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Raccolta di poesie di Francesca Lavinia Ferrari
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

da ’Lavinia’

Grandine

martello sul sereno

sul tappeto di primule sbocciato

in seno.

Sentivo il cane mordere

la rabbia sulla carne

scorcio di tenerezza fatta a pezzi

squarcio di veli.

Un tremore di petali

a forma d’esili

dita di bachelite.

Tu, mille chicchi

improvvisi a spaccarmi

gli occhi

*

da ’She’s waiting for a portrait’

I

 

Ogni notte si muore

nei torcigli di fiamma che ci esalano

filamenti di ventre verso l'alto

o spirando speranze inconsapevoli

da tenaglie di carta riciclata

di giornali bisunti ai tavolini

di una polisportiva.

I paesotti ci tagliano le vene

e con le lame

degli occhi che hanno visto troppo niente

s'incide il cannocchiale, lungo i tubi

cercando una texture

- vertigo d'optical

su pied-de-poule di plastica -

per snaturare il nero dell'immenso

parato innanzi al naso non appena

si guarda verso un Carro.

Un dito ci percorre

risale in un reflusso verso un labbro

cucito da parole sbriciolate

in testa e nelle mani insieme al pane.

Giacere, resta

nel quieto finto vivere

dei nostri cimiteri d'ossa rotte.

*

da ’Senza titolo’

37

Ma povera scema, cretina
che ostenti parole alla piazza
cos’altro disperi del mondo che orrenda
orripila il chiodo schiacciato
nel tuo cartongesso.
Parole, farfalle nell’aria
frattali di calce spirati nel nero
cancrena di labbra, gorgheggio scaduto
da mani di pesca e trivelle di fogli
da rutti di viola flautata e stravacchi di grugni.
Silenzio perfetto

*

Lettera a colei che mi amò

Sono gelido di te
mi tengo il volto scrostato tra le mani
- monumento che non ristrutturi -
penso e quello che fuoriesce me lo tengo
nella teca del petto
da cui cade una cellula per sbaglio
su ‘sto foglio distratto che ti porgo.
Non credi più, t’ho allontanata
e adesso io potrei lasciar cadere
tantissime, infinite briciole di rughe
dalla torre inclinata
e ciondolare a pendolo il verdetto
ma cosa importa ora
ormai viaggi da sola in risalita
stai compensando il fiato, altro non senti
che un dolore rovente e il mio lamento
- che ti giace nell’ombra -
continuerà a gridare solamente
nel mio vuoto

*

da ’Senza titolo’

10

Passano gli anni, ma l'assenza
è un fantasma che duole sempre più.
Dovremmo boicottare i pensamenti
falcare a testa bassa
restare senza ossigeno nei bronchi
sperare di schiantarci contro il muro
di un fine o di una fine
per non sentire più il peso dei giorni
passati al colabrodo verso sud
e non udire più il bisogno d'acqua lamentarsi dalle fauci.
Avere tutto il nulla necessario

*

Tu

Tu
nell'oltre solo tu


mio cielo - che so d'essere -


mio cielo


tu

*

da ’Senza titolo’

5

 

È chiaro il sole
chiaro e cocente.
È scura l'ombra
scura e potente.
Il canto è chiaro
la voce è l'ombra

*

Metà della sua terra

Poi scrivere così, con leggerezza


di tutte quelle palle da calciare


per conquistare ancora qualche porta


per farti immaginare in una corsa


il corpo di una donna che si allunga


e mira l'orizzonte, la sua meta


metà della sua terra

*

Sulla battigia

Dimmi dov'eri

ché un soffio di Maestrale sull'incontro

stendeva separati, sulle tempie

sbuffate di distanze.

Le ciglia aggrovigliate in mezzo ai sogni


disfatti su lenzuola e nervi a pezzi

fremevano rugiada sui capezzoli

di madri accartocciate fra le dita

e buttate nell'Ade.


Dov'eri, stella mia, sollievo al tempo

che corre e che tu fermi nel cestello

del ghiaccio di una boccia di champagne.

Mia voce d'alter ego


sei tu davvero, amore, il mio sgomento.

E sia, morire in te, sia dolce e lenta


l'attesa già innescata da quell'onda


venuta nell'orgasmo della notte

incontro a noi

*

La mia bocca è ninfea

Una voce di mondo

assonnato, dalla tua gola roca
in viaggio, alla tempesta

di un sonno mosso
verso la vetta

luminosa, da cui

ti ergi ogni notte
va
dopo il sole di un giorno

qualunque.
Non vacillare
la mia bocca è ninfea

*

No sing and no song

Inamidato

nel bianco del colletto

specchiato nelle scarpe di vernice

 

velato

da un pensiero nebbioso

calato nella gola di un gorgheggio

 

sarebbe decollato

a bordo di canzoni e giradischi

nei giorni in cui la meta era la luna.

 

A terra, invece, solo un posacenere

*

Velo e perle su un filo d’eterno

Incontrammo in un sogno le calendule
e le spine dei cardi, nelle veglie
ribellate al flagello di quei tarli
del cervello e dei travi
di loggiati crollanti
mentre donne d'asfalto tratteggiate
di quel bianco impazzire delle gambe
sconcertavano il nero dei flautisti
nei campi.
Sono sempre le stesse, le muraglie
che s'innalzano in mezzo alle carezze
troppo attigue ai minuti ed alle stanze
allora stringi forte i miei silenzi
e spalmati sui globi delle dita.
Pensarti sarà sempre
a volte toccheremo ciglia e vette
noi due, colori e rotte.
Sappiamo che la somatizzazione
del precario si annoda alla fortezza
del sentire, soffiamo sulle lacrime
asciutte del costato
cascate giù tra foglie di castagni
a sgranocchiarci l'anima.
Abbiamo soste e spiagge per amarci
e certo sgretolare i nostri pugni
dimentichi di drappi e frange dolci.
Forze sospese
restiamo tesi e stesi sulle frasi
sicure della fune
che unisce costa e piana.
La donna che ti parla
ti ama e tace l'impeto che sgrana
la sua sanguigna pura
per disegnare teche di reliquie
inabissarle
rifrangerti il sapore delle labbra
velo e perle su un filo
d'eterno

*

Due pantere

È nel denso impazzito delle vene


nella notte lucente delle fiere


a cavallo del giallo rifrangente


e del nero affamato della pelle


che danzano pantere innamorate.


Si lisciano di bava, pronte al balzo

*

Sarà immensa la paura

Sarà immensa la paura
- condensa di vapore
nell'attimo infinito della fine -
fibrillerà un istante di lanugine
cadremo in volo
verso la luce
più leggeri dell'aria a primavera
saremo ali d'immenso
- dolore a terra
a disfarsi coi vermi in mezzo ai fiori -
puliti dall'incenso blu-universo
meriteremo spazio
per una scia
aliteremo
sulle cose concrete
aliti di chissà quale energia
a zittire i rumori della carne.
Un frusciare di tende al nostro via
poi silenzio perfetto
e il tuffo

*

Luce

Ovunque si nasconda - questo è il compito
di ciascun buon poeta - va stanata
con cura di tenere la distanza
di sicurezza. Non c'è alcun pericolo
non ci è dato trovarla, ma rifarla
fiorire, senza dire una parola

*

Amputati

L'odore immaginario di un acquario
svagato su tratteggi d'onde morte
spumoni d'alghe cotte lo schiumeggiano


s'incollano alla schiena, a metà reni


dolenti e l'indolenza dentro l'anima
le dita inanellate, rena d'oro
rimbalzano la notte che pretende
di tingere di buio il fondo e il raschio

in cui stanchi - gli amori - si affogarono.
Pericolo di vita le astinenze
sbalzate sulle lamine degli occhi
poi remi, rane, insetti per uscirne.


Trovarci qui mutati e senza coda

 

*

Sole e impotenti

Sole e impotenti
nei giardini di novembre che ci annebbia
la vista, lo sentiamo
l'amore e il suo destino.
Ingannate voi stessi
uomini senza gambe, ché la mamma
non vi lascia, né sfascia.
Voi reclamate
solitudine sola
il mento vi ricade sui ginocchi
siete sempre più schivi
impauriti, aspettate
la vittima di turno per il rogo.
Quante ne avete fatte fuori prima?
O scappate, o schiacciate
non sapete sfoggiare
il sorriso più bello quando il gusto
di fiele vi pugnala il retrolingua
non sapete mutare
la fiala in vino buono da servire.
Il creato è un bimbo nudo e ancora sporco
di sangue e di placenta

*

Dipingimi un poeta

Dipingimi un poeta

C'è un poeta che sogna ancora schianti
altri evadono la noia col tormento.
Notte. I pittori sventrano le luci
saltano addosso al rosso e alla materia
amoreggiano gigli fra le setole
di ogni colpo che va in riproduzione

*

La tua mano sostiene il mio respiro

Sestina

 

La tua mano sostiene il mio respiro

La tua mano sostiene il mio respiro
che si calma soltanto alla tua voce
mentre il ventre si muove ad onde larghe
e la pelle di latte si distende
sopra il cuore e il tumulto delle palpebre
sognanti quel futuro di follia

di noi, soltanto noi, ché la follia
- intesa delle labbra e del respiro
sospinto a pelo d'acqua sulle palpebre -
scatena angeli e demoni di voce
sconvolge il fiato e l'anima, distende
il corpo, il pathos, l'eros delle larghe

lingue di fuoco ai seni, delle larghe
lenzuola bianche e nere, ché follia
sconvolge, solo morte ci distende.
Amore, tieni forte il mio respiro
gustami nelle viole della voce
che ti poso sull'alba delle palpebre

assorte sul contrario. Le mie palpebre
sul rivolo che forma ciocche larghe
di biondo e di piacere, danno voce
ai lampi dei tuoi occhi, alla follia
incendiaria dei boschi di respiro
che mi soffi sul viso e che distende

i nervi delle querce, ci distende
sul raso delle foglie, delle palpebre
ed ogni bacio caldo, ogni respiro
dimentica il passato. Sono larghe
le ore che ci separano, follia
questa brama di carne, poi di voce

tanto che questo giorno non ha voce
se non torni con l'aria che distende
le mie ali flosce d'olio. E' una follia
pensare di vederti oltre le palpebre
adesso, senza spazio, sulle larghe
lingue, mentre mi togli ogni respiro.

Voce dei sensi, grida! La follia
distende sul mio corpo vele larghe.
Respiro, non svegliare le mie palpebre...

*

Dislivelli di sole

Dislivelli di sole

altopiani di rughe e pelle spessa

lo xilofono brinda

riflesso cupo

dei pasti luculliani di una volta.

Questa è la dimensione

del dondolio

in braccio ad una morte barattata

per polsi liberi.

Un incappare

al contrario, nel posto

dove la testa in giù

promette altre viste.

La campagna disdice

l'appuntamento al buio con le spalle

avanti, nebbia e carri

viti sfoltite

odori muffi.

Le acetaie affrante

reclamano sostegni dai solai

crolli

transenne legno e plastica arancione

mille all'ora sui passi carrai stretti

e stanno

facce sbucciate e fichi marci, cotti

mentre nulla è più nullo

di un'ape fuori luogo

sui capelli increspati

di un fiore spento.

Questo, scrive la pace

dal fiato concentrato dell'allodola

che scortica i ricordi

e intasa il labbro

di croste e pane nero

imbocca piccoli

senza poltiglia.

Questo, scrive la gioia ammutolita

nel buco ameno

della pentola d'oro

arcobaleno

tracciato di un sorriso

fuso con i dobloni

della distanza.

Cosa, noi non dovremmo dire mai

allucinati e stanchi dei galoppi

moltiplicati

dai bai su terra dura

male agli zoccoli

unghie di ruggine

e saliva di ferro.

Tutto

ché da dentro ci evade

senza più creare

se non dissenteria

curabile

con capsule d'amore.

Aspetta, che sia ancora il rosmarino

a scrollare la neve

sulle viole selvatiche

là dove sopravvive ai metri bianchi

di coltri avvezze

all'asfissia

allora ti vedrai, senza mutare

il contorno di pali

che descrivevano

il tuo equilibrio