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Ed io qui sono,
tra sogno ed eterno smarrito,
campi vuoti e orti incolti,
in lande di memorie morte,
io mai che guardi oltre,
oltre di incoscienza il dirupo profondo.
Il mio canto muto si spegne per quei boschi,
note troppo labili per gli infiniti spazi.
Odo come da lontano il ruggito della tempesta,
ecco quindi, or riconosco me stesso
e di tutto ciò l’intrico percorso.
Miraggio, e allor mi desto
Dall’infinito sonno mio.
Ho speso pianti d'angoscia
visto vittime del silenzio
giacere come alghe sulle spiagge della memoria,
madre,
di nessun figlio,
figli dei figli, ma di quali fiori (cit.)
padre,
guardi invano in una pozza di tenebre,
saggi coloro che aspettano
stolti coloro che digrignano
i denti come avide fiere.
L'ancora di speme si arrende
crolla sotto il peso della miseria,
senza pianto saranno i loro occhi
senza voce le loro grida,
senza onori la loro morte.
Fratelli,
di un paese che impasta sogni e ipocrisia
di speranze che puzzano di vigliaccheria.
Fratelli di cosa?
Di una terra, di un paese, certo,
non di un mondo
se figli del mondo dovremmo abbracciare l'esilio
come al tempo egli abbracciò noi forte,
invece scherniamo e sputiamo su bare di oblio,
con la mente addolciamo le ferite infette,
col cuore le saliamo con ingordigia.
Sull'onda si alzano braccia piangenti e morenti,
sullo scoglio si elevano danze gaudenti.
La morte,
temiamo il trapasso,
alziamo le mani all'inevitabile fine
certo, la nostra,
ma le riponiamo in tasca
dinanzi a quelle di chi è morto
senza ancora cadere.
(cit.) Gerarchie infernali, album "madre tortura", di Richard Benson.