ripone lentamente piano piano

il rumore della realtà compare, solo nei tuoi occhi

ancora rimane la carezza del tuo amato amore

ora tutto attorno a te ruota ora è la vita quotidiana

che devi accudire. non ti puoi fermare.

Id: 9683 Data: 17/08/2011 14:56:54

*

per tornare a sognare

voi che ve ne state appollaitai

sugli scranni del potere

urlate che nulla più si può

fare.

predicate sacrificio e sobrietà

voi che ve ne state appollaiti.

in comode poltrone, decidete

chi ricco lo rimane e chi scompare

ma voi sempre li siete.

voi che parlate a nome nostro,

sacrifici i cittadini debbono fare,

dopo che in questa strada ci avete

portate ora lasciate a noi il faticoso

cammino nella melma, col passo pesante,

sapendo che pochi arriveranno in cima.

voi che ve ne state con le mani in mano

a lamentare e inveire, senza nessuna

iniziativa da perorare sapete solo urlare

noi che non vogliam perire dobbiamo

continuare in questo canto di disperazione

e ribellione per poter tornare liberamente

a sognare

Id: 9614 Data: 09/08/2011 23:01:46

*

siedi

siedi e lascia passa la giornata,
lascia che la malinconia
e la solitudine,
vadano per la loro strada,
amiche di un viaggio senza meta;
vivi il ricordo nel tuo sorriso,
il cuore sarà sereno
e solo allora
sentirai
il fragile tocco
del tuo sogno,
delicatamente ti avvolge
e insieme continuerete
il lungo viaggio.

Id: 9562 Data: 06/08/2011 09:12:03

*

Il sentiero

Scese piano da quella collina, giù per il sentiero che l’avrebbe portata al suo paese. faceva ogni giorno quella strada, eppure ogni volta scopriva sempre qualcosa di nuovo. Uno scorcio della collina di fronte a quella che percorreva, degli alberi che non aveva notato, o semplicemente alcune pietre di un colore particolare, diverso dal normale colore che prevaleva in quella strada di collina.
Ma questo suo scoprire sempre cose diverse, avveniva solo quando aveva l’animo sereno, quando era in pace con la natura e con se stessa.
Quella mulattiera Doveva percorrerla ogni giorno per andare e venire da quel casolare in cima a colle, circondato da campi e da boschi.
Oltre la collina di fronte stava il paese, e li doveva andare per comprare quello di cui tutti i giorni lei e la persona che accudiva, avevano bisogno. Era sempre una bella camminata, a volte piacevole a volte faticosa. Ma quella camminata di una buona mezzora, quaranta minuti, era anche il suo spazio di libertà, il suo momento dei pensieri al vento, era per questa ragione che non si faceva accompagnare, lei non guidava nessun mezzo, perché al suo paese non c’erano mezzi di trasporto diversi dai poveri e sofferenti animali. Se avessero potuto parlare, questi animali, chissà quante imprecazioni avrebbero rivolto al creatore per averli fatti nascere e vivere i posti cosi lontani da un vivere normale. In fondo il mondo è degli uomini, se vogliono farsi del male che lo facciano, ma i poveri animali che c’entrano? Sono nati come le vittime sacrificali degli uomini? Allora perché se a loro non è stato dato il dono del pensiero, è stato data la sofferenza, con l’atrocità di non poterla esprimere o evitare

Non aveva bisogno della lista della spesa, sapeva cosa sarebbe stato utile o cosa no! Perché ogni giorno doveva preparare il mangiare, accudire, anche nelle sue intimità quella antica persona, oggi sovrastata dal tempo e dalla fatica di una vita trascorsa freneticamente e spesso disordinata.
E quando andava al paese a comprare il necessario i suoi pensieri volavano, la riportavano la, nella sua capanna tra il freddo della povertà ed il calore dei cari.
Quanti pensieri navigavano in quella piccola mente, coperta da una testa colma di ricci neri lunghi, con due occhi grandi,troppo grandi per quel fragile corpo, come due finestre aperte, scrutano il mondo.
La povertà della provenienza, rende più curiosi ed avidi del sapere un sapere negato nei propri luoghi, per questo gli occhi sono grandi , le pupille di un nero inteso e l’iride bianca candida come il nulla di cui dispone. Sono grandi per vedere, per scoprire sempre più cose, riempire la mente di ciò che fino ad oggi le era stato negato.
Nata donna in una terra senza diritti per gli uomini, ed ancora meno per le donne, ma solo in apparenza. Questo lo sapeva, perché vedeva sua madre, una donna già vecchia per la sua età ancora troppo breve ma già consumata dalla miseria e dal lavoro. sua madre, donna alta e fragile ma forte come una roccia.
Era lei in casa che accudiva alle cose da fare, ai bambini. Era lei che di nascosto rubava il tempo alla miseria per regalare un po’ d’amore a quel suo uomo tanto forte ma tanto fragile. Sentiva, lei ancora piccola, i silenziosi lamenti della madre, stanca sfinita dalla durissima giornata, donarsi al suo uomo per alleviare le sofferenze, e lei sua madre, troppe volte donava il suo corpo, ma non riusciva a goderne dei piaceri, la sofferenza della miseria prevaleva.

Cresceva ed ogni mattina usciva fuori, correndo come se il mondo fosse tutto ai suoi piedi. L’arroganza dell’innocenza di non sapere e pensare che il mondo fosse tutto li.

Raramente vedevano la pioggia, e quando succedeva era un evento, una festa, appena il tempo di assaporarne il gusto la bellezza, che l’acqua del cielo spariva, si dileguava evaporava, come i sogni di grandezza suoi, ogni giorno che cresceva. e si imbatteva nella quotidiana realtà.
Si reggeva appena in piedi che già conosceva la durezza della esistenza, non c’era tempo la in quella terra, tanto bella e povera, a perdere tempo per crescere spensierati, le sue piccole e fragili braccia e gambe erano già utili alla famiglia per alleviare un grammo di sofferenza a quella povera capanna.
Un fascio di triste vegetazione che raramente veniva trovata, anche molto lontano dal loro villaggio, era il fardello che la mamma gli affidava per portarlo al villaggio. Lei lo accudiva e con l’innocenza di una bimba, nel lungo tragitto del ritorno al villaggio, quel fardello lo trasformava nel grande uccello che lei spesso vedeva volteggiare sopra al loro villaggio, ed insieme volavano via, altre volte lo trasformava in uno spirito del bene che era scesa in quella terra ed aveva scelto lei come piccola regina del villaggio, imitando le mosse del capo villaggio, lo coccolava e sorrideva. Anche i quei sorrisi, in quei sogni riusciva a sconfiggere la miseria di una grama vita. Passavano i giorni, ma forse lei, loro non sapevano neppure come si chiamasse quello sparire e riapparire del sole. Contavano le lune, quante lune piene erano passate dall’ultimo raccolto, quante volte le mandrie avevano attraversato la vasta prateria che si estende davanti al loro villaggio, per andare lontano, la dove scorre il fiume, la dove c’è l’acqua, preziosa risorsa sempre troppo poca per abbeverare quel disgraziato continente di uomini e animali che si contendono le solite cose per sopravvivere. Lei nata nella terza luna piena dopo la semina e nel periodo delle poche piogge e della grande sete, lei cresceva senza sapere il perché, quando raramente, le capitava di mangiare due volte al giorno, nella capanna era una grande festa, tutti attorno a quella bontà donata dal duro lavoro e dalla posizione che la sua famiglia occupava nel villaggio, si perché facevano parte della casta che sta più su degli ultimi, perché il loro nonno, insieme ad altri guerrieri era riuscito a scacciare via un grosso leone affamato che stava per fare razzie del bestiame del villaggio.

Quante volte anche in seguito, a sentito raccontare la storia del nonno che scaccia il re degli animali.

Per tante e tante lune a sera gli uomini del villaggio si riuniscono davanti al falò, al centro del villaggio, ed ogni volta il nonno deve raccontare la sua storia. Ogni volta aggiunge un particolare, frutto della sua fantasia e dei suoi sogni. Dopo tanti anni quel racconto è divenuto più fiaba che storia vera.
Ma come fu che il nonno divenne cosi importante?
Era appena finito il tempo delle grandi piogge, la vegetazione aveva ripreso a vivere e rigogliose le piante di tutte le dimensioni si stagliavano verso l’alto, fresche e lucenti. Prelibato cibo per gli animali erbivori e tanto frumento per i contadini del villaggio. Ma la vegetazione cosi alta e fluente era anche sicuro nascondiglio per i predatori, i quali potevano avvicinarsi moltissimo alle loro prede, nella perenne lotta per la sopravvivenza che ogni giorno andava in scena nel palco della vita.

Da quelle parti un giorno passarono una mandria di bufali erano davvero tanti, spinti fin la per la fresca e rigogliosa vegetazione, un rito che si ripeteva ogni volta alla fine delle grandi piogge. Anche quella volta la mandria pascolava i cuccioli giocavano tra loro nel mezzo al branco. Siano cuccioli di animali o di uomini, l’arroganza della giovane età li rende spavaldi e temerari, incuranti dei pericoli . per i cuccioli il mondo è sempre troppo piccolo rispetto ai loro sogni.

Come sempre avviene, quella mandria era “scortata” da un branco di leoni, non li avevano seguiti, semplicemente li aspettavano li in quella rigogliosa savana, lo sapevano che li sarebbero venuti è il codice della vita il rotolare della esistenza che segna il percorso della sopravvivenza, . immancabilmente anche quella volta cosi avvenne.

Cosi avvenne anche quella volta, i cuccioli incuranti del richiami materni, sempre più si allontanarono. I bufali riescono ad essere invulnerabili contro i felini carnivori solo se riescono a stare nel branco a stare uniti, sia il numero e le loro possenti corna, spesso hanno successo degli attacchi dei predatori, perché costoro per istinto sanno che se sono incornati e feriti e la loro fine. La durezza e la povertà di questa terra non ammette debolezze, vale per gli uomini e per gli animali.

I leoni se vogliono avere successo, se vogliono procurarsi e procurare il cibo ai loro cuccioli, debbono cacciare in branco, alcuni disperdono, diradano la mandria dopo che hanno individuato la preda, che può essere un giovane cucciolo o può essere un esemplare più debole di altri perché nella sua esistenza tante battaglia ha combattuto ed hanno lasciato segni indelebili nel suo corpo, tale da renderlo più vulnerabile, cosa che non sfugge agli affamati predatori.

Cosi stava per succedere anche quel giorno, ma un imprevisto attirò l’attenzione del grosso felino, lui che doveva disperdere la mandria, in lontananza, leggermente fuori dal branco vide due cuccioli che spavaldi giocavano più lontani del solito dal branco.
Si buttò su quelle facili prede, senza accorgersi che nel frattempo la madre seguita da altri bufali del branco stava velocemente avvicinandosi ai piccoli.
Il leone aveva quasi avventato il cucciolo, il quale fece uno scatto improvviso verso destra, la parte dove stava correndo sua madre, anche il felino scattò subito verso destra tentando ancora una volta di avventarsi sul cucciolo, ma cosi facendo non vide più del bufalo accorso per salvare l’altro cucciolo forse era il padre, che nel frattempo si era velocemente avvicinato per salvare il piccolo, quel brusco movimento espose il leone al suo corno, fu un attimo ed il bufalo, con tutte le sue forse protrasse il corno in avanti e come la punta di una lancia andò a conficcarsi nella coscia del leone che emise un lacerante ruggito ed andò a cadere sul lato sinistro del suo corpo, d’istinto si rialzò subito per prendere la sua preda, quella che credeva facilmente di portare nel branco, ma quando fece il gesto di spiccare il salto per riprendere la mortale corsa verso il cucciolo oramai in lontananza, il suo corpo non fece che un piccolo balzo, il dolore lo trafisse nella gamba e nell’orgoglio di predatore sconfitto da un bufalo.

Mestamente dopo un lungo girovagare si avvicinò di nuovo al suo branco. Quella avventatezza era costata cara anche al branco dei felini, perché l’iniziativa solitaria del leone, aveva messo in allarme tutta la mandria che rapidamente si riunì iniziando una folle corse travolgendo tutto ciò che incontravano, e cosi che per quel giorno l’assalto dei felini andò a vuoto e dovettero accontentarsi di piccole prede o la carcassa di qualche animale lasciato li da predatori più piccoli fuggiti alla vista dei leoni.

Improvvisamente la savana divenne silenziosa e vuota, i bufali erano andati molto più a nord, alla ricerca di nuovi pascoli e per quel giorno nessuno era stato cibo per i felini.
Ma la lotta per la sopravvivenza non si esaurisce in un giorno, i leoni sapevano dove andare, sapevano che avrebbero incontrato di nuovo i bufali tra qualche giorno, sapevano che dovevano affrettarsi prima che i bufali iniziassero la loro folle corsa verso altri pascoli verso l’acqua che in quelle zone nel frattempo si stava esaurendo.

Velocemente si avviarono verso la loro meta, i leone ferito li seguiva a distanza, sempre più lontano, oramai era fuori dal branco, il suo destino quel giorno fu segnato.
Dopo un po non vide più quella che una volta era la sua famiglia, girovagò per giorni e giorni in quella terra vuota di prede, doveva mangiare quello che trovava, carcasse, piccoli animali e pur ferito riusciva sempre a compiere qualche piccolo balzo che gli permetteva di raggiungere qualche preda o ciò che la terra offriva, e la terra in quei luoghi era molto avara, riusciva a sopravvivere perché la natura ci ha donato di tante risorse che non conosciamo fin tanto che non ne abbiamo bisogno, cosi è avvenuto anche per il leone, il quale aveva diminuito la forza e la potenza ma aveva aumentato l’astuzia, ma quando la fame diveniva più forte, anche l’astuzia diveniva più debole e l’audacia data dalla lotta per la sopravvivenza aveva il sopravvento.

Girava il leone, faceva cerchi concentrici attorno al villaggio, sentiva l’odore degli animali domestici di quel villaggio, la fame si faceva sempre più spavalda dentro a quello stomaco vuoto, e la fame porta alla incoscienza, a scavalcare steccati, ad affrontare i l’incognito.

Cosi avvenne anche quella sera, il leone. Una bestia sofferente agli occhi dei suoi simili, ma sempre maestosa e imponente agli occhi degli uomini, e se pur ferito, lo era ancora imponente e abbastanza in forze.
Sempre più si stava avvicinando alle bestie del villaggio, la fame non gli permetteva di comportarsi da grande cacciatore quale lui era.
Gli uomini del villaggio, poco lontano videro l’agitarsi frenetico delle bestie capirono subito del pericolo, ma ancora non riuscivano a vedere la dove veniva, il leone era oramai vicino ad una delle prede, e li stava per iniziare l’ennesima lotta della sopravvivenza. Se vinceva il leone la sera nel villaggio ci sarebbe stata una famiglia disonorata e forse affamata perché avrebbe perso ciò che da cibo e prestigio. La fame e forza della sopravvivenza rende gli uomini ciechi e sordi e l’unica guida è l’istinto della sopravvivenza.

Il leone stava per avventarsi su quella bestia troppo fragile e lenta per sfuggirgli anche se ferito, ma proprio mentre stava per fare, forse gli ultimi passi decisivi tra lui e la sopravvivenza ancora per qualche giorno, improvvisamente come apparso dal nulla gli si parò davanti suo nonno armato solo di una lancia e dello scudo ricavato dalla pelle di bue. Aveva un grande copricapo di penne il volto dipinto dai segni di appartenenza alla tribu e alla sua posizione nel villaggio. Emise un urlo disumano e prolungato. Ballava come un forsennato in possesso degli spiriti della prateria, e scaglio la lancia, il leone fece uno scatto repentino sulla sua destra e lancia gli sfiorò la schiena andando a conficcarsi poco lontano ma quel movimento brusco, gli acui il dolore della ferita facendola sanguinare, emise un ruggito forte e disperato e struggente, fu cosi triste che parve per un attimo tutta la prateria si fermasse in religioso silenzio come segno di rispetto per quel re ferito e alla fine della sua presenza. Quel gli impose l’unica cosa che poteva fare, ritirarsi e andare via.

Gli uomini vedevano questo bestione allontanarsi caracollando per il lacerante dolore, e mentre andava la sua criniera affidata al vento pareva che volasse. Quel maestoso animale tristemente andava verso il suo destino pareva più grande e maestoso.

Gli uomini del villaggio nel frattempo accorsi, guardavano la scena accompagnando l’andare del leone e le loro grida erano il requiem di quello che una volta era stato re.

Quel giorno forse un leone moriva e dalla sua morte era nato un eroe del villaggio da tutti amato e rispettato.

Cosi era la storia di suo nonno salito nella gerarchia del villaggio ai livelli più alti. Forse il leone non era morto invano ed il destino aveva ancora compiuto un tratto del suo perenne percorso.

Quella posizione di privilegio permise loro di avere qualche piccolo privilegio, uno di questi per lei che nel frattempo cresceva forte e fiera con una bellezza esuberante, era quello di imparare alla scuola del villaggio.

La mamma conosceva il dolore della fatica, ogni giorno assaporava il sapore del fame senza saziarsene mai.
Vedeva gli uomini che sempre più si avvicinavano alla sua bambina mano a mano che cresceva.

Non voleva che fosse preda della povertà e della crudele avidità degli uomini del villaggio sapeva, che non avrebbero dato il tempo alla sua bambina di crescere, ed un giorno si sarebbe presentato alla sua capanna un pretendente molto più vecchio ma con bestiame e altri ninnoli come dote e l’avrebbe chiesta in sposa. Sapeva che non avrebbe potuto opporsi al marito ed ai vecchi della famiglia, lo sapeva perché la fame e la povertà sono le forze più grandi e malvagie della terra.

Sapeva, perché anche a lei cosi successe, che alla sua bambina pur non avendo ancora lasciato la fanciullezza il suo corpo ed il suo ventre improvvisamente si sarebbero deformati per ricevere qualcosa ancora troppo grande per lei, che presto lei fanciulla sarebbe diventata madre, poi nonna poi vecchia quando ancora il tempo dalla sua nascita era trascorso troppo brevemente.
Per questo l’ha fatta fuggire per un avvenire migliore… oggi d noi domestica e badante continua a sognare…..
continua




Id: 9544 Data: 05/08/2011 00:19:51

*

Non aspettare

NON ASPETTARE
- camminare spavaldi per i sentieri della vita,
accostarsi al ciglio della strada
ad aspettare innocui il passagio della morte
pensando che vada sempre oltre noi,
ella ci guarda disperata dolce e malvagia,
sa che nessuno le sfuggirà, ma...
soavi come la neve sorridenti alla vita
assaporandone ogni momento,
raccogliendo le gocce che cadono
ed il pensiero proiettato al futuro
senza limiti senza confini. Si!!
verrà il giorno,
ma non mi troverà mai pronto a riceverla
perche gia oltre sara il mio cammino......
solo del mio corpo si accontenterà.
mentre sono già lontano....

Id: 9536 Data: 03/08/2011 22:41:00